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"Da Facebook minacce, ma anche spazio per i media indipendenti"

di Maria Ressa

La giornalista filippina Maria Ressa è stata diffamata sui social e denunciata con false accuse di evasione fiscale per aver denunciato troll e hater su Facebook e soprattutto i crimini commessi da Duterte nel corso della sua controversa guerra alla droga, che ha portato all'uccisione di oltre 7.000 persone, soprattutto giovani, dal 2016 a oggi. Pubblichiamo tradotta la sua testimonianza, che spiega alcuni meccanismi  - e ambiguità - di Facebook.

La mia reputazione e la mia pace interiore sono state demolite da operazioni diffamatorie avvenute su Facebook. La mia storia è una lezione per l'Occidente.

Dirigo Rappler, un sito di notizie online delle Filippine. Nel mio Paese, Internet è Facebook, grazie a sussidi delle grandi aziende di telecomunicazioni che permettono alle persone di evitare addebiti per il traffico dati mentre si trovano sul sito. Ma questo ha reso anche le Filippine un caso esemplare per le distruzioni che Facebook può rendere possibili.

Gli attacchi contro me e Rappler sono apparsi per la prima volta su Facebook nell’estate 2016. Un anno dopo il Presidente Rodrigo Duterte li ripeté nel suo discorso sullo stato della Nazione. Da allora sono stata indagata sulla base di accuse politiche, ho affrontato il mio primo mandato d’arresto e ho ottenuto la libertà su cauzione. Non soltanto una volta, bensì cinque volte in due distinte corti. Per viaggiare fuori dalle Filippine ho bisogno del permesso.

Se perdo questi processi per evasione fiscale e altri che sono stati avviati contro di me dal governo filippino, potrei andare in prigione per 10 o 15 anni.

E tutto perché Rappler, la startup che ho contribuito a creare sette anni fa in questo mese, continua ad avere il potere di riferire, di fare il nostro lavoro di giornalisti e di #HoldTheLine (un hashtag che vuol dire Segui la linea) contro l’impunità in una guerra alla droga che ha portato all’uccisione di migliaia di persone, secondo i gruppi per i diritti umani.

Sappiamo da informazioni di prima mano come i social media e le leggi sono stati puntati come armi contro chi era percepito come critico nei confronti dell’amministrazione di Duterte, perché l’abbiamo raccontato fin dall’inizio.

All’inizio di ottobre del 2016, Rappler pubblicò un servizio in tre parti sulla propaganda attraverso i social media. Le tre puntate analizzavano il sistema di informazioni emergente, che più tardi i ricercatori avrebbero definito “trollaggio patriottico”, spargimento dell’odio online sostenuto dallo Stato, mirante a ridurre al silenzio o intimidire specifici obiettivi. Ho ricevuto una media di 90 messaggi di odio all’ora per il mese successivo alla pubblicazione del servizio di denuncia.

Gli attacchi su Facebook sono insidiosi ed estremamente personali, e riguardano cose che vanno dal mio aspetto e modo di parlare a minacce di stupro e assassinio. In qualità di ex corrispondente di guerra, ero stata sulla linea del fuoco, ma niente mi aveva preparato a questo.

Dopo tutto, dicono che una menzogna ripetuta un milione di volte diventi la verità, dando forma e un certo condizionamento all’opinione pubblica, seminando i messaggi che sarebbero stati ripetuti dallo stesso Duterte: che Rappler è la CIA, che sono fake news, di proprietà degli americani, e molto altro. Questo mi colpisce ogni volta che ripenso al passato, perché forma anche la base delle cause legali mosse contro di noi. Questa è la pressione cui siamo sottoposti ogni giorno: attaccati dal basso da eserciti di hater a basso costo, e dall’alto da Duterte e dal governo.

Il loro sforzo è stato molto ben concertato. Ognuno dei tre principali creatori di contenuti della propaganda del governo si è occupato di una diversa componente della società: Sass Rogando Sasot ha creato contenuti pseudo-intellettuali per l’1% di élite, Thinking Pinoy (RJ Nieto) si è rivolto al ceto medio, e la cantante e ballerina trasformatasi in candidata ufficiale del Congresso, Mocha Uson, ha incitato la grande massa.

Già nel 2016, una campagna di defollow del nostro sito chiamata #UnfollowRappler attivava almeno 52.000 account per far sì che gli utenti smettessero di seguirci su Facebook. Questo equivaleva a circa l’1% dei nostri follower a quel tempo – ma si consideri che un’inchiesta precedente ci aveva mostrato che 26 account fake su Facebook potevano raggiungerne 3 milioni di altri. Quali altri disastri avrebbero potuto creare più di 50.000 account Facebook?

Avrebbero potuto ribaltare le percezioni, scindendo il mondo reale da quello dei social media.

Ed è quanto abbiamo visto succedere. Nel gennaio 2018, l’inchiesta Global Attitudes di Pew ha rilevato che l’86% dei filippini fuori, nel mondo reale, diceva di fidarsi dei mezzi d’informazione tradizionali. Quando la stessa domanda sui media tradizionali veniva posta durante lo stesso mese sui social media, la risposta era l’opposto: l’83% non si fidava di loro, secondo il Philippine Trust Index.

Si sono verificati attacchi sistematici e crescenti contro i media tradizionali, una chiara escalation dopo che Duterte è salito al potere nel giugno 2016. Nell’anno prima della campagna elettorale, il linguaggio che Duterte ha utilizzato per attaccare le “parzialità e corruzioni dei media” faceva registrare pochissimi commenti o post su Facebook. In seguito, il termine “parziale” è comparso 2.000 volte al giorno, e quello “corrotto” quasi 4.000.

Gli attacchi hanno portato alla deflagrazione delle linee di divisione della società finché la percezione non è stata fatta diventare realtà. Questi troll hanno agito per alimentare la rabbia e l’odio in modo da abbattere chi raccontava le storie – i giornalisti e i difensori dei diritti umani; da mantenere alti consensi per Duterte; e da modificare i valori di una porzione significativa della società che ora dicono che va bene uccidere i consumatori della droga o lasciare che la Cina abbia porzioni di territorio filippino nel Mar Cinese Meridionale (Mare Filippino Occidentale). Gli attacchi rappresentano una vera e propria guerra contro i politici di opposizione, manipolano l’opinione pubblica filippina e indeboliscono la nostra democrazia.

Rappler conosce il meglio e il peggio di quanto Facebook può fare. Se da un lato esso è la più grande piattaforma di diffusione delle notizie del mondo, dall'altro si rifiuta di agire da vero moderatore, permettendo alle menzogne di diffondersi più rapidamente della verità. Per questo, io sono tra i critici più feroci di Facebook.

Tuttavia, la crescita esponenziale di Rappler non sarebbe avvenuta senza il gigante dei social media. Io conosco il suo immenso potenziale di fare il bene. Ecco perché continuiamo a lavorare con Facebook, come uno dei tre partner di verifica dei fatti del nostro Paese, definendo i dati e cercando di indagare sulle reti che diffondono bugie.

Non credo che vi sia scelta. Questa è tecnologia trasformativa, e noi possiamo usarla per spingere Facebook a comprendere il suo reale impatto – buono o cattivo – nel mondo. Sono cautamente ottimista sul fatto che il bene possa prevalere. L’11 gennaio, nella sua seconda manovra contro i siti e gli account “non autentici” nelle Filippine, Facebook ha bandito (in gergo tecnico “bannato”, NdT) una porzione significativa di quell’ecosistema di disinformazione che stava manipolando i filippini con legami con la Internet Research Agency e l’ecosistema di disinformazione russo.

Rappler aveva individuato questa rete e ne aveva scritto quasi 13 mesi prima.

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