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Gino Bartali, l'azione giusta di un uomo

Se ne parla in occasione dell’anniversario della sua nascita

A pochi giorni dall’anniversario della sua nascita - il 18 luglio 1914 - Gino Bartali, uno dei più grandi e amati campioni della storia dello sport italiano, fa nuovamente parlare di sé. Questa volta però, non si discute delle sue doti atletiche o delle sue innumerevoli vittorie, bensì del suo ruolo di salvatore durante la Shoah. Proprio a questo proposito, il 23 settembre 2013, la Commissione dei Giusti di Yad Vashem lo ha riconosciuto come Giusto tra le Nazioni,la massima onorificenza conferita ai non ebrei che hanno agito in modo eroico, a rischio della propria vita e senza interesse personale, per salvare la vita anche di un solo ebreo dal genocidio nazista.

In un testo apparso il 18 luglio sulla testata The Tablet, l’ex direttore della Fondazione Cdec (Centro di documentazione ebraica contemporanea) Michele Sarfatti si interroga sulla legittimità dello sportivo a questa definizione, esponendo perplessità sulla realtà dei suoi salvataggi - “Il grande ciclista Gino Bartali ha veramente salvato gli ebrei durante l’Olocausto?”.

Le affermazioni di Sarfatti si basano principalmente su di un libretto del 1978, scritto dal giornalista Alexander Ramati, che racconta della rete clandestina di Assisi attraverso la quale negli anni della guerra vennero salvati ebrei e perseguitati. Di questa “organizzazione di bene” faceva parte, tra gli altri, Gino Bartali, che grazie al suo legame con l'Arcivescovo Angelo Elia Dalla Costa, - anche lui onorato da Yad Vashem - trasportava documenti falsi nel manubrio e nella sella della sua bicicletta, per poi consegnarli alle famiglie dei perseguitati tra Firenze e Assisi. Sarfatti pone l’accento sul fatto che tale libretto, Assisi Underground,contenga inesattezze che non lo rendono storicamente attendibile, oltre a sottolineare che l’azione di Bartali non sia stata effettivamente menzionata in altre memorie scritte sulla questione. Inoltre, lo storico cita le parole di Don Aldo Brunacci -presbitero della Cattedrale di Assisi incaricato dall’allora vescovo di organizzare l’assistenza per i rifugiati ebrei - che ha negato il salvataggio compiuto dal ciclista. Brunacci lo definisce infatti “nient’altro che una favoletta”, la trovata perfetta per un film, che Ramati non poteva che concretizzare tramite una figura popolare come quella di Bartali.

Tuttavia, nonostante queste considerazioni, la commissione di Gerusalemme ha emesso il proprio giudizio su Gino Bartali anche e soprattutto sulla base delle numerose testimonianze successive, sia orali che scritte, che esprimono chiaramente la gratitudine dei salvati verso lo sportivo a cui, dicono, devono la vita. Perciò, seppure non ci sia un’abbondanza di argomentazioni storiche, sono diverse le prove della sua opera di salvataggio. Tra queste, ad esempio, ci sono quelle di Giulia Donati - una donna fiorentina a cui Gino consegnò personalmente i documenti falsificati che salvarono tutta la sua famiglia - e di Renzo Ventura - la cui madre, durante l’occupazione nazista, ricevette la documentazione direttamente dalle mani di Bartali, che la trasportava per conto della rete di Dalla Costa.

Sarfatti, ad ogni modo, non ci delinea la sua indagine come un vero e proprio disconoscimento della figura giusta del ciclista, ma più come un’osservazione sulla valenza storica delle fonti che abbiamo.

In risposta a Sarfatti, Sergio Della Pergola - docente dell’Università Ebraica di Gerusalemme e membro della commissione per i Giusti tra le Nazioni - interviene definendo le gesta di Bartali come comprovate con certezza da innumerevoli ricostruzioni. Sono state esaminate in particolare due azioni - dice - il suo ruolo di messaggero di carte importanti per la salvezza degli ebrei, che venivano consegnate fra gli altri a Natan Cassuto, allora Rabbino di Firenze e legato alla rete del Cardinale Dalla Costa, e l’avere messo un appartamento di sua proprietà a disposizione dei perseguitati.

Dal Corriere Fiorentino del 21 luglio arriva un’altra risposta, quella di Adam Smulevich - giornalista dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Sarfatti, afferma Smulevich, nel suo attacco “sembra voler smontare tutto il lavoro svolto finora basandosi quasi unicamente su documenti vecchi di decenni e neanche così attendibili, quando in realtà molta acqua è passata sotto i ponti da allora”. Smulevich sottolinea che “il Memoriale di Gerusalemme è un ente che agisce in base a criteri scientifici, di conseguenza, film, libri e articoli — per quanto accurati — non sono considerati una prova. Non ha valore il fragile libro di Ramati, su cui Sarfatti sembra basare tutto il suo intervento. Ma serve invece che i salvati - fondamentali in questo caso Goldenberg, Renzo Ventura e Giulia Donati - certifichino di persona la propria storia. E così è stato”.

Sempre il 21 luglio, su Moked, Gadi Luzzatto Voghera - direttore della Fondazione Cdec - considera non corretto affermare che Sarfatti abbia mosso un attacco a Bartali e alla Commissione, bensì si tratterebbe di una messa in discussione della plausibilità, a livello di documentazione e di dinamiche della persecuzione, dall’apporto del ciclista al salvataggio. Non se la prende “con Bartali”, dice il direttore, ma fa solo notare che attorno alla sua figura è stata costruita un’azione romanzesca, mentre questi argomenti meritano la maggiore accuratezza e oggettività. L’intervento si conclude con questa riflessione: “Il lavoro di ricerca e la raccolta di documentazione sui Giusti deve continuare perché è importante e perché la dimensione etica della partecipazione dell’uomo alle vicende storiche merita di essere valorizzata: si può sempre dire un sì o un no, come ci hanno insegnato e come proviamo a insegnare. Lo Yad Vashem lo fa con grande attenzione, ed ha bisogno di tutto il supporto dei ricercatori storici che lavorano alla straordinaria documentazione d’archivio ancora in gran parte inesplorata e che attende solo di essere studiata, laicamente e senza modelli precostituiti”.

Il numero di ebrei effettivamente salvati da Bartali non è così rilevante - anche una sola vita tutelata merita infatti sia il riconoscimento di Yad Vashem che il ricordo da parte degli uomini. È importante invece non incorrere nella polemica su argomenti tanto delicati e collaborare perché il riconoscimento di Yad Vashem non venga percepito come una mitizzazione, ma come una oggettiva valutazione dell’azione giusta di un uomo. 

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