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Il vaso del prozio Vittorio

emblema di un salvataggio

Il vaso di Domenico Selva

Il vaso di Domenico Selva

Un vaso, arrivato nelle mani di Domenico Selva come ricordo di famiglia, testimonia l'azione di soccorso di Vittorio Selva, "spallone" che aiutò una famiglia ebrea ad attraversare il confine con la Svizzera.
Di seguito riportiamo la testimonianza di Domenico Selva.

"La vicenda di quest’oggetto è particolare e significativa.
Si tratta di un vaso di metallo, probabilmente una fusione in bronzo. Per dimensioni e foggia potrebbe essere stato un oggetto funerario oppure, viste le figure femminili discinte rappresentate, un vaso decorativo di pregio. È stato regalato a mio padre e a mia madre in occasione delle loro nozze, avvenute nel giugno 1946, da uno zio, omonimo di mio papà, a lui molto legato e affezionato.

Lo zio (nato credo nel 1877) si chiamava Vittorio Selva ed abitava in Tremezzina, credo a Mezzegra, provincia di Como. Erano tempi duri: la seconda guerra mondiale appena conclusa, l’età non più giovanissima, una famiglia numerosa da sfamare e le difficoltà conseguenti non consentivano di fare shopping per i regali di nozze. Era, anche allora, poco elegante presentarsi alla cerimonia e al banchetto nuziale “a mani vuote”. Così chi aveva qualcosa di “prezioso” in casa, lo regalava agli sposi nella felice occasione. Lo zio Vittorio, che di prezioso aveva solo il “Vaso”, decise di trasferirne la proprietà ed il ricordo.
Ne ho scoperto l’importanza da piccolo, negli anni ’50, quando mio padre me ne ha raccontato la storia.

Lo zio Vittorio aveva fatto, da giovane e come quasi tutti i giovani del posto, lo spallone (il contrabbandiere a piedi) e conosceva alla perfezione i sentieri che dalla sponda occidentale del lago di Como portavano in Svizzera.

Nel 1943 una famiglia di ebrei milanesi perseguitati ed in procinto di essere arrestati per la deportazione nei Lager nazisti lo contattò, tramite un conoscente, perché li accompagnasse nella fuga dall’Italia verso la Svizzera, attraverso i monti lariani. Un’operazione rischiosa, ben più pericolosa del trasporto di qualche stecca di sigarette!

Lo zio non aveva paura, era generoso, libero, amante delle sfide. Accettò il rischio - poteva anche venire fucilato, se i nazifascisti li avessero presi - e in una notte senza luna, con i piedi fasciati con la tela juta da sacco per non fare rumore, con i bambini silenziosi e impauriti in spalla, con l’ardimento dei Giusti e l’animo degli eroi, accompagnò i fuggitivi in salvo.
Questi, arrivati a destinazione, chiesero di potergli pagare il servizio reso. Ma lo zio Vittorio, povero, poco istruito, ma leale, coraggioso e buono, non accettò compensi. La sua retribuzione consisteva già nella soddisfazione per il successo. Avere portato in salvo uomini, donne, bambini, avere sottratto vittime all’Olocausto.

Così loro, per  lasciargli qualcosa in memoria di quel momento, gli regalarono il vaso, che rimase in casa sua fino alle nozze dei miei genitori. In quell’occasione lo zio, compiendo ancora una volta un atto di vera generosità, poté “far bella figura” presentandosi con un regalo “di lusso”.

Sono passati quasi settant’anni da quelle circostanze e oggi il vaso fa bella mostra di sè in casa mia. Ogni tanto, guardandolo, mi fa riflettere. Ho pensato spesso che il “Vaso” e la sua storia avrebbero meritato di essere raccontati: per restituire nuova dignità all’oggetto e dare emozione a chi ne ascolta la vicenda. Forse anche per non dimenticare piccoli e grandi valori.  

Vorrei, attraverso la divulgazione delle foto e dei particolari del vaso, sapere se qualcuno potesse riconoscere o ricordare una storia, propria o dei propri famigliari, legata a quest’oggetto, che probabilmente avrà (trattandosi di fusione) dei gemelli.

Qualcuno, magari di famiglia o tradizione ebraica, può essere in grado di capirlo, magari riconoscerlo e riconoscersi nella vicenda (bambino, una notte buia e silenziosa in spalla ad un omone forte e benigno, chissà…) e perciò dirmi qualcosa di più del “Vaso dello Zio Vittorio”, emblema di una vicenda umana che ha dato umile testimonianza ad una pagina nobile nella storia della mia famiglia".

Gariwo ringrazia Domenico Selva per il prezioso materiale fornito alla redazione

24 marzo 2014

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