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Claire Ly, dall’inferno del gulag al progetto di un Giardino dei Giusti per la Cambogia

un percorso di riconciliazione all’incrocio delle culture e delle religioni

Claire Ly in una foto scattata in Cambogia

Claire Ly in una foto scattata in Cambogia

Claire Ly il 17 ottobre a Milano ha presentato il suo libro “La mangrovia. Una donna, due anime” presso il centro PIME. L’abbiamo invitata a Gariwo e abbiamo ascoltato le sue riflessioni sulla memoria e su quello che un domani, ha spiegato la filosofa, potrebbe diventare “il Giardino della Tolleranza e della Riconciliazione in Cambogia”. Claire, che oggi insegna Teologia in Francia, è sopravvissuta a quattro anni di gulag sotto Pol Pot. In questo periodo di lavori forzati le sono stati uccisi quasi tutti i parenti, meno i figli. Le persone fucilate, ci racconta, secondo i Khmer rossi si erano “meritati” la loro sorte, in un’interpretazione distorta e assassina del concetto buddhista del karma o delle conseguenze delle proprie azioni. Lentamente, Claire, che era già un’insegnante di Filosofia, ha cominciato a elaborare un pensiero sul perdono e la riconciliazione “all’incrocio tra le culture e le religioni”, come recita il sottotitolo del suo libro in Francese. In questo testo, che viene dopo “Revenue de l’enfer” e altri libri tra cui uno per spiegare il valore della responsabilità individuale ai bambini, presenta due donne cambogiane esiliate in Francia che intraprendono un viaggio al Paese natale. Una è cattolica e l’altra è buddhista. Il viaggio è quindi l’occasione di un fertile confronto tra le culture e le religioni. Ravi, la donna cattolica, probabilmente rappresenta Claire, che si è convertita a questa religione. Per coloro che la conoscono, è palpabile che la persona viva una profonda relazione con Dio, perché da lei emana pace. Non solo grazie alla sua mitezza di orientale, ma anche grazie alla serenità con cui vede la vita e gli altri nonostante abbia vissuto sulla sua pelle la cattiveria umana nella sua forma più agghiacciante: il genocidio.
È stato inevitabile parlare con lei della sua fede, e in particolare del concetto di compassione. “La compassione è un sentimento che tocca sia cristiani che buddhisti. – ci dice Claire Ly -. Un giusto quando compie una azione buona non riflette veramente. C’è qualcosa al fondo di noi stessi che esce, perché ci sentiamo che l’altro è un essere umano come noi. Quindi la bontà è un sentimento quasi immediato, che non discende quasi del tutto da un ragionamento”. Dal 17 aprile 2012 Claire Ly è onorata al Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano con un albero e una lapide. Pertanto è una persona dotata di questa peculiare capacità dei Giusti, ovvero le figure che durante i genocidi e i totalitarismi hanno saputo salvare vite umane, difendere la dignità dell’uomo e testimoniare la verità. Una verità che spesso viene sporcata dai regimi dittatoriali. “Tutti i dittatori quando vogliono imporre il loro regime strumentalizzano tutto ciò che appartiene alla religione – continua Claire Ly. – Deviano il discorso religioso e questo accade con qualsiasi religione. È successo anche con il cristianesimo. Per quanto riguarda il messaggio buddhista è stato manipolato dai khmer rossi. Loro hanno strumentalizzato la credenza nel karma, che vuol dire l’azione e le sue conseguenze. I khmer rossi hanno spiegato ai nostri contadini che i fucilati avevano avuto nient’altro che ciò che si erano meritati. Quindi avevano compiuto degli atti malvagi. Questo è un modo di glissare su ciò che dice la religione buddhista veramente. Fu anche una crudeltà estrema quella di dire che le vittime erano responsabili della loro sorte. E questo si trova in tutte le religioni. Questa è la manipolazione dei khmer rossi. Il buddhismo è una religione conosciuta per essere tollerante ed è vero, perché i buddhisti non hanno mai provocato guerre e piuttosto hanno subito le violenze degli altri”. Alla domanda su come si debba reagire davanti ai genocidi, e in particolare se secondo lei sia legittimo l’uso della forza contro i violenti, Claire risponde: “ È un problema filosofico: di fronte alla violenza bisogna restare nella non-violenza o bisogna rispondere? Per me che sono cristiana cattolica e ho lasciato il buddhismo, davanti alla violenza bisogna lottare. Con le armi o senza, bisogna proteggere la vita”. 

Dopo questi grandi temi Claire Ly ha parlato di progetti per il futuro. A fine giugno 2013 la professoressa andrà in Cambogia, dove parlerà con le autorità politiche e religiose (sia buddhiste che cristiane) per vedere se i tempi sono maturi per ottenere della buona terra dove piantare gli alberi per i Giusti della Cambogia. In questo momento nel Paese asiatico sono in corso i processi ai khmer rossi, perciò le ferite del genocidio sono aperte. Tuttavia potrebbero esserci speranze per creare un Giardino che per Claire sarebbe “della tolleranza e della riconciliazione” dopo il genocidio degli anni ’60 e ’70. La teologa e scrittrice ha elaborato un concetto di perdono molto particolare, per conoscere il quale vale la pena di seguire le sue apparizioni pubbliche e leggere i suoi libri, toccanti e veritiere testimonianze dell’orrore che fu scatenato dai khmer rossi. Con la complicità del re Sihanouk che è appena morto, ci spiega Claire. “I khmer rossi non sarebbero mai venuti al potere senza il suo sostegno. Quando loro lo destituirono nel 1965 lui si trovava in Francia. E lui era contro i khmer rossi. Ma quando l’hanno reinsediato al trono è andato in Cina e ha lanciato un appello al popolo cambogiano perché sostenesse i khmer rossi. Quindi lui è responsabile della loro presa del potere”.

Claire, nel corso di tutti quei rivolgimenti nella vita politica del suo Paese, ha vissuto il trauma di vedere annientata la sua identità, di dover diventare una persona intenta unicamente a sopravvivere. Oltre al dolore per l’uccisione del padre e di molti altri parenti. Ci ha parlato della “memoria più e meno ferita. Il mio ricordo peggiore è che in 24 ore ho dovuto imparare a diventare qualcun altro, a sopravvivere in situazioni molto dure. Il mio ricordo che mi dà un po’ di gioia anche relativamente alla tragedia del campo è stato rendermi conto che nel lager eravamo fratelli e sorelle nella sofferenza”.

Eppure ci ha insegnato anche che dal dolore si esce, guarendo le ferite della memoria. Nel gulag le diede sollievo accorgersi che non era l’unica a soffrire, che c’erano milioni di persone nelle sue stesse condizioni. Anche nelle difficoltà della sua vita in democrazia in Francia, Claire Ly si aiuta gioendo delle piccole cose. “Se sono triste guardo una rosa”. Ama le vacanze in montagna, “come i Papi”; viaggia spesso in treno, da dove scorge paesaggi bellissimi anche nella nostra penisola. Ed è sempre contenta di incontrare i collaboratori di Gariwo e quelli del PIME.

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