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Conversazione con Piotr M.A. Cywinski

storico e direttore del memoriale e museo di Auschwitz-Birkenau

Il Salone internazionale del Libro di Torino si è appena concluso e sono molti gli spunti che portiamo a casa dall’incontro con le realtà e le persone che anche quest’anno lo hanno animato. In particolare, nella Sala azzurra piena di centinaia di studenti abbiamo promosso, insieme agli amici di Spostiamo Mari e Monti, l’incontro Fare Memoria oggi. Conoscere il passato per agire nel presente, con Gabriele Nissim, Piotr M.A. Cywiński, Francesco M. Cataluccio, Wlodek Goldkorn e la moderazione di Sabrina Di Carlo.

Siamo partiti da un interrogativo concreto e allo stesso tempo complesso - che cosa significa (o dovrebbe significare) esercitare il dovere della Memoria nel nostro tempo scardinato - al quale abbiamo cercato di rispondere avvalendoci di un ospite, il direttore del memoriale e museo di Auschwitz-Birkenau Piotr M.A. Cywiński, il cui ruolo lo porta a confrontarsi quotidianamente con le sfide legate alla memoria più tragicamente esemplare del Novecento, quella dell’Olocausto. Ci ha parlato della responsabilità che sente nella gestione di un luogo così importante (“non sacro ma di morte”, lo ha definito Wlodek Goldkorn), dove oltre un milione di uomini, donne e bambini hanno perso la vita. Ma soprattutto ha parlato della visita ad Auschwitz come “il risveglio di un’inquietudine morale che non ha senso se non come rituale di passaggio”, attraverso cui la vita di chi passa quel cancello come "turista” non può rimanere uguale. “La persona che è entrata ad Auschwitz-Birkenau deve uscire in qualche modo diversa, ponendosi delle domande importanti. Questo è il senso della memoria. È più importante sperimentarla che parlarne, farla diventare un proprio dovere, non solo il racconto di eventi avvenuti 80 anni fa”. Una responsabilità che deve essere sì quella di ricordare il male, ma anche indagarne i meccanismi, osservare come si sono ripetuti e si stanno ripetendo ovunque nel mondo.

“Fino a non molto tempo fa”, ha proseguito Cywiński, “ero pessimista riguardo alla nostra capacità di reazione come esseri umani di fronte alla sofferenza dell’altro; ho visto quello che è successo ai rohingya in Myanmar, agli uiguri in Xinjiang, senza che nessuno ne parlasse o se ne interessasse. Quando però ho visto la reazione che l'Europa ha avuto nei confronti dell'invasione russa dell'Ucraina ho pensato che qualcosa, in fondo, ci fosse; non solo per la solidarietà che hanno mostrato le persone ma per il fatto che molti giornalisti e commentatori hanno collegato la questione ucraina e quello che è successo agli ebrei nella Seconda guerra mondiale, quando sono stati lasciati da soli nell’indifferenza collettiva. Per la prima volta, mi è parso che su una scala più ampia si mettessero a confronto esperienze diverse ma con delle somiglianze. ‘Da che parte voglio stare?': solo se cerchiamo di rispondere a questa domanda allora la memoria avrà un senso. Le persone che sono onorate nei Giardini dei Giusti non hanno scritto delle petizioni online, hanno aiutato qualcun altro in modo molto concreto… non hanno salvato tutto il mondo ma aiutato davvero qualcuno. Oggi sappiamo troppo per permetterci il lusso dell'indifferenza”.

Un concetto vicino a quello espresso durante l’incontro dal presidente di Gariwo Gabriele Nissim: “Può sembrare che Zelensky abbia fatto una forzatura quando ha paragonato la Shoah a quanto accade in Ucraina. Non sono la stessa cosa ovviamente, ma il leader ucraino ha voluto mostrare le stazioni del male nel nostro tempo: negare l’identità, invadere, colpire la libertà di espressione, attaccare le popolazioni, deportare i bambini. È un percorso verso il male estremo”.


A margine del dibattito in sala, abbiamo posto qualche ulteriore domanda al direttore Cywiński.

Auschwitz-Birkenau è il luogo in cui sono state uccise più di un milione di persone e, allo stesso tempo, una delle mete più visitate al mondo. Come si può mantenere l'equilibrio tra queste due identità? Come rispettare questo luogo e insieme renderlo universale per la memoria e l'educazione delle nuove generazioni?

Le persone vengono a visitare Auschwitz-Birkenau per motivi diversi; sono gruppi di studenti, parenti delle vittime, semplici turisti. Non sono molto interessato al motivo per cui vengono, per me la cosa più importante è ciò che portano con sé una volta che se ne vanno dopo quelle tre o quattro ore di visita. Le conseguenze sono più importanti delle ragioni o delle intenzioni che li hanno mossi.

Quale ritiene sia la “sfida”, o la responsabilità, più difficile oggi nella gestione del museo e memoriale di Auschwitz-Birkenau? Come affronta, per esempio, il tema del mantenimento dell’autenticità dei luoghi?

Sono due le cose secondo me più importanti da perseguire, al più possibile al meglio, nella gestione di un luogo di tale significato: il valore educativo e il mantenimento dell’autenticità. Credo anche che siano due tra gli obiettivi principali della memoria, ogni direttore di un luogo di memoria deve posizionarsi in equilibrio tra questi due elementi. Poi ovviamente c’è l’aspetto finanziario, che riguarda i fondi necessari a fare tutto questo.

I giovani che vengono a visitare Auschwitz-Birkenau che cosa stanno cercando?

Sono circa il 50/60% dei visitatori totali, generalmente vengono in gruppi organizzati, scuole, associazioni ecc. Sono completamente diversi, a seconda del paese da cui provengono, le tradizioni delle loro famiglie, la loro appartenenza a una certa cultura o gruppo religioso, etnico o nazionale. Dipende anche da come i fatti storici vengono loro insegnati a scuola; in modo molto diverso, per esempio, in Europa rispetto agli Stati Uniti. C’è un intero mosaico di persone ed è molto difficile fare un’analisi sociologica e definire un visitatore medio.

Come vi approcciate a queste persone, così diverse tra loro? 

L’impegno generale è lo stesso, raccontiamo loro i fatti. Abbiamo però 350 guide che parlano 20 lingue diverse e che conoscono i programmi scolastici, così come l'attualità, dei vari paesi di provenienza dei visitatori. Le guide devono anche essere pronte a reagire alle domande che vengono loro poste, che non riguardano solo la storia ma sono anche riflessioni sul presente. E questo è estremamente importante: non rinchiudere la memoria e la storia solo nel passato, ma considerarle una luce sulle nostre responsabilità e scelte morali nel presente.

Qual è, quindi, il ruolo della memoria per il futuro?

È una domanda molto difficile perché ci troviamo in un momento in cui le nuove generazioni non sono più molto in contatto con il loro passato. I loro nonni sono nati dopo la guerra e i sopravvissuti rimasti sono pochi. Ma, al di là di questo aspetto, penso che ci siano due scenari. Uno è rappresentato dal rischio che la Shoah diventi parte di una storia generale, un fatto cruciale ma comunque un fatto. Tra cinquant’anni potrebbe essere percepito come un evento storico alla stregua di Napoleone Bonaparte.
L’altra possibilità è che la memoria entri nell’immaginario comune come una parte fondamentale della nostra identità, della nostra comprensione dell’essere umano. Qualcosa di molto più profondo di una conoscenza storica. Dopo la Shoah, molte cose sono cambiate nella percezione collettiva, in Europa e nel mondo. È stato un punto di non ritorno e il nostro agire nel futuro deve tenerne conto. Se adottiamo questa prospettiva, credo che la Shoah avrà il suo giusto posto nella riflessione futura.

Helena Savoldelli, Responsabile del coordinamento Redazione e Joshua Evangelista, Responsabile comunicazione Gariwo

23 maggio 2023

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