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Intervista a Ilya Krasilshchik, fondatore di Helpdesk.media

di Irina Tumakova, giornalista di Novaya Gazeta Europe

Estratto dell'intervista realizzata da Irina Tumakova, giornalista di Novaya Gazeta Europe, a Ilya Krasilshchik, giornalista russo dissidente e fondatore di Helpdesk.media, una startup editoriale che aiuta i cittadini russi ad evitare la coscrizione e quelli ucraini a sopravvivere durante il conflitto. Ilya Krasilshchik, su cui in Russia verte un mandato di arresto fino a 10 anni, sarà ospite all'evento "La guerra oltre la propaganda", realizzato da Gariwo in occasione della Giornata della libertà di stampa presso il Giardino dei Giusti di Milano al Monte Stella (piazza Santa Maria Nascente, MM1 - QT8). L'evento si terrà il 3 maggio 2023 a partire dalle ore 10.30. 

La maggior parte dei tuoi lettori risiede in Russia o all'estero?

Circa il settanta per cento dei nostri lettori su Telegram risiede in Russia o proviene dalla Russia. Tuttavia, il nostro principale canale multimediale è Instagram, dove abbiamo un vasto pubblico ucraino, le cui dimensioni variano dal 15 al 50 percento del totale, a seconda delle settimane e dei materiali che pubblichiamo. Sebbene anche in Ucraina vi sia quindi un pubblico significativo, è necessario sottolineare come in Russia le persone sappiano come utilizzare una VPN, continuando quindi a leggerci nonostante il blocco. In ogni caso, i dati provenienti dalla Russia prima e dopo il blocco sono stati molto diversi. Per quanto ne so, ad esempio, il pubblico di Instagram in Russia è diminuito cinque volte dopo che è stato bloccato. 

Ho notato che il numero di visualizzazioni aumenta bruscamente quando parli di mobilitazione, di coscrizione e di come comportarsi in relazione a tutto ciò. Mi è parso che ciò caratterizzi il tuo pubblico.

Su Instagram il quadro è diverso. Se parliamo di Telegram, i nostri numeri su tale piattaforma sono sensibilmente cresciuti durante la mobilitazione, nel periodo di settembre-ottobre 2022, quando abbiamo risposto alle domande degli utenti in tempo reale. Nonostante ciò, si tratta ancora di un sottoprodotto per noi. La cosa principale che facciamo è raccontare storie di crimini russi contro le persone. Quasi tutto ciò viene costruito a partire dalle storie e dalle testimonianze di persone principalmente residenti in Ucraina, questa è la cosa principale che facciamo e per la quale riceviamo alti numeri di visualizzazioni o di lettura dei nostri articoli.

Personalmente, come è iniziata questa guerra per te?

È iniziata alle otto del mattino del 24 febbraio 2022, quando ho visto delle news pubblicate dal giornale indipendente russo Meduza. Successivamente, ho visto il fumo salire su Kharkiv. Per me la guerra è iniziata in quei momenti, anche se mi sembra che sia stato più o meno lo stesso per tutti noi. 

Sei rimasto a Mosca solo per una settimana dopo lo scoppio della guerra. Come mai hai deciso di partire così in fretta?

C'era un senso di pericolo imminente. Ho parlato pubblicamente di quello che stava succedendo. Si temeva che i confini sarebbero stati di lì a poco chiusi. In aggiunta, vi era il desiderio della mia ragazza, la quale è ora mia moglie, di andarsene il prima possibile. C'era preoccupazione per i nostri bambini. Volevo guardare tutto questo orrore da una distanza di sicurezza, per poi decidere come comportarmi di conseguenza.

L'idea stessa di creare "Helpdesk.media" è nata quando ti sei reso conto che era difficile andarsene?

È avvenuto tutto in maniera impulsiva. Dapprima, ho iniziato a scrivere molto su quanto concerneva la guerra; successivamente, il terzo giorno di conflitto, io e il mio amico e collega Sasha Polivanov abbiamo iniziato a trasmettere con persone che si trovavano in Ucraina. La nostra prima trasmissione è stata realizzata sabato 26 febbraio 2022. Ho lanciato una chiamata tesa alla raccolta di testimonianze e, fortunatamente, dozzine di persone presenti in Ucraina e che erano pronte a parlare hanno risposto. Si trattava di persone residenti a Irpen, a Gostomel, a Kharkiv, a Odessa, a Lvov, a Kiev, a Zaporozhye, a Kryvyi Rih, tutti luoghi simbolo della guerra da poco scoppiata. Quella prima trasmissione è stata vista da 600 persone e così abbiamo deciso di continuare. Poi, a partire dall’esperienza maturata, ho cominciato a pubblicare le testimonianze dei singoli cittadini. Continuavano a giungere richieste volontarie e spontanee di testimonianza. Alcuni tra questi contenuti hanno anche raggiunto un pubblico di 600-700mila persone. Le testimonianze hanno iniziato ad essere lette sia in Russia che in Ucraina. Una settimana e mezza dopo, ho scritto ai miei ex colleghi di Meduza - i quali avevano abbandonato il territorio russo - e mi sono offerto di allestire una piattaforma sulla quale scrivere articoli giornalistici. Era impossibile per me stare a guardare senza fare nulla: lo trovavo insopportabile. E quando è insopportabile, devi fare quello che puoi. Volevo solo fare qualcosa di più, che potesse aiutare le persone in qualche modo. Tutto ciò è avvenuto a marzo. A maggio, invece, ci siamo resi conto di quanto sia impossibile creare contenuti mediatici quando si dispone di un altro mezzo di informazione in parallelo, in questo caso i miei social network personali: abbiamo quindi deciso di ribattezzarli "Helpdesk". In seguito a ciò, sono stati creati i nostri profili Telegram e Instagram.

E ora tu, come molti russi all'estero, sei indagato e ricercato...

Sì, è stato emesso un mandato di arresto nei miei confronti.

Ciò è avvenuto dopo la tua rubrica sul New York Times ?

No. È scaturito tutto in seguito ad un post da me pubblicato su Instagram - quando era ancora in mio possesso - nel quale ho scritto che il massacro di Bucha è stato un crimine commesso dalla Russia, e se hai dei dubbi a riguardo, allora - testualmente - “sei un complice e uno stronzo". In seguito alla pubblicazione di questo post, diverse persone - apparentemente - si sono offese e hanno deciso di avviare un procedimento penale nei miei confronti. Esso è stato avviato, a quanto pare, il 20 aprile 2022. In aggiunta, è stato condotto di recente, quest'anno, un esame della mia intervista con Ilya Shepelin e ciò ha portato ad un “rafforzamento” della mia pena. Ho ricevuto la comunicazione della mia pena che, inizialmente con durata fino a cinque anni, è stata recentemente aumentata - se non sbaglio - a dieci. La motivazione è che fossi "spinto dall’odio”, e che traessi vantaggio “dalla mia posizione pubblica”, o qualcosa del genere. Riguardo a questi due capi d’imputazione sono d'accordo con loro: sono stato senz'altro guidato dall'odio. E ho usato la mia posizione pubblica per denunciare il massacro. 

La reazione occorsa in Russia in merito alla pubblicazione del tuo articolo sul New York Times ti ha sorpreso?

C'è stato un momento che mi ha piuttosto sconvolto. Non credo che molti abbiano letto l'editoriale in inglese, visto che io stesso ho pubblicato la versione russa. In ogni caso, vi erano delle parole inedite che sono state omesse in inglese. Esse servivano da “filo rosso”, anche se non ricordo bene a quali parti si riferissero, mi sembra di ricordare che riguardassero i concetti di "responsabilità" e "colpa".

Qual è la tua responsabilità personale?

Ecco, vorrei proprio iniziare da me stesso. Sento di avere una responsabilità, anche se non riesco a misurarla con precisione.

In cosa? Chiunque ti dirà: "Cosa potrei fare io, cosa potresti fare tu?" - e sarà, in linea di principio, giusto. Non ti sto domandando una opinione in merito ai nostri colleghi giornalisti, visto che potremmo scrivere quanto sta accadendo in Ucraina, così come già fatto da Novaya. Ma in generale, cosa avrebbero potuto fare le persone, che sapevano che si stesse andando verso la guerra?

Inizierò da me stesso. Se avessi saputo con anticipo che si sarebbe arrivati a una guerra, cosa che - ovviamente - non sapevo, o meglio, quella era la mia illusione, allora forse avrei cambiato idea riguardo al mio pensiero che fossi stufo del giornalismo, e che volessi tornare a Mosca per cercare un altro impiego. Magari avrei evitato di lavorare come corriere di un fruttivendolo per 3 anni o fatto altri lavori lontani dal giornalismo. Il mio senso di responsabilità sta da qualche parte qui. Oppure, mi viene anche in mente di quando - nel 2011-12 - ho aiutato ad organizzare manifestazioni, fortemente intrise del pensiero idealista che, attraverso una protesta pacifica, piena di gente sorridente che si scambiava fiocchi, il regime sarebbe caduto. Con il senno di poi avremmo dovuto agire diversamente, con più forza. Mi sento responsabile per questo motivo? Certo, mi sento responsabile per aver partecipato all'organizzazione di questi raduni, e non importa quanti anni avessi allora. 

Pensi che tutti possano provare qualcosa del genere, ovvero l’idea di aver fatto qualcosa di sbagliato, che la guerra potesse essere prevenuta?

Non credo tutti. Certo, non tutti. Una persona disagiata che vive in una città di provincia, ad esempio... non voglio affatto generalizzare perché in ogni generalizzazione c'è un elemento di crudeltà, un’anti-empatia radicale, per così dire. Non si può fare di tutta l'erba un fascio. In ogni caso, vi sono persone che hanno delle responsabilità, anche se nessuno vuole riconoscerlo. Tutti hanno fatto tutto bene? Come mai tutti hanno fatto tutto bene, e questo è quello che è successo? E vi erano molte situazioni analoghe. All'inizio degli anni 2000, ad esempio, la televisione è andata in frantumi. Al tempo stesso, il parlamento è andato in frantumi. Da quanti anni non disponiamo di una normale opposizione strutturale? Non parlo di una opposizione di natura “sistemica”, intesa come il Partito Liberal Democratico, ma bensì reale, con una rappresentanza politica. Ciò si protrae da vent’anni. E più va avanti, più difficile sarà cambiare qualcosa. Nonostante ciò, vi è stato un momento in cui poteva essere possibile cambiare qualcosa. Qualcuno ha avuto un tale desiderio? Alcuni ce l'avevano, altri no... Abbiamo persone responsabili per il paese? Secondo me sì, ma ancora una volta, ciò non può essere misurato con precisione. Ma vorrei aggiungere qualcosa di positivo. Ci sono persone che, contrariamente a quanto descritto, hanno fatto molto. Sono consapevoli della propria responsabilità e si sono quindi prodigati per iniziare a fare ancora di più. Ad esempio, mi vengono in mente i musicisti che se ne sono andati e ora raccolgono denaro per l'Ucraina. Oppure i cittadini russi che se ne sono andati e lavorano come volontari. Oppure quelli che, pur non avendo abbandonato il paese, sono impegnati nell'attivismo in Russia. Penso anche a quelli che chiedono che gli sia permesso di vivere le loro precedenti vite “normali” - che erano cioè soliti vivere prima che scoppiasse il conflitto - perché vogliono disporre del diritto a vivere una vita normale, in quanto con la guerra non c’entrano assolutamente niente. Penso che abbiano molto a che fare - in materia di responsabilità personale - con un fenomeno che mi ricorda la Germania nazista, dove generazioni di militari hanno detto per decenni, dopo la fine della guerra, che non c'entravano niente con i crimini commessi dal regime, di cui erano stati vittime. I russi sono vittime di Putin? Certamente. Eppure, non dispongono essi di una propria soggettività? Perché queste persone rinunciano così facilmente alla propria individualità? Questo concetto continua a non essermi chiaro.

Quanto bisogno c’è di giornalismo? Stiamo facendo abbastanza?

Se stai parlando della Russia, allora non posso dirti nulla, visto che lo sai meglio di me! Ho lasciato un paese completamente diverso. Se parliamo della professione in generale, non ho dubbi che sia necessario, ma ho dei dubbi sulla portata di ciò viene richiesto. Voglio davvero intravedere un qualche vantaggio pratico in questa professione, e non solo spirituale e culturale, in quanto disponiamo dell’onere di cambiare la coscienza delle persone. È un lavoro pratico: quando pubblichiamo le prove dei crimini russi e le inviamo alle organizzazioni ucraine, le quali le raccolgono e le registrano professionalmente per il futuro tribunale internazionale che verrà costituito per condannare i crimini di guerra commessi dalla Federazione Russa in Ucraina, allora capisco perché lo stiamo facendo. 

Pensi che questo sia giornalismo?

Questo è un lavoro che può essere definito come una aggiunta alla professione di giornalista. Mi sovviene un paragone con il funzionamento delle pubblicazioni investigative: ad esempio, "Storie importanti" conduce indagini, identifica le catene di approvvigionamento in Russia delle varie attrezzature speciali e quindi interrompe queste consegne. Questo è un fatto, lo capisco. La mia domanda alla professione è se oggi sia sufficiente una descrizione obiettiva della vita quotidiana, personalmente non credo sia abbastanza. Questo non significa che ciò non debba essere fatto, così come non significa affatto che tutti dovrebbero impegnarsi nell'attivismo. In ogni caso, la mia visione della professione di giornalista - durante quest’anno di guerra - si è avvicinata molto a quella dell'attivista. Per me è molto importante che siamo più simili ad una organizzazione di beneficenza piuttosto che mediatica. La cosa principale che facciamo è quella di aiutare direttamente le persone che ci scrivono  cose piuttosto terribili. Ma questo non significa che non sia necessario parlare semplicemente del destino delle persone; parlando francamente, la vittoria dell'Ucraina in questa guerra è per me la cosa più importante per me. Grazie a Dio, nel nostro team ci sono colleghi interessati principalmente alla professione, controllano i fatti, comunicano con le persone e le aiutano. Per me, invece, è importante sapere che il mio lavoro avvicini - in qualche modo - la vittoria dell'Ucraina. Devo dire che non mi sono sempre sentito così. Di solito la penso diversamente. Forse ciò significa assumersi un onere troppo gravoso, pensare cioè di avvicinare il compimento di un evento assai importante. Riconosco di sentirne un bisogno fortissimo nell'anima.

In teoria, si tratta di attività che si escludono a vicenda: giornalismo e attivismo. Se ricordiamo i classici del genere, ad esempio, allora un giornalista non dovrebbe pensare di avvicinare o allontanare il compimento di un determinato evento. Hai cambiato tu idea a riguardo o è il giornalismo ad essere cambiato a causa della guerra?

Naturalmente, i canoni classici della professione ci dicono che questo è un obiettivo impossibile. In ogni caso, io mi pongo in relazione a tutto ciò non solo come giornalista, ma anche come persona che ha co-fondato un'organizzazione ibrida, che unisce elementi del giornalismo e dell’attivismo. Pertanto, abbiamo una parte giornalistica professionale e una di attivismo professionistico. I giornalisti comunicano con gli attivisti e si aiutano a vicenda, senza infrangere nessuna delle proprie regole deontologiche; e così è sempre stato, noi abbiamo solo reso più stretta questa interazione. Vi sono un editoriale indipendente e un programma di aiuto e non sussiste, quindi, proprio nessun tipo di conflitto qui. Il conflitto semmai è con Mosca, visto che noi abbiamo preso una posizione politico-ideologica ben precisa: siamo per la vittoria dell'Ucraina.

 Questo è ciò che intendo. Dopotutto, potrebbe anche capitare un evento del quale, giornalisticamente parlando, avresti il dovere di scrivere a riguardo, anche se la sua pubblicazione dovesse ledere agli interessi dell’Ucraina. Cosa vincerebbe in questo caso?

Ti dirò come risolviamo questo conflitto in totale autonomia. Il nostro lavoro principale come media si compone di due parti; la cosa principale è che raccontiamo le storie delle persone, non facciamo indagini, non facciamo analisi politiche e non facciamo analisi militari. Raccontiamo solamente le storie delle vittime o di altri eroi. Pertanto, il problema di cui parli è ridotto al minimo per noi. In secondo luogo, noi, come molte altre organizzazioni, aiutiamo le persone, in primis, a non impazzire a causa degli orrori della guerra. Successivamente, aiutiamo le persone a scegliere consapevolmente di non diventare soldati nell'esercito russo, e anche questo - almeno io credo - è una parte importante dell'aiutare l'Ucraina. Non solo, cioè, salvare le persone, ma anche impedire all'esercito russo di arruolare tutte quelle persone di cui ha bisogno per continuare la propria aggressione. È chiaro che quanto fatto da noi sia ancora una goccia nell’oceano, ma ciò non significa che non si debba fare. Abbiamo ucraini nella nostra squadra che si sono distinti per aver aiutato i russi a fuggire dal paese. C'è una persona specifica nel nostro team che mi ha detto: “sono pronto a tutto, purché non prendano le armi e inizino a sparare ai nostri soldati”.  Questa è una posizione? Certamente. Ma, proprio parlando di persone a cui l'esercito russo ha rovinato la vita, è difficile imbattersi in situazioni in cui il nostro lavoro non sia nell'interesse dell'Ucraina. È possibile, senz’altro, imbattersi in tali situazioni se si inizia a indagare sul funzionamento del governo ucraino, sul fenomeno della corruzione in Ucraina, su come sta combattendo l'esercito ucraino e così via. Ma questo, secondo me, non è affatto il nostro ambito di applicazione; lasciamo che se ne occupino le testate giornalistiche ucraine o il New York Times. La nostra pubblicazione è stata fondata dai russi, e sarebbe estremamente immorale compiere tale analisi. Non riesco proprio a immaginare che i russi possano indagare su “cosa vada e cosa no” in Ucraina. Noi non abbiamo il compito di cambiare qualcosa in Ucraina; pretesa che, almeno questa è la mia opinione, è generalmente appannaggio dei russi, i quali sono enormemente sopraffatti dal desiderio di cambiare qualcosa in Ucraina.

È vero: di recente ho parlato con un russo che mi ha dimostrato che gli ucraini sono completamente pazzi, che hanno una corruzione dilagante e che Mosca ha quindi urgente bisogno di mettere le cose in ordine sul territorio ucraino.

Sì, sì, è assolutamente così. Questo giustifica in qualche modo - dal loro punto di vista -  cosa sta facendo il mio paese, nel tentativo di confrontare e non confrontare, di stabilire chi sia il migliore e chi, invece, il peggiore. A me interessa, invece, solo di quanto sta facendo il mio paese. Perché queste persone cercano sempre di aggiustare altri paesi e non il proprio?

Ora vivi in ​​Germania, dove riesci a lavorare in ottemperanza alla legislazione tedesca. Ti senti ancora un giornalista russo?

In quale altro modo posso sentirmi?

I giornali americani, la cui posizione su questa guerra è anche comprensibile, hanno pubblicato fughe di notizie che potrebbero danneggiare l'Ucraina, e sicuramente lo hanno capito. Hanno fatto bene a pubblicarli?

Penso che sia giusto. C'è una differenza radicale tra ciò che viene pubblicato dalle testate americane, britanniche, tedesche o di qualsiasi altro tipo e ciò che viene pubblicato in Russia. Per me, la cosa principale qui è che sono un cittadino del paese che ha attaccato l’Ucraina, in modo completamente illegale. Non capisco come si possa assumere una “posizione oggettiva” in una situazione del genere. Ho troppi sentimenti a riguardo per nasconderli. E, secondo me, nascondere queste esperienze è semplicemente disonesto. Se sei un giornalista americano, non hai attaccato nessuno e stai guardando tutto ciò dall'altra parte dell'oceano, con un’ottica completamente diversa. E non pubblicare leak sarebbe per loro un atto di autocensura. Queste fughe di notizie esistono già, questo è un dato di fatto, queste informazioni sono già apparse e devono essere valutate dal punto di vista dell'importanza pubblica. Questo, ovviamente, può danneggiare l'Ucraina, e questa storia è mostruosa in primo luogo a causa della facilità con cui si scopre che i documenti segreti possano essere trapelati. Ma tutto ciò non può essere semplicemente preso e nascosto, a meno che lo stato non ne proibisca la pubblicazione, ma in America ciò è impossibile.

Cosa farai se otterrai questo tipo di informazioni? Fermo restando che sia necessario pubblicarle, nonostante la tua opinione in merito?

Ho una posizione comoda a riguardo: questo non è l’ambito di cui ci occupiamo. È sempre importante creare ancora una certa cornice all'interno della quale non ti limiti. La nostra cornice sono le storie di persone raccontate da loro stesse. Abbiamo un obiettivo chiaro e, ovviamente, un filtro molto duro. Leggendoci, è impossibile avere un'idea completa di ciò che sta accadendo, non siamo la pubblicazione che consente di comprendere appieno ciò che sta accadendo, non abbiamo un compito del genere, siamo una pubblicazione di nicchia in questo senso . Ma, nella nicchia che abbiamo scelto, ci sentiamo liberi.

C'è una strana contraddizione. Da un lato, molto è stato detto e scritto in Europa e nel mondo in generale su quante persone in Russia siano già in carcere per aver protestato contro la guerra. Quante tra esse sono ancora sotto procedimenti penali o devono pagare multe? É chiaro che molte persone resistano alla guerra, nonostante essa sia assai pericolosa. D'altra parte, nella stessa Europa dicono: questa non è la guerra di Putin, questa è la guerra dei russi. Perché l'attenzione è rivolta a una parte del mondo e non ad un'altra? Perché tutti vengono incolpati, compresi quelli che vengono imprigionati o espulsi dal Paese?

Non vedo alcuna contraddizione qui. C'è una gamma di opinioni. Qualcuno nel mondo parla di responsabilità condivisa, ma io non sono d'accordo. A proposito, è per questo che mi sento più a mio agio in Germania che in Georgia. In Georgia, siamo percepiti come rappresentanti dell'impero, e non sono pronto a discuterne, perché i georgiani hanno sofferto a causa dell’impero nel 2008. E in Germania, ho una sensazione completamente diversa. Da un lato sono cittadino russo, dall'altro sono ebreo e ci sono molti posti in Europa in cui la Germania nazista ha ucciso i miei parenti. E quando i tedeschi parlano del motivo per cui i russi non vanno contro Putin, ho qualcosa a cui rispondere. Queste risposte sono nella storia della Germania. In ogni caso, mi sembra che quando le persone incolpano tutti i russi contemporaneamente, ci sia anche una sorta di sordità spirituale in questo. Ciò non nega il fatto che i cittadini russi, in generale, non abbiano un aspetto migliore ora. E questa è la tragedia: non puoi cambiare nulla, nonostante i cittadini di un altro paese stiano combattendo contro il regime del tuo presidente, e morendo per questo motivo. Dopotutto, gli unici che ora stanno davvero combattendo su larga scala contro Putin e che sono davvero pericolosi per il regime russo, sono gli ucraini stessi. Si può dire molto di più su questo. Ma quando hai 20 anni e ti viene detto che non puoi fare niente, e che se ci provi allora vieni arrestato; quando ti dicono che puoi essere imprigionato per 25 anni, allora che tipo di proteste possono svilupparsi? Sotto un tale regime le proteste, probabilmente, avvengono solo nei film. In Iran, com’è noto, si sono verificate delle proteste, ma il risultato profuso non è stato quello sperato.

Come immagini il futuro di persone come te? Coloro che sono stati costretti ad andarsene stanno ora affrontando procedimenti penali e altre pene in contumacia. Cosa ti succederà dopo?

Non sono mai stato molto preoccupato per i problemi riguardanti il futuro. Forse questo è un mio errore, anche se è una semplificazione che personalmente mi aiuta molto a vivere. Vivo nella modalità "fai quello che fai e qualunque cosa accada". Ho visto parecchi eventi che cambiano tutto nella vita in generale, quindi mi sembra assolutamente privo di significato parlare del futuro, in cui probabilmente ci saranno molti altri eventi simili. Altrimenti, sarei come un millepiedi che ha improvvisamente dimenticato come controllare le sue gambe! Posso solo fare le mie cose e pensare a come ciò influisca su quello che sta accadendo ora.

28 aprile 2023

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