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Turchia, il diritto non è più applicato

intervista a Cengiz Aktar

Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dato il via libera finale all'emendamento costituzionale che priva dell'immunità parlamentare i deputati con procedimenti a loro carico. La legge, approvata il 20 maggio dal Parlamento con 367 voti su 550, è stata proposta dal partito di governo AKP ed è vista come un’arma per neutralizzare principalmente gli esponenti del Partito Democratico dei Popoli (HDP) filo-curdo, sotto inchiesta per presunto sostegno al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), fuorilegge in Turchia. Un Paese dove “il diritto non è più applicato", la stampa indipendente non ha spazi di espressione e il radicalismo religioso si diffonde, mentre il governo è impegnato a combattere i curdi, dice l’analista politico Cengiz Aktar in questa intervista a Gariwo.


Ci sono state reazioni di tipo politico dopo l’emendamento costituzionale che ha tolto l’immunità a 138 parlamentari, principalmente dei due partiti di opposizione, HDP e CHP?

E’ stata lanciata una petizione sottoscritta da 85 personalità di rilievo per chiedere al partito CHP (repubblicano laico) di fare ricorso alla Corte Costituzionale contro l’emendamento. Pochi deputati del CHP hanno votato “si” a quella legge assieme al presidente del partito, mentre la maggioranza era contraria. Ma in Turchia ogni giorno avviene qualcosa di anticostituzionale o illegale, come i mega progetti edilizi, tutti fuori legge, perché non sono sottoposti ad adeguate analisi di impatto ambientale. La Turchia è ormai un Paese dove il diritto non è più applicato e i cittadini non hanno garanzie per la loro sicurezza. L’unico partito che ancora propone un tipo diverso di politica è l’HDP (pro-curdo) e il governo sta cercando di liberarsene e di escluderlo dal parlamento.

Non esiste un’altra forma di opposizione?

Si, esiste, il 50% della popolazione turca, se non di più, è contraria al partito al governo, ma non è una forza organizzata e una parte di essa è anche contro i curdi. Poche persone si rendono conto che il partito dominante sta creando divisioni tra i cittadini: “divide et impera”. E fino a che l’opposizione sarà così divisa, niente cambierà nel Paese.

I cittadini turchi sembra non vogliano più scendere in piazza per manifestare come negli anni scorsi.

E’ vero, è un fenomeno nuovo dopo i fatti di “Gezi Park” nella primavera 2013. Molte persone ora hanno paura, non ci sono più proteste perché le manifestazioni sono vietate e la polizia disperde con violenza i cortei.

Di recente lei ha partecipato agli “Istanbul Seminars”, organizzati da Reset-Dialogues on Civilizations e Istanbul Bilgi University per dibattere su “Religione, Diritti e Sfera Pubblica” e sulle cause ed effetti del radicalismo religioso. Come è la situazione in Turchia?

Il radicalismo è diffuso, i servizi di intelligence parlano di 8.500 nuove reclute dalla Turchia nelle file dellISIS o Daesh negli ultimi due anni. C’è una simbiosi tra i gruppi radicali in Turchia, Iraq e Siria e l’Islam turco è sempre più legato al movimento salafita e alla sue diverse scuole di pensiero. La Turchia ha già sofferto molto per i ripetuti attacchi terroristici che hanno preso di mira i curdi, i turisti, i normali cittadini.

Il governo ha preso misure efficaci per contrastare questa minaccia?

No. Stando ad alcune indiscrezioni le forze di sicurezza avevano avuto sentore di alcuni attentati, ma non hanno fatto niente per prevenirli e questo è preoccupante. Ora sembrano essersi rese conto del pericolo rappresentato dall’ISIS, ma non sono capaci di combatterlo realmente.

Oltre alle misure di polizia si pensa di usare altri strumenti, per esempio l’educazione, per battere il radicalismo?

Può darsi che alcune nazioni europee tentino di contrastarlo anche con altri sistemi, ma non è purtroppo il caso della Turchia, dove le autorità sono sempre state troppo tolleranti con l’Islam radicale.

Riguardo alla libertà di stampa, dopo il commissariamento del quotidiano di opposizione Zaman, con la chiusura dell’edizione online inglese Today’s Zaman e la censura sulla versione in turco, esistono ancora testate indipendenti e imparziali?

Quasi nessuna. L’unico giornale che ancora cerca di essere obiettivo è Cumhuriyet, ma il suo direttore e il corrispondente da Ankara sono stati condannati a cinque anni di carcere per rivelazione di segreti di stato. Il settimanale Agos ha una linea corretta ma non può coprire tutto. Gli unici canali rimasti a garantire la libertà di espressione e opinione sono i social media, in particolare Twitter - ed ecco perché il governo è così allergico ai “Tweet" - e poi Internet e i media curdi, come l’agenzia di stampa DIHA. Ma naturalmente la maggioranza della popolazione in Turchia non ha accesso ai social media e subisce la pressione della propaganda ufficiale.

La Turchia ha firmato l’accordo con l’Unione europea per arginare il flusso dei migranti in Europa in cambio dell’ingresso dei cittadini turchi nella UE senza obbligo di visto. Ritiene che funzionerà?

L’unico risultato tangibile di questo accordo è il minor numero di sbarchi dalla Turchia alla Grecia. Ma a cosa serve? I siriani non hanno prospettive, non hanno alcun futuro in Turchia. Quindi saranno tentati dall’idea di andarsene e prima o poi la pressione salirà di nuovo. Solo il 10% di loro vive nei campi di accoglienza, il resto è per strada e affronta grandi disagi nella vita di tutti i giorni. Oltretutto il numero dei richiedenti asilo o migranti illegali respinti dalla Grecia in Turchia è modesto e anche i ricollocamenti dei siriani dalla Turchia nei paesi europei sono molto pochi.

Nel sud-est della Turchia gli scontri tra le forze di sicurezza e i militanti del PKK hanno devastato città e villaggi. Quale può essere la via d’uscita dal conflitto?

L’esercito sta conducendo le operazioni militari e pensa di risolvere così il problema, ma è una chimera, un bel sogno. La autorità hanno cercato di usare la forza in passato e hanno sempre fallito e molto probabilmente falliranno di nuovo. La Turchia avrebbe probabilmente bisogno di una terza parte, un mediatore come furono gli Usa per la ex Yugoslavia, per creare le premesse per una pace duratura, ma siamo molto lontani da questo.

La nomina di Binali Yildirim come nuovo primo ministro rappresenta un cambio nella scena politica della Turchia?

Non è un primo ministro, assomiglia a un primo ministro. Ha annunciato che il suo compito è facilitare la creazione di un sistema presidenziale, il che significa che lavorerà contro se medesimo.

Ahmet Davutoglu era una figura migliore?

Davutoglu era una creazione di Erdogan, e quando questi ha deciso che la sua funzione e utilità era esaurita, se ne è liberato. 

Cengiz Aktar è Senior Scholar all'Istanbul Policy Center, esperto di relazioni tra Unione europea e Turchia e sostenitore dell'integrazione di questa nella Ue, studioso delle minoranze e fautore della riconciliazione tra turchi e armeni, già consulente per 22 anni all'Onu, oggi scrittore ed editorialista per il network televisivo Al-Jazeera, membro del Board della Hrant Dink Foundation.

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