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"Un mondo senza profeti"

intervista a Marek Halter

Abbiamo parlato con Marek Halter, lo scrittore francese difensore della pace e del dialogo intercomunitario all’origine del primo incontro tra israeliani e palestinesi, del suo ultimo libro Un monde sans prophètes, Alerte Hugo Doc 2021 (Un mondo senza profeti) e di come possiamo attivarci positivamente in questo periodo storico privo di punti di riferimento etici. L’intellettuale è stato recentemente vittima di un’aggressione in casa propria a Parigi mentre si stava occupando del libro in uscita e, racconta, ha ricevuto migliaia di messaggi di vicinanza dall’Italia e da tutto il mondo.

Inizierei con il suo ultimo progetto, un libro che penso rappresenti il suo pensiero su come possiamo perseguire la pace in questa epoca. Cosa l’ha spinta a scrivere quest’opera? Perché ha deciso di descrivere il presente con questa precisa definizione, “senza profeti”?

Perché mi sono reso conto che c’è bisogno di figure che risveglino gli uomini, che li riportino sulla via giusta, che ricordino loro il senso della giustizia. Quando queste persone non ci sono, non soltanto la giustizia viene a mancare ma mancano anche gli uomini politici capaci di rispondere alle domande del presente. La parola “profeta”, nabi in ebraico, viene dal termine accadico nabû, che significa le cri, il grido; si tratta di uomini che “gridano”, informano, denunciano.

Nel 1030 avanti Cristo, l’ultimo dei giudici, Samuel, dovette dare al popolo ebraico un re, il primo re d’Israele, Saul. Gli ebrei volevano infatti essere come tutti i popoli “moderni”, avere un re. Così, il giudice lo diede loro. Nel farlo però, volle spiegare che un potere veramente giusto non esisterà mai; un uomo con il potere, osservava, non farà tutti i giorni dei referendum, non chiederà sempre al popolo che cosa pensa, ma prenderà delle decisioni, deciderà per esempio di fare la guerra, e tanti giovani moriranno in un conflitto che non hanno scelto, il popolo sarà schiacciato dalle tasse perché un re ha bisogno di denaro… ma nonostante questi avvertimenti gli ebrei continuavano a volere un re, come tutti gli altri. Quando lo ebbero avuto, il giudice Samuel disse che sarebbe stato necessario, a quel punto, limitare il potere totalitario del re, creare un contro-potere, e così diede vita alla prima scuola di profeti, della quale fecero parte sia uomini che donne. Insegnò loro come attirare l’attenzione del popolo - all’epoca non c’erano la radio, la televisione, internet -, questi informatori dovevano svegliare le menti perché non accettassero l’inaccettabile. Fu così che nacque il concetto di profeti. I profeti nell’antichità giocavano un ruolo essenziale, erano coloro che ricordavano al re di attenersi alle sue promesse e ai suoi doveri; la maggior parte di loro sono stati uccisi per questo. Non era facile essere profeti, trasmettere alle genti la morale, non era facile essere un giusto (per gli ebrei non ci dei santi come per i cristiani ma dei giusti).

Ad un certo punto, l’antichità giunse al termine e iniziò un’altra epoca in cui furono la religione, il clero, a prendere tutto tra le proprie mani; ci furono la religione cristiana (il Cattolicesimo, poi il Protestantesimo) a partire dal VII secolo l’Islam - che ripresero il concetto di profeti. Maometto, nel Corano, riconosce tutti i profeti, a partire da Abramo (Ibrahim), passando per Isaia, Geremia, fino a, ovviamente, lui stesso.

Ci fu inoltre un’epoca senza profeti: il Medioevo. Oggi noi stiamo vivendo un momento che ci riporta proprio lì, alla Peste Nera del 1346, che è il Covid-19. In tre anni un terzo della popolazione europea morì, gli uomini erano terrorizzati, e quando le persone hanno paura, quando non capiscono perché muoiono, iniziano a diffidare di tutti, a odiare chiunque. Si cercano dei capri espiatori, il primo furono le donne - le streghe -, poi gli infermi, gli ebrei avvelenatori di pozzi. Nasce il razzismo. Ogni Paese si chiude nelle proprie frontiere come se potessero tenere fuori la morte; ma la morte attraversa i confini, non chiede certo il permesso.

Dopodiché venne un momento in cui ci furono di nuovo dei profeti, fu quello che chiamiamo l’époque des Lumières, l’Illuminismo. Voltaire, Rousseau, furono delle personalità non più religiose, non credevano in Dio, ma credevano in qualcosa in cui anche io e lei crediamo, nell’Umanità. Partivano dal principio che ognuno avesse il diritto di esprimersi. Voltaire non amava i protestanti ma li difendeva, fece dei processi per questo e li vinse. Disse: “È vostro diritto dire ciò che pensate, dovete parlare, anche se dite cose che a me non piacciono”. E poi ci fu Rousseau, la Rivoluzione francese, quella italiana, la rivoluzione che attraversò l’Europa nel 1848…

Che caratteristiche deve avere il profeta secondo lei?

Il profeta è una persona carismatica, che non ha niente da vincere, non ha interessi politici né economici, ha un’unica preoccupazione, la giustizia.

È per questo che, per esempio nelle Russia di oggi, c’è differenza tra Navalny e Solženicyn. Navalny è un uomo coraggioso, che merita di essere sostenuto, ma è un oppositore politico di Putin. Solženicyn, invece, non voleva entrare al Cremlino, voleva solo instaurare un sistema più giusto in Russia, e, una volta che il comunismo cadde, partì per il Vermont per scrivere libri… non voleva essere ringraziato o applaudito, non era questo che gli interessava. È questa la forza del profeta.

Lei conosce sicuramente l’abate Pierre, fondatore di Emmaüs, un amico. Un giorno venne invitato in televisione e lanciò un grido, “aiuto!”, “le persone stanno morendo di fame”. Il popolo francese venne così risvegliato da un piccolo buon uomo che portava un berretto e camminava con un bastone. Ecco, questo è il profeta.

Oggi purtroppo siamo come nel Medioevo: non c’è nessuno che possa svegliarci e nessuno che possa darci la speranza, la speranza collettiva. Cosa ci sarà dopo, all’uscita dal Covid?

La Peste Nera ad un certo punto si fermò, non sappiamo perché, non c’erano dei vaccini o delle medicine, il virus si fermò e succederà la stessa cosa oggi. Ci vorranno anni, molte persone moriranno, ma prima o poi il Covid si fermerà e che cosa succederà dopo? non c’è nessuno che possa darci speranza. Questo mi fa paura. Le persone si ritrovano confinate, isolate. Giorni fa per esempio ero a Bruxelles per presentare il mio libro, ho incontrato il primo ministro che ha annunciato alla televisione la chiusura completa del Belgio per un mese, come in Olanda. Le persone continueranno a morire fino a che non avremo superato il Covid, e quindi qual è un modo per gli uomini e le donne di uscire da questa solitudine? attraverso la violenza… Non so cosa accada in Italia, ma in Francia ci sono delle bande di giovani di undici/dodici anni che affrontano altre bande di giovani, che uccidono, per avere “un’avventura”. Noi, gli adulti, non siamo più capaci di proporre ai giovani un’avventura. Oggi non c’è niente. Non ci sono ideologie. Le chiese, le religioni non riescono a compiere il loro ruolo nel dare la speranza. L’ultimo spiraglio di speranza venne dato, credo io, dal mio amico Giovanni Paolo II al quale volevo molto bene - parlavamo insieme in polacco. Di fronte a una folla di un milione di giovani in Piazza San Pietro il 22 ottobre 1978 lanciò un appello: "Non abbiate paura!”. Questi riferimenti oggi mancano, ed è questo il problema.

Noi ebrei abbiamo, possiamo dire, una via d’uscita rispetto a questo, i giusti, che sono una donna come voi o un uomo come me. Non sono dei santi, ma hanno fatto più il bene che il male. Noi abbiamo “reinventato” questo termine, giusti - poiché era già nella Bibbia - per ringraziare i non ebrei che salvarono gli ebrei durante la guerra, li chiamiamo Giusti tra le Nazioni. E quando chiediamo ad alcuni di coloro che hanno salvato - come Irena Sendler in Polonia che salvò 2.500 bambini ebrei - che cosa li ha spinti a farlo, ci guardano sorpresi, “è normale”, dicono. È questa la cosa straordinaria. Arriviamo così a quello che voi fate in Italia parlando di giusti, persone che sono pronte a tendere la mano verso gli altri…

Il nostro lavoro, il vostro oggi con i Giardini dei Giusti, è qualcosa di magnifico; in questi luoghi vengono onorati uomini e donne “normali”, ma purtroppo questo tipo di normalità oggi non è diffusa dalla televisione e dai media. Ci mostrano solo la violenza, il male, la morte, è terribile… vediamo dei falsi profeti, persone che attirano l’attenzione ma non sono capaci di rispondere alle nostre domande. Non so se anche in Italia sta succedendo la stessa cosa, ma in Francia per esempio ci sono tantissimi medici, dei bravissimi medici, che parlano in televisione senza sapere, invece di rimanere negli ospedali a guarire le persone. È questo che sta succedendo oggi a mio avviso. È un momento in cui dobbiamo essere vigili.

Circa un mese fa, ne ho parlato anche alla stampa italiana, sono stato aggredito da due personaggi che sono entrati in casa mia di notte dalla finestra, ed è successo un fatto interessante, io mi sono messo a urlare e il mio grido ha fatto loro paura. Uno mi ha detto: “se continui sei morto”. Ma poi se ne sono andati. Non sa quanti messaggi di solidarietà ho ricevuto, più di cinquantamila. In Italia tutta la stampa ne ha parlato, ho ricevuto decine di migliaia di messaggi dall’Italia, dalla Polonia, dalla Russia, da Israele, dall’America e lo trovo straordinario. Non mi hanno colpito in quanto ebreo, se fosse stata un’aggressione antisemita avrei suscitato la solidarietà degli ebrei. Se fossi stato nero avrei ricevuto il sostegno dei neri. Se fossi stato musulmano dei musulmani. Purtroppo, viviamo in un mondo categoriale… Invece mi hanno aggredito perché sono una persona, come voi, che desidera un po’ più di giustizia. Tutto qui.

Il sostegno che ho ricevuto prova che le persone hanno un capitale di solidarietà in loro stesse ma non diamo loro delle occasioni per esprimerlo. Per questo penso, per esempio, che il vostro progetto dei Giardini dei Giusti, dovrebbe avere migliaia e migliaia di sostenitori. Perché è semplice, non richiede niente di particolare, ma qualcosa che va da sé, che è evidente, poiché non ci è possibile vivere soli in questo mondo, senza tenderci la mano per poter sorridere.

Penso che questa sia una verità. Troppo spesso diamo spazio attraverso media, e in generale nel mondo, solo alle notizie negative, al male, e non parliamo di chi invece cerca di fare il bene…

Di chi ha salvato delle persone… è qualcosa di magnifico. C’è stato un momento in cui con degli amici abbiamo lanciato dei movimenti collettivi, come les Médecins Sans Frontières (Medici Senza Frontiere). Poi abbiamo creato l’Action contre la faim (l’Azione contro la fame). Come queste, ci sono tantissime organizzazioni caritatevoli che fanno delle cose positive, che mobilitano dei giovani, che vanno in Africa e salvano persone che muoiono di fame. Però nessuno ne parla. È triste. Ci vorrebbe che noi, i suoi amici, i miei, con la nostra immaginazione trovassimo un modo per interessare i giovani, che prenderanno in mano il mondo dopo il Covid, perché comprendano che la più bella avventura è salvare una vita umana. Poter dire, quando si è invecchiati, “sapete bambini miei, io ho salvato una persona”. E loro si chiederanno come, quando… così la madre, o il padre, potranno iniziare a raccontare “un’avventura”. Questo è magnifico.

In tantissimi ragazzi e ragazze in Italia e nel mondo hanno celebrato quest’anno la Giornata dei Giusti, 6 marzo, e questo dimostra che in loro c’è l’interesse a conoscere storie di bene, solo che non è sempre facile raggiungerli. Penso per esempio a tutti gli studenti che si rivolgono a Gariwo per conoscere le storie dei Giusti, di chi si è speso per gli altri, questo credo possa dare una speranza per il futuro…

Sono assolutamente d’accordo. Tutto dipende da come si racconta. Bisogna raccontare tutto ciò come un’avventura. Come le storie dei Giusti, che talvolta sono dei racconti avventurosi, quasi di spionaggio, e ci mostrano che ognuno di noi può essere come uno di questi protagonisti.

La Francia è un Paese laico, non possiamo parlare delle religioni nelle scuole, ho detto però al nostro ministro dell’educazione che le religioni fanno parte delle nostre civiltà; non possiamo per esempio parlare della civiltà giudeo-cristiana o greca senza parlare della Bibbia, di Omero, dell’Odissea… perché fa parte della nostra storia. “Le scriverò la storia del ‘piccolo Abramo’, del ‘piccolo Gesù’, le avventure del ‘piccolo Maometto’”, ho aggiunto. Come la storia del Piccolo Principe. E gli insegnanti le racconteranno ai bambini, senza dare loro delle lezioni di morale, non ce n’è bisogno. Ai bambini non piacciono le lezioni di morale. Così, quando cresceranno, affascinati dalla vita di questi “bambini” che si chiamano Maometto, Gesù, Abramo ecc., scopriranno nei loro compagni qualcuno di un po’ più vicino a una di queste figure, e per loro sarà normale. Dobbiamo educare generazioni che non siano sorprese nel vedere un mondo diverso o che cambia.

Oggi in ogni famiglia il bambino cresce credendo che tutto il mondo sia come i suoi genitori, e quando scopre che ci sono altri bambini che per esempio non vanno nel suo stesso luogo di preghiera, nasce in lui un sospetto. Bisogna comprendere invece che ogni luogo può essere un luogo di preghiera, possiamo telefonare a Dio direttamente, certo se abbiamo qualcosa da dirgli o da chiedergli; i bambini lo fanno, quando desiderano tanto qualcosa per esempio. Infine, penso quindi che dovremmo persuadere i nostri governanti perché ripensino il modo di insegnare, perché il mondo è cambiato, è ora il momento, o adesso o mai più.

Helena Savoldelli, Redazione Gariwo

6 aprile 2021

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