
Il libro nasce dall’incontro casuale di Anne Guion, giornalista francese, con l’associazione israelo-palestinese Parents Circle – Families Forum.
La reporter raccoglie le testimonianze dei suoi fondatori e di alcuni membri e intervista in particolare due donne, Bushra Awad, palestinese, e Robi Damelin, israeliana, separate dall’annoso conflitto, ma unite dalla comune tragica esperienza di aver perso un figlio proprio a causa di tale conflitto.
La parte principale, e quella senz’altro più riuscita, dell’opera è la storia delle due madri, della loro perdita, della sofferenza, dell’odio che lentamente, grazie all’intervento del PCFF, si trasforma in comprensione, solidarietà, amicizia.
Gli stati d’animo delle due donne sono indagati in profondità e riportati con dovizia di particolari, ma con grande rispetto e senza morbosità: le due storie procedono dapprima in parallelo, a sottolineare l’iniziale estraneità di due popoli, divisi dall’odio reciproco, ma in realtà profondamente simili nel vissuto e nelle esperienze, per unirsi e intersecarsi nel finale.
L’evoluzione del rapporto tra le due donne avviene grazie all’intervento dell’associazione, di cui vengono descritte le attività, i successi, ma anche le innumerevoli difficoltà ad operare su un territorio sempre più diviso da muri, divieti e checkpoint.
Più debole la parte, forse troppo ambiziosa, relativa al conflitto israelo-palestinese, piuttosto stereotipata e parziale, ma nel complesso un libro senz’altro interessante, in quanto contribuisce non solo a dare visibilità a un’associazione che da anni si adopera per spezzare il circolo vizioso dell’odio, ma soprattutto evidenzia come e quanto la conoscenza reciproca, il riconoscere l’altro come simile a sé sia fondamentale per interrompere l’”ethos del conflitto”. La condivisione della propria vulnerabilità attraverso l’ascolto dell’altro è un processo estremamente sofferto, in quanto richiede un cambiamento interiore, che costa molta più fatica che non l’adeguarsi allo status quo e all’odio di massa, ma è l’unico modo per trasformare il vittimismo ad oltranza in empatia e solidarietà e promuovere un processo di pace dal basso.