Aprile di quattro anni fa: con gli studenti di quinta stavo analizzando gli articoli della nostra Costituzione, nata dopo gli anni del ventennio fascista e della Seconda guerra mondiale. Le basi storiche le avevamo già approfondite: i Costituenti avevano, nell’esperienza della guerra e nell’avversione al totalitarismo, posto le basi per il sogno di un’Italia diversa, di un mondo in pace e più giusto. Come sempre richiedevo la lettura di tutti gli articoli, non solo dei primi dodici, perchè, aiutata anche da una collega di diritto, avevo a cuore che i ragazzi capissero la “struttura” del testo costituzionale e la coerenza interna della nostra “carta d’identità” di cittadini che si fonda su una scelta chiarissima di valori indispensabili per il vivere comune.
Devo dire che amavo molto questo momento dell’anno scolastico: stavo parlando ai “miei”giovani, dopo un triennio insieme, sulla soglia della loro uscita dalle scuole superiori con nel cuore tanti progetti... Per me era come dire: vedete quanta strada si è dovuto percorrere, quanta sofferenza ma anche quanta lungimiranza di ideali sono emersi! Ecco, sono per noi, per voi perchè possiate vivere, come è giusto che sia per chi inizia la vita da adulto, con responsabilità e incanto.
In quelle ore di lezione ero orgogliosa, come cittadina e insegnante cui sono affidate “funzioni pubbliche”, di “adempierle con disciplina e onore”: mi sembrava di passare davvero il testimone di ciò che anch’io avevo ricevuto. Al termine di quelle lezioni, si avvicina una studentessa, con gli occhi lucidi: “Prof., le parole della Cos5tuzione mi hanno commosso! Che bello se fosse così!”. Ma certo che è così! Noi dobbiamo realizzarlo con le nostre scelte! Allora ho toccato con mano quanto la nostra Carta sia programmatica: un “sogno” che ancora affascina!
La lettura del libro di Gherardo Colombo sembra, a prima vista, focalizzarsi invece su quella Costituzione “occulta” che gli italiani seguono, decisamente di segno opposto rispetto a quella scritta che dovrebbero seguire. E’ la Costituzione materiale, di fatto, che non è di tutti ma prevale: Colombo ha “riscritto” alcuni articoli della Costituzione per evidenziare la differenza tra ciò che ci si chiede di essere e quello che effettivamente si è. Perché questo confronto? “Perché è necessario averne consapevolezza, e in modo chiaro e preciso. Da questa consapevolezza sorgeranno altre due domande: perchè una parte consistente dei cittadini non osserva la Costituzione? E quali sono le conseguenze?” (p.9).
Devo dire che ho avvertito un certo disagio nella lettura: il realismo di Colombo non credo possa essere contestato perchè sa bene quello che dice, dopo tanti anni nella magistratura e in giro per l’Italia a discutere con studenti e adulti. Ma il suo non è uno sguardo pessimista e cinico perchè con rigore evidenzia alcuni cardini della Costituzione attorno ai quali ruota la nostra convivenza civile: realismo è individuarli nella Carta e guardare in faccia le conseguenze della loro mancata osservanza. Centrale è l’articolo 3 con la sua idea di uguaglianza davanti alla legge e pari dignità sociale di ogni cittadino, senza distinzione alcuna. Dice Colombo che questo articolo “è la Costituzione, nel senso che se venisse realizzato il contenuto dell’articolo 3 la Costituzione tutta sarebbe realizzata ovvero, viceversa, se tutti gli articoli della Costituzione venissero realizzati... sarebbe realizzato anche l’articolo 3” (p. 23-24).
E’ così vero questo legame che, educati da una eredità millenaria di discriminazione, anche nella Carta persistono alcune “sbavature” (che l’autore rileva negli articoli 7, 17, 18, 22, 29, 30, 48) senza mettere in discussione il sistema complessivo della Costituzione.
E se ci pensiamo, questa affermazione dell’uguaglianza è radicale e straordinaria: “siccome tutti, ma proprio tutti, siamo degni, e ciascuno lo è quanto gli altri, di conseguenza è bandita ogni forma di discriminazione. E siccome non è vero che la discriminazione è bandita, bisogna darsi da fare perchè lo sia.” (p. 24)
Quel capoverso nel 1948 era rivoluzionario cioè affermava una svolta a “U” del modo di pensare e vivere le relazioni sociali: per esempio le differenze di “sesso” (oggi di genere) che fino al termine della seconda guerra mondiale impedivano alle donne di andare a votare, decretavano l’essere sottomesse all’autorità del marito, impedivano l’accesso a professioni nella magistratura, nell’esercito, nella polizia, precludevano loro di assumere ruoli apicali in qualsiasi settore. Quell’articolo sotterrava per sempre l’ignominia delle leggi razziali del 1938 contro gli ebrei e prima ancora della discriminazione verso le popolazioni coloniali della Libia, Eritrea, Somalia, Etiopia. Oppure superava l’idea della religione cattolica come “religione di stato” dello Statuto Albertino, o afferma il diritto legittimo di esprimere, per tutti, proprio tutti, donne comprese, le proprie opinioni politiche o di non essere discriminati per le proprie condizioni personali e sociali.... Questa radicale “postura” egualitaria dell’articolo 3, come dice Colombo in ogni parte del suo libro, sta “nel riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo” (articolo 2), non solo del cittadino ma dell’essere umano in quanto tale. Però tale riconoscimento dei diritti implica, come garanzia, i doveri di “solidarietà politica, economica e sociale”.
Lo Stato che hanno voluto i padri costituenti è uno stato che, nella pratica, guarda alla società italiana come a una realtà da trasformare continuamente: “Senza solidarietà non possono essere tutelati i diritti, perchè ad ogni diritto corrisponde un dovere... e perchè i diritti siano garantiti>>...è spesso necessario impegnare risorse economiche, le quali non possono venire che dalla solidarietà dei membri della comunità” (p. 20), per esempio dalla solidarietà fiscale (articolo 53)."
Se manca la solidarietà, la parola", intesa qui come esser umano, si allarga o si restringe di rilevanza a seconda dei suoi elementi distintivi” (p. 21).
Credo sia il merito maggiore di questo testo evidenziare, articolo dopo articolo, il legame strettissimo con una mentalità costituzionale che si radica in una nuova visione di noi stessi e del mondo: siamo davvero disponibili a lasciarci cambiare nella concretezza delle relazioni sociali, dei nostri affari, dei nostri doveri, dei nostri diritti dall’impegno di vivere, ogni giorno, da esseri umani liberi, responsabili, solidali e quindi da cittadini?
L’astensione al voto, sempre più massiccia anche tra i giovani, è l’esito di una rinuncia (per apatia, rabbia, individualismo?) alla fiducia nelle istituzioni e nella vita politica che dovrebbero costantemente trasformare, in senso egualitario e più giusto, la società.
L’uguaglianza e la pari dignità degli esseri umani non sono un’ideologia né una fede religiosa ma l’espressione di un rinnovato umanesimo in cui tutti possiamo riconoscerci per costruire una convivenza basata non sulla violenza del più forte né su appartenenze escludenti gli altri. L’evento della bomba atomica, ricorda Colombo, ha cambiato il futuro dell’umanità e coloro che hanno scritto la Costituzione si sono trovati di fronte a una domanda decisiva: “come potremo salvarci? Come potremo avere un futuro?” Tutto quello che è successo è stato la conseguenza di un “mancato riconoscimento reciproco, dell’incapacità o dell’indisponibilità a riconoscere tutti appartenenti allo stesso genere umano... Se vogliamo salvarci nessuno può essere discriminato” (p. 164-165): questa è stata la risposta dei padri costituenti, questo il motivo per cui l’autore ha scritto.
Solo attuando la Costituzione l’umanità potrà salvarsi perchè i problemi degli altri sono i miei. Perchè gli altri sono i bambini a cui garantire un futuro, le donne perseguitate e annullate, gli oppositori delle dittature, i giornalisti che denunciano la menzogna del potere, le minoranze etniche, religiose, di genere, gli stranieri, gli apolidi, i carcerati...
“Noi, animali così distruttivi da non essere capaci di conservarci, abbiamo bisogno che qualcuno ci insegni, che qualcuno ci educhi ad avere futuro: cerca di farlo la nostra Costituzione ma per riuscirci ha bisogno di noi” (p. 166-167), delle nostre gambe, voce, mani per rimuovere gli ostacoli che le impediscano di realizzarsi.
Come diceva Mounier, la miglior sorte che possa toccare a chi crede nel valore inestimabile della persona umana è che “dopo aver risvegliato in un sufficiente numero di uomini il senso totale dell’uomo, si confonda talmente con l’andamento quotidiano dei giorni da scomparire senza lasciar traccia”.
Sarebbe bello se, grazie alle scelte epocali a cui siamo chiamati oggi, i nipoti dei nostri nipoti vivessero in un’Italia così. In un mondo così.
Arianna Tegani, Commissione didattica Gariwo