
"Ogni mio racconto è uno schiaffo allo stalinismo".
Così Varlam Shalamov definiva con secca, sonora immediatezza i centoquarantacinque "Racconti di Kolyma", tragica testimonianza sui gulag sovietici, "su quello che nessun uomo dovrebbe vedere né sapere".
Dalla fine degli anni Venti al dopoguerra milioni di persone vennero deportate e morirono nei lager staliniani, e alla Kolyma, regione desolata di tundra e ghiacci dove "uno sputo gela in aria prima di toccare terra", Shalamov rimase confinato dal 1937 al 1953.
[...] L'arrivo sull'isola di Kolyma, la casistica dei vari tipi di carcerieri, i luoghi e le condizioni del lavoro forzato, la natura ostile e così carica di significati simbolici sono le linee portanti di una creazione poetica che è anche analisi di uno spietato fenomeno antropologico: "con quale facilità l'uomo si dimentica di essere un uomo" e, se posto in condizioni estreme, rinuncia alla sottile pellicola della civiltà.
[...] Subito dopo il ritorno a Mosca, tassello dopo tassello Shalamov cominciò a comporre il suo monumentale mosaico contro l'oblio, il suo poema dantesco sulla vita e sulla morte, sulla forza del male e del tempo.
Tratto dalla quarta di copertina
Ascolta su www.radio.rai.it I racconti di Kolyma, letto da Piero Baldini
biografia di Varlam Shalamov