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Michael Žantovský: "La lezione di Vaclav Havel per la pandemia"

L'intervista al biografo del primo presidente della Repubblica Ceca

Biografo ufficiale di Vaclav Havel e direttore della biblioteca  di Praga che prende il suo nome, scrittore, diplomatico, giornalista e psicologo, esponente della Rivoluzione di Velluto. Ma non solo, Michael Žantovský è stato per tanti anni amico intimo dell'ex presidente della Repubblica Ceca, onorato al Giardino di Milano come Giusto. Lo abbiamo intervistato al Giardino dei Giusti di Milano in occasione dell'uscita in libreria di "Havel. Una vita" (La nave di Teseo). 

Vaclav Havel è onorato in questo Giardino come Giusto. Qual è la sua impressione a tal proposito?

Vaclav Havel ha trascorso gran parte della sua vita come difensore dei diritti umani. E non l'ha fatto solo nel suo Paese, la Cecoslovacchia ma anche in altri posti nel mondo. Viene ricordato per aver difeso i diritti umani in posti come Birmania, Tibet, Bielorussia, Cuba e in altri Paesi del mondo. E nel farlo ha contribuito a salvare la libertà e in alcuni casi anche le vite delle persone. È stato uno dei fondatori della Commissione per la difesa delle persone ingiustamente perseguitate in Cecoslovacchia. Quindi penso che sia appropriato considerarlo un Giusto. E sono davvero contento che i giovani di Milano e dell'Italia abbiano l’opportunità di vedere il suo albero e il suo cippo in quanto Giusto onorato in questo giardino.

Lei è stato per Havel portavoce, responsabile stampa e consulente politico. Ma soprattutto è stato per molto tempo un suo amico. Può dirci qualcosa sulla vostra amicizia?

La nostra amicizia è durata circa 30 anni. La prima volta che lo incontrai era stato appena rilasciato dalla prigione, durante l'era comunista. Fummo amici prima della rivoluzione democratica in Cecoslovacchia e successivamente, quando lavorammo insieme. Poi, durante la mia carriera diplomatica, lui fu il presidente che mi nominò ambasciatore. Fu una delle più importanti amicizie della mia vita. E non si limitava alla sfera politica: principalmente aveva a che fare con la condivisione delle tante cose che avevamo in comune, come i gusti musicali e letterari. Soprattutto, il suo senso dell'umorismo era molto vicino a quello al mio modo di intendere la vita. Quindi non lavorammo solo insieme, e non fummo solo amici: insieme ci siamo anche tanto divertiti.

Come definirebbe il suo senso dell'umorismo?

Aveva un senso dell'umorismo molto affilato, specialmente per quello che definivamo l'assurdo umano. Era molto perspicace nel vedere l’assurdità del sistema burocratico intorno a noi, così come il modo in cui le persone cercano di razionalizzare le emozioni e di celare le proprie vere intenzioni, facendo finta che si tratti di qualcos’altro. Ma la cosa più importante è che non aveva paura di prendersi gioco di se stesso, una cosa non così comune.

Trentadue anni fa lei è stato testimone della Rivoluzione di velluto. Trentadue anni sono un periodo incredibilmente lungo. In che modo lei condivide la memoria di questo periodo con i giovani? Molti di loro non erano nemmeno nati quando ci fu questa Rivoluzione, così importante per la storia europea. E, immagino, non abbiano nemmeno un'idea precisa di come fosse la vita durante il periodo comunista.

Mi considero molto privilegiato per poter lavorare come direttore della Biblioteca Vaclav Havel cercando di mediare e comunicare a una nuova generazione cosa abbiano rappresentato i valori e i principi di Havel. Lo facciamo con l'aiuto di metodi di comunicazione moderni. Abbiamo un grande seguito sui social media, produciamo molto materiale per l’e-learning, organizziamo mostre, webinar e conferenze dal vivo. Io e i miei colleghi trascorriamo molto tempo viaggiando per il Paese. Parliamo nelle scuole, nei centri culturali e nelle università, anche all'estero, per dare a più persone possibili l'opportunità di sapere chi fosse Havel, così da poter maturare una propria opinione personale su di lui. Non stiamo cercando di indottrinare qualcuno né siamo coinvolti nella propaganda. Ma penso che abbiamo una meravigliosa storia da raccontare e facciamo del nostro meglio per comunicarla.

Siamo rimasti molto colpiti dal concetto di progresso maturato da Havel e a tal proposito abbiamo visto il suo intervento durante l’incontro su Havel al Teatro Parenti di Milano. Ci siamo chiesti: cosa direbbe Havel se potesse vedere quanto sta accadendo oggi, in un momento in cui l'idea di progresso sta cambiando, anche a causa della pandemia? Inoltre, lei è membro di una commissione internazionale che sta cercando soluzioni per la vita comunitaria nel mondo post-pandemico: in che modo i valori di Havel possono indirizzarci durante questo momento complicato?

Havel era molto chiaro su alcuni valori e principi in cui credeva e alcuni di questi possono essere associati al progresso. Credeva nella tolleranza tra le persone e nel principio che il male vada combattuto, che ci si debba opporre a ogni forma di persecuzione o totalitarismo. Ma era molto cauto nell'affermare: "abbiamo la certezza che questa o quella politica sia progressista o non progressista", perché spesso solo successivamente si è in grado di vedere quali saranno i risultati. Quindi, nella situazione presente, lui riterrebbe importante comunicare tutte le informazioni che abbiamo a più persone possibili così da avere un dibattito aperto. Questo è quello che stiamo cercando di fare con la Biblioteca e nella Commissione, attraverso la diffusione online di molti dibattiti sull'argomento. Solo in questo modo possiamo superare la crisi e minimizzare il danno che inevitabilmente ha affetto la società.

Un aspetto molto importante è legato al sistema educativo, che dev'essere in grado di fornire ai giovani un'istruzione di alta qualità e far sì che ottengano le informazioni e le competenze necessarie affinché le loro vite non vengano danneggiate dalla pandemia da Covid-19.

Qual era l'idea di Europa di Havel? Quanto siamo lontani da quell'idea?

Credo che lui avesse una precisa idea di Europa già da quando aveva 16 anni, come si evince in alcune sue lettere dei primi anni Cinquanta. E da politico, Havel ha condotto il suo Paese nel percorso verso l'ingresso nell'Unione europea e ora siamo membri dell'Unione da 17 anni. Allo stesso modo, vedeva che il modo tecnocratico con cui erano costruite le politiche europee costituivano in qualche modo un problema, un qualcosa che impediva alle persone di identificare emotivamente l'Europa come qualcosa di proprio. E credo che questo problema persista ancora oggi e necessita di essere discusso. Forse alcuni cambiamenti nella struttura e nei documenti fondativi europei saranno necessari per poter risolvere questo problema.

Intervista di Joshua Evangelista

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