La notte bianca dei licei classici - i giusti eroi del nostro tempo?

di Salvatore Pennisi, 24 gennaio 2018

Eventi

I giusti sono o non sono eroi?

Un buon motivo per rispondere che lo sono: coraggio, capacità di resistenza e talvolta astuzia.

Come gli eroi del mito, sanno raccogliere le sfide e rischiano la vita per raggiungere il proprio obiettivo. Lo scenario della loro azione, come quello dell’azione degli eroi, è del tutto straordinario. Agiscono in situazioni di grave pericolo. Ovunque ci sia sopraffazione, terrore, violazione dei diritti fondamentali, violenza del potere, lì si esercita l’azione di contrasto dei giusti.

Un buon motivo per rispondere che non lo sono: non sono individui straordinari, contrariamente agli eroi del mondo mitico, spesso imparentati con gli dei, essi sono semplici esseri umani con relativi pregi e difetti.

L’ambivalenza della risposta è insita nel concetto stesso di giusto.

Come si sa, il concetto di giusto è stato ripreso dalla tradizione biblica e applicato dal tribunale di Yad Vashem ai soccorritori degli ebrei nel corso del genocidio ad opera dei nazisti. Nel giardino di Yad Vashem a Gerusalemme sono onorati oggi migliaia di “Giusti fra le nazioni”.

Contrariamente agli auspici della comunità internazionale, però, dopo la Shoah i genocidi non sono venuti meno, anzi si sono ripetuti talvolta sotto lo sguardo distratto dell’ONU. Si pensi al genocidio in Ruanda, a quello di Srebrenica e altri ancora. Questo ha fatto sì che sia cresciuto il numero dei soccorritori o dei “testimoni di verità” per ogni nuovo caso di genocidio. Per altro, prima della Shoah era stato perpetrato dal regime dei giovani turchi il genocidio degli Armeni. E anche in quel caso si devono registrare numerose azioni di soccorso a rischio della vita, quindi di giusti.

Oggi il numero dei giusti cresce in proporzione all’aumento nel mondo delle situazioni di emergenza che si manifesta in termini di aumento di regimi dittatoriali, guerre, terrorismo e distruzioni di ogni genere

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I giusti per la Shoah sono ormai i capofila di una serie numerosa di giusti emersi in altre situazioni di crisi umanitaria. Il genocidio degli ebrei rimane sempre il più tragico degli eventi della storia dell’età contemporanea, ma il male estremo continua a sussistere. Oggi esso si presenta in forme sempre più diversificate e richiede figure che ci aiutino a riconoscerlo.

Le emergenze umanitarie (si pensi al fenomeno migratorio non solo fra Africa ed Europa), i genocidi ancora in atto (Rohingia e Yazidi in primo luogo), le crisi politico - militari, le guerre, il terrorismo, il disprezzo dei diritti umani in molti paesi del mondo, tutto ciò costituisce il contesto dell’azione di persone che salvano, difendono i diritti umani, accolgono, agendo in modo sicuramente eroico.

Che cosa c’è di più eroico che mettere a rischio la propria sicurezza e anche la propria vita in difesa dei più deboli?

Perfino una tranquilla guida turistica tunisina come Hamadi ben Abdesslem o un anziano archeologo, il conservatore del sito di Palmira Khaled al-Asaad, assurgono al rango di eroi perché hanno voluto rischiare la vita e, nel caso di al-Asaad perderla, contro il terrorismo.

Allo stesso tempo, però, i giusti se interpellati sul loro comportamento negherebbero di comportarsi come eroi.

Direbbero che hanno agito sulla base di un’urgenza, che non avrebbero potuto agire diversamente.

Il console in Ruanda Costa rispose in questo modo disarmante a uno studente che gli chiedeva che cosa lo aveva spinto ad aiutare i Tutsi in pericolo: lei che cosa avrebbe fatto al mio posto?

Semplice, no? Ma questo non significa che al posto del console noi avremmo agito allo stesso modo.

Ecco un primo problema. Perché quello che per qualcuno è un gesto di ovvia umanità per un altro è invece un gesto eroico?

Da che cosa dipende questa differente valutazione?

Qui tocchiamo un punto nevralgico. La questione dei punti di riferimento che ogni individuo si dà per orientare le proprie azioni.

Per essere chiari: come ognuno percepisce la sua relazione verso il mondo esterno e nello specifico verso i propri simili.

Perché il console Costa dice che non poteva agire diversamente? Perché Lassana Bathily, il commesso dell’ipermercato kasher, durante un’azione terroristica dell’ISIS nascose i clienti ebrei nella cella frigorifera rischiando di essere scoperto e ucciso? Da notare, fra l’altro, che il libro che ha scritto dopo quell’evento ha come titolo: “Je ne suis pas un héros”, non sono un eroe. Lui, un migrante del Mali, senza la cittadinanza francese.

Evidentemente i giusti si sentono vincolati da un obbligo. E questo obbligo è dettato non da un’autorità esterna, ma dall’autorità della propria coscienza.

Essi non si sentono eroi, perché agiscono di necessità. Ma In verità, non si tratta di costrizione ma di scelta, una scelta dettata dal concorso della ragione e del sentimento.

È la libertà che contrassegna l’agire dei giusti. Contro il conformismo della maggioranza, contro l’arroccamento nel proprio interesse particolare, contro la logica della contrapposizione fra culture o ideologie, i giusti hanno il coraggio di dire un no netto e chiaro, a costo di diventare invisi al potere e ai membri del proprio gruppo.

Le azioni dei giusti non sono finalizzate alla gloria o alla fama. Tutt’altro. Tanto meno sono finalizzate all’affermazione del proprio ego. L’altruismo è la cifra che contrassegna la figura del giusto, perché egli ha capito che l’umanità si può salvare solo salvandola innanzitutto in se stessi.

Essi non vogliono esibire nulla, né forza né coraggio né astuzia. Posseggono tutte o in parte queste virtù, ma le posseggono per spenderle a vantaggio di altri, di coloro che ne hanno bisogno. Non hanno nulla da insegnare, non sono e non vogliono essere maestri. Affrontano la vita come protagonisti e non delegano ad altri compiti che sono conseguenze delle proprie scelte.

Da questo punto di vista i giusti non fanno leva sull’entusiasmo, non solleticano lo spirito competitivo, non ambiscono a premi finali, plausi o riconoscimenti pubblici. O meglio, il premio finale va al di là delle loro intenzioni, ed è quello di costruire insieme un mondo migliore.

Le modalità di azione dei giusti sono diversificate e si conformano alle necessità delle circostanze.

Molti giusti per la Shoah tendono a nascondersi, a non dare eccessiva importanza a se stessi, perché per loro la cosa veramente importante è il compimento del proprio dovere.

Il giusto fra le nazioni Gino Bartali tenne nascosto per tutta la vita il contributo da lui dato all’opera di soccorso di centinaia di ebrei messi in salvo grazie ai documenti falsi che egli trasportava nella canna della bicicletta tra Assisi Firenze Genova e Roma.

Come Bartali molti altri giusti agirono nell’ombra nel corso della Shoah. In molti casi a causa delle circostanze e in molti altri per scelta deliberata.

Non agirono nell’ombra, invece, i testimoni dì verità che si adoperarono per far conoscere al mondo quanto avveniva sotto i loro occhi, si trattasse di testimoniare sui lager nazisti (J. Karski) o sul genocidio degli armeni da parte dei turchi (A. Wegner) o sui gulag staliniani (Šalamov, Grossman)

Sono le circostanze che impongono di volta in volta la clandestinità o l’impegno pubblico.

Per venire ai giorni nostri, molti soccorritori di naufraghi migranti nel Mediterraneo, per esempio gli uomini della guardia costiera di Lampedusa, sono costretti loro malgrado a comportarsi da eroi perché le condizioni nelle quali operano sono spesso proibitive.

Nel retroterra culturale, psicologico ed etico dei giusti troviamo un modo di intendere il rapporto con gli altri che è caratterizzato dall’empatia, dall’apertura e dalla capacità di riflettere.

I giusti non sono mai indifferenti, si sentono responsabili di ciò che accade intorno a loro, vogliono lasciare una traccia della propria presenza nel mondo.

Da questo punto di vista essi in un certo senso sono eroici, se col termine eroe intendiamo definire un individuo che si sottrae al conformismo della maggioranza, al quieto vivere e all’egocentrismo. I giusti non sono mai indifferenti. Sentono la responsabilità dello stare al mondo. Non si adagiano, sono vigili. Invece l’indifferenza è il brodo di coltura dei misfatti più atroci. Produce più vittime di quante ne produca l’odio.

Non è l’odio che ha causato la maggior parte delle vittime della Shoah. I carnefici facevano il loro lavoro senza nutrire alcun odio per gli ebrei. È l’indifferenza dei più che ha consentito ai carnefici di portare a termine il loro “lavoro”. La parola “indifferenza” è scritta a caratteri cubitali all’ingresso al binario 21 a Milano, quello da cui partivano i convogli carichi di ebrei deportati ad Auschwitz.

Se nel1943/45 ci fossero stati meno indifferenti in Italia forse quei convogli sarebbero stati meno carichi.

Vale la pena ricordare qui le parole di Gramsci:

Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Responsabilità. Ecco la virtù che produce l’eroe di oggi. Essere attenti agli altri, assumersi un compito nei loro confronti, prendersi cura a discapito della propria incolumità, questo definisce l’eroe odierno.

L’eroismo oggi è quello di chi sa contrastare l’imperversante egocentrismo e riesce a ridimensionarlo, se non a neutralizzarlo, con il proprio modo di agire.

Sottrarsi alle sirene del conformismo e del quieto vivere richiede un vero atto di eroismo. Nella quotidianità si esercitano le virtù che, nelle situazioni estreme, producono gli atti di giustizia.

La dimensione nella quale vivono gli eroi di oggi non è quella dell’agone e della competizione, ma soprattutto quella dell’interiore dialogo con se stessi. La stessa dimensione nella quale vivono i giusti.

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L'autore/L'autrice

Salvatore Pennisi

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Commissione didattica Gariwo
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