Il 27 agosto scorso, a 42 anni, dopo 238 giorni di sciopero della fame, con 30 chili di pelle e ossa, si è spenta l'avvocata Ebru Timtik, detenuta nelle carceri turche perché rivendicava un giusto processo e il diritto alla difesa dei propri assistiti. Perciò non poteva essere tollerata dal regime liberticida del "sultano" Erdogan. Questi, nonostante ormai non nasconda le sue mire espansionistiche nel Mediterraneo, è finanziato lautamente dall'Europa per fare da cane da guardia e da "tappo" contro i migranti che premono verso i Balcani e le isole greche. Ma non solo, infatti allunga le mani anche sulla Libia, da cui partono tanti migranti. Senza parlare della feroce repressione nel Kurdistan, dove le truppe turche, come in Rojava, s'impongono con i metodi più feroci, purtroppo nella generale indifferenza delle varie potenze e dell'opinione pubblica. La lotta eroica e il martirio di Ebru è non solo un gesto di amore per la libertà del suo Paese, ma un grido insopprimibile in difesa dei diritti umani universali riaffermati dopo gli orrori e la barbarie dei lager nazisti. Questi diritti rappresentano un patrimonio irrinunciabile, che va difeso sia contro coloro che vorrebbero veder naufragare nel Mediterraneo i barconi dei migranti sia contro i dittatori che trasformano i loro Paesi in orrende prigioni. Solo così non potrà essere cancellata la memoria di una piccola donna morta per la libertà di tutti noi!
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