Giornata dei Giusti - 6 marzo 2021 - La memoria del Bene: Giusti del Veneto

di Gianandrea Borsato, 28 marzo 2021

Giornata dei Giusti

Nella GIORNATA DEI GIUSTI del 6 marzo 2021, la Sez. A.N.P.I. "MARTIRI DEL GRAPPA" di Bassano del Grappa (VI), per far conoscere alle nuove generazioni i Giusti del Veneto, ai quali, nelle città e paesi della Regione, sono dedicati giardini, monumenti, targhe, piazze, vie, scuole, ne ricorda alcuni, con delle schede divulgative curate dalla prof.ssa Rosangela Sabbion.

Nei momenti tragici della storia, essi tennero accesa la fiaccola della speranza, anche quando i mezzi economici erano molto scarsi, e si schierarono in difesa della vita, pronunciando un coraggioso sì.

Otre alla cinquantina di Veneti finora riconosciuti "Giusti tra le Nazioni" dallo Yad Vashem di Gerusalemme, è doveroso onorare quelle silenziose "Figure esemplari" che la Memoria del Bene ci consegna.


PIERANTONIO COSTA

Mestre (VE), 7 maggio 1939 – Germania, 1° gennaio 2021


“Ho solo risposto alla voce della mia coscienza. Quando bisogna fare qualcosa, semplicemente lo si fa”.


Il 1° gennaio 2021 è iniziato con la morte di un uomo Giusto. Nella Giornata Mondiale della Pace il “Perlasca d’Africa” ha lasciato questa vita, lui che aveva ben praticato la “cultura della cura”, di cui parla Papa Francesco.

Figlio di Pietro Giuseppe Costa, emigrato nel 1913 da Montebello Vicentino (VI) in Somalia, e della milanese Mariangela Colombo, Pierantonio, penultimo di sette fratelli, nacque a Mestre (VE) il 7 maggio 1939. Dopo aver studiato a Vicenza e a Verona, a quindici anni, raggiunse il padre, il quale dal 1926 lavorava a Bukavu nell’attuale Repubblica Democratica del Congo.

La famiglia Costa si trovò inevitabilmente coinvolta nei conflitti locali, ma sempre scelse di aiutare chi era perseguitato. A causa del perdurare dell’instabilità politica e degli scontri nella ex colonia belga, Pierantonio si trasferì in Ruanda. Il 5 maggio 1965 ottenne il primo permesso permanente di residenza in tale Paese, diventando, grazie alle sue qualità, un imprenditore di successo. Dalla moglie Marian, cittadina svizzera, ebbe tre figli: Olivier, Caroline e Mathieu. Caroline vive ora in Germania, mentre i due fratelli lavorano, in Ruanda, nell’azienda di famiglia.

Le pagine più dolorose della sua vita furono segnate dall’orrore del genocidio ruandese, quando, dal 6 aprile 1994 alla metà di luglio, furono massacrati, con armi da fuoco, machete, bastoni chiodati, i tutsi e gli hutu moderati. Il sangue scorreva ovunque ed il numero delle vittime, in quei terribili 100 giorni, salì a quasi un milione. Pierantonio non rimase indifferente, non si preoccupò di difendere i beni accumulati, ma, sfruttando la sua posizione di Console onorario d’Italia in Ruanda (incarico esercitato dal 1988 al 2003), pensò solo a proteggere i perseguitati. Servendosi della sua rete di conoscenze e del patrimonio personale di circa 3 milioni di dollari, ottenne visti di uscita dal Paese per coloro che erano in pericolo. Grazie al suo coraggio ed alla sua generosità, circa 2000 persone ebbero salva la vita.

Questa tragica esperienza è stata raccontata nel 2004 da Luigi Scalettari, giornalista di Famiglia Cristiana, nel libro La lista del console. Ruanda: cento giorni un milione di morti, ed. Paoline.

Nel 1994 il Governo italiano attribuì a questo eroe della solidarietà la Medaglia d’oro al valor civile ed il titolo di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

In suo onore è stato piantato un albero (Punica granatum) nel “Giardino dei Giusti del Mondo” di Padova ed uno anche in quello di Milano. Inoltre, nel 2011, per la sua attività al servizio dell’umanità, era stato anche proposto come candidato al Nobel per la Pace.

Mons. Beniamino Pizziol, vescovo di Vicenza, durante l’omelia del rito funebre, celebrato in Cattedrale sabato 16 gennaio 2021, citando il Discorso della Montagna (Matteo 5, 1-12) ha detto che “tre beatitudini sembrano presentarsi come rapide pennellate del ritratto” di Pierantonio, che, probabilmente, lui, “schermendosi”, avrebbe rifiutato, poiché non amava la gloria terrena e non cercava il riconoscimento ufficiale:

Infatti, quando l’odio aveva “sommerso le coscienze delle persone”, lui, proprio come il Noè biblico, seppe costruire “un percorso di vita, una barca di salvezza fra le onde della furia cieca della violenza”.

Dopo aver percorso le strade del mondo, ora riposa, per sua esplicita volontà, nella tomba di famiglia nel cimitero di Montebello Vicentino.

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Fonti :

https://it.gariwo.net/ -

https://www.famigliacristiana.it/articolo/e-scomparso-pierantonio-costa-giusto-del-ruanda.aspx

https://www.padovanet.it/


RINALDO ARNALDI (nome di battaglia Loris)

Dueville (VI), 19 giugno 1914 – Granezza (VI), 6 agosto 1944


Rinaldo Arnaldi nacque a Dueville, in provincia di Vicenza, il 19 giugno 1914 da Giustino e Maria Bressan. Il padre era un segretario comunale ed antifascista. Rinaldo, dopo aver compiuto gli studi medi e superiori a Thiene, si iscrisse alla facoltà di Scienze Economiche e Commerciali presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove si laureò il 20/06/1940.

Sergente dei carristi a Vicenza, dopo l’Armistizio di Cassibile del 3 settembre 1943, con il quale l’Italia firmava la resa incondizionata agli Alleati, si diede alla macchia e si unì alle prime formazioni partigiane sull’Altopiano di Asiago, che costituirono poi la Brigata “Mazzini”. Assunse il nome di battaglia Loris. Cercò di tessere una rete di contatti per aprire le vie agli alleati, per aiutare i giovani che non volevano rispondere alla chiamata alle armi della Rsi o per mettere in salvo perseguitati politici, militari alleati evasi dalla prigionia ed ebrei. In questa attività fu preziosa la collaborazione di don Antonio Frigo. Nel febbraio del 1944 Arnaldi accompagnò in Svizzera un gruppo costituito da due famiglie di ebrei, i Klein originari di Vienna (Alexander, Oscar e Agnes che era incinta) e i Landmann, due soldati britannici e due italiani. Dopo essere rimasto alcuni giorni con loro in territorio elvetico, rientrò clandestinamente in Italia. Secondo lo storico Andrea Pepe, questa fu una delle ultime spedizioni oltre confine perché, “nell’aprile dello stesso anno, la comunità ebraica venne fatta oggetto di un durissimo rastrellamento e di deportazioni di massa da parte delle forze d’occupazione tedesche, che misero sostanzialmente fine a quest’opera di salvataggio”.

Egli morì, assieme ad altri 22 partigiani, il 6 settembre 1944, combattendo contro i nazifascisti a Granezza, sull’Altopiano di Asiago.

Per il suo ruolo nella Resistenza, gli fu assegnata, dopo la morte, la Medaglia d’oro al valor militare, mentre l’Università Ca’ Foscari, il 16/07/1947, gli conferì la laurea honoris causa in Scienze politiche.

Yad Vashem, dal 3 gennaio 1983, lo onora come Giusto tra le Nazioni".

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Fonti

https://www.anpi.it/donne-e-uomini/147/rinaldo-arn...

https://biografieresistenti.isacem.it/rinaldo-arna...

https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/14...

https://righteous.yadvashem.org/

https://www.unive.it/data/33895/5


IDA BRUNELLO LENTI

Monselice (PD), 30 aprile 1920 – Torino, 21 gennaio 2009


Ida Brunello, coniugata Lenti, nativa di Monselice, all’età di quindici anni fu assunta presso una famiglia di artisti ungheresi, che erano giunti in Italia nel 1930. Si trattava del cantante Kálmán Tóth e della ballerina ebrea Yuzzi Galambos. I due genitori, a causa della loro attività, si spostavano spesso da un luogo all’altro. Ida si prendeva amorevolmente cura dei loro tre figli: Fiorenza, Lisetta ed Alessandro.

Dopo la promulgazione delle leggi razziali e l’entrata in guerra dell’Italia, la situazione si complicò. Kálmán, partito per l’Ungheria, fu costretto ad arruolarsi. Nel 1942 la corrispondenza si interruppe e nulla si seppe più di lui. Yuzzi, preoccupata pure per la sorte della madre, deportata, nel 1941, da Vienna in Polonia, viveva isolata, assieme alla bambinaia, in una modesta fattoria a Castiglion Fiorentino (Arezzo). S’ingegnava per vivere e, per tutelare i figli, decise di farli battezzare.

Purtroppo, nel gennaio del 1944, a causa di problemi cardiaci, morì. Prima di spirare aveva rivelato a Ida la sua identità ebraica, consegnandole i documenti con i pochi soldi rimasti, e le aveva affidato i bambini. La giovane, senza mezzi di sostentamento, nel mese di febbraio ritornò dalla madre a Monselice. Tuttavia anche nel suo paese non era facile per Ida provvedere alle necessità dei tre orfani. Così con l’aiuto del podestà Bruno Barbieri, del dott. Marcello Minorello, dell’insegnante Silvia Vicenzina Turolla, di Don Aldo Pesavento e di Mons. Luigi Gnata, i tre fratelli furono affidati alle cure dei Frati del Santo di Padova e sistemati nell’orfanotrofio di Noventa Padovana. Ida, che si sentiva responsabile della loro sorte, li raggiungeva ogni domenica, per trascorrere alcune ore in compagnia.

Alla fine della guerra, tramite il Sindaco Goffredo Pogliani, contattò la Brigata Ebraica che cercava gli orfani ebrei in Italia. Dopo aver preso tutte le informazioni ed avendo saputo che a Ramat David viveva il fratello di Yuzzi, li fece imbarcare sulla nave in partenza da Napoli verso la Palestina.

I contatti con i suoi protetti continuarono negli anni, anche dopo il matrimonio, avvenuto a Monselice l’8 febbraio 1960, con Ivo Lenti, da cui, però, non ebbe dei figli.

Il 24 febbraio 1993 Ida Brunello fu insignita del riconoscimento di “Giusta tra le Nazioni” dall’istituto di Yad Vashem e, nel 1998, fu invitata a Gerusalemme per il 50° anniversario della nascita dello Stato di Israele.

Nell’ottobre 2010, due anni dopo la sua morte, l’Amministrazione Comunale di Monselice, per ricordarla, ha fatto erigere una stele nei Giardini di Piazza S. Marco. Si tratta di una scultura bronzea dell’artista Luigi Masin.

Nello stesso anno, in suo onore, è stato piantato un albero (Malus × purpurea) nel Giardino dei Giusti del Mondo di Padova. Sul muro che delimita il Giardino è riportata una frase della filosofa Hannah Arendt: “Si può sempre dire un sì o un no”.

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Fonti

http://www.ossicella.it/monselice/ida-brunelli/

https://www.padovanet.it/allegati/C_1_Allegati_8911_Allegato.pdf

https://righteous.yadvashem.org/

Comune di Monselice, Ufficio dello Stato Civile.

RICCARDO GHIDOTTI, Ida Lenti un angelo nella Shoah, Conselve, 2015.


BENEDETTO DE BENI

Costermano sul Garda (VR), 17 giugno 1903 – Seriate (BG), 26 gennaio 1966


Benedetto De Beni nacque il 17/06/1903 a Costermano sul Garda, in provincia di Verona. Dopo la laurea in ingegneria, allo scoppio della 2^ Guerra Mondiale, fu richiamato alle armi come capitano d’artiglieria da montagna. Nel 1942 prestava servizio a Voroshilovgrad, in Ucraina, quando i tedeschi arrivarono. La città diventò una trappola per gli ebrei, costretti a registrarsi presso la sede della Gestapo ed a portare sul petto la stella gialla. Dopo un pesante bombardamento, il comando tedesco ordinò alla popolazione di rimuovere le macerie. Tra le rovine del teatro/cinema danneggiato, le sorelle ebree Sara e Rachel Turok, trovarono un pianoforte intatto. Poiché studiavano musica, quando i tedeschi si allontanarono, cominciarono a suonare una melodia italiana. I nostri soldati, che erano nelle vicinanze, colpiti dalle note familiari, subito si avvicinarono alle giovani e le invitarono a presentarsi al loro comando in caso di pericolo. Il Cap. De Beni offrì alle ragazze l’opportunità di lavorare in cucina e protezione, quando i nazisti cominciarono le deportazioni ed i massacri. Poiché la situazione diventava sempre più difficile, nella primavera del 1943, per salvarle, furono assegnate ad un’unità che rientrava in Italia. Il Capitano aveva loro consegnato una lettera per la moglie Isabella Cittadini, nella quale, senza precisare che erano ebree, chiedeva il suo aiuto.

Il figlio del Cap. De Beni racconta: “In quel periodo mia mamma ed io, con molti altri parenti, vivevamo a Gromo (BG), nella casa del nonno materno Berardo Cittadini, che ne era il podestà.

Arrivate in Italia le ragazze spedirono la lettera, fu mandato loro il denaro per il viaggio ed arrivarono a Gromo; Dacia [Sara] aveva quindici anni e Mascia [Rachel] dodici: in casa del nonno vivevamo in trentasei a mangiare pane e polenta. Fu un periodo avventuroso e felice, eravamo tanti ragazzi e non c’era di che annoiarsi.

Terminata la guerra vollero tornare in Russia a cercare i genitori; ricevemmo una loro cartolina da Brindisi poi più nulla” (v. testimonianza del Ten. Medico C.R.I. in congedo dott. Berardo De Beni - Bergamo 24 /01/2014).

Benedetto De Beni, dopo l’8 settembre 1943, poiché si era rifiutato di combattere a fianco dei nazifascisti, fu deportato a Wietzendorf in Germania, dove incontrò il cognato Andrea Cittadini e lo scrittore Giovannino Guareschi. Riuscì a salvarsi e ritornare in patria alla fine della guerra, ma non rivide più le sorelle Turok.

Morì a Seriate, il 26 gennaio 1966.

Dopo varie vicissitudini, Rachel (la sorella nel frattempo era mancata), emigrata in Israele, nel 1993 ristabilì i contatti con la famiglia De Beni.

L’8 settembre 1996 Yad Vashem riconobbe Benedetto De Beni come Giusto tra le Nazioni”.

Alla consegna dell’onorificenza, nel Comune di Bergamo, era presente anche Rachel, riconoscente per l’aiuto ricevuto.

Il 13 ottobre 2013 il figlio Berardo De Beni fu invitato alla cerimonia della piantumazione di un albero (Morus alba), in ricordo dei genitori, nel Giardino dei Giusti del Mondo di Padova.

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Fonti

https://it.gariwo.net/

https://www.padovanet.it/

https://righteous.yadvashem.org/

https://www.unucibergamo.it/



TORQUATO

FRACCON

Pontecchio Polesine (RO) – Mauthausen

FRANCO

FRACCON

Rovigo – Mauthausen


Torquato Fraccon nacque a Pontecchio Polesine, in provincia di Rovigo, il 29/12/1887. Dopo aver combattuto nella 1^ Guerra Mondiale, aderì al Partito Popolare Italiano (PPI), fondato da Don Luigi Sturzo nel 1919. Fu funzionario di banca prima a Rovigo, poi a Vicenza. Nel 1921 sposò Isabella Ghirardato dalla quale ebbe tre figli: Graziella, Franco e Letizia.

Per il suo atteggiamento antifascista, subì intimidazioni ed aggressioni da parte delle camicie nere.

Dopo l’8 settembre 1943, iniziò ad organizzare il movimento di Resistenza a Vicenza. Si adoperava in favore dei perseguitati politici, dei prigionieri alleati fuggiti dai campi di prigionia e degli ebrei, procurando loro carte d’identità false.

Aiutò anche il prof. Giulio Reichenbach, destituito, in quanto ebreo, da qualsiasi incarico presso l’Università di Padova, dopo le ignominiose leggi razziali del 1938, il quale, nel 1943, si rifugiò in Svizzera con la famiglia. Sua figlia Ida (n. il 21/04/1929) risulta negli elenchi degli studenti privatisti del liceo classico Tito Livio. Con la fuga fu costretta ad interrompere gli studi. Li riprese dopo la fine della guerra e si laureò in Giurisprudenza1.

Il 7 gennaio 1944 T. Fraccon venne arrestato insieme al figlio Franco (n. 12/10/1924), ma furono entrambi rilasciati due mesi dopo. Il 26 ottobre 1944 l’intera famiglia fu imprigionata. Torquato e Franco, accusati di attività eversiva, furono interrogati e torturati, ma non rivelarono i nomi dei loro compagni di lotta. Dopo alcuni giorni, furono trasferiti nel campo di concentramento di Gries - Bolzano e da lì deportati a Mauthausen, dove morirono: Franco il 4 maggio 1945, Torquato quattro giorni dopo.

A Franco, iscritto alla Facoltà di Medicina e Chirurgia, partigiano combattente nel battaglione “Valdagno” Divisione Vicenza, l’11 giugno 1947, l’Università di Padova conferì la laurea honoris causa.

Nel 1955, l’Unione delle Comunità Ebraiche, a Milano, volle onorare Torquato e Franco Fraccon con la Medaglia d’oro alla memoria.

Yad Vashem, il 31 maggio 1978, riconobbe Torquato Fraccon Giusto tra le Nazioni”. Nel Giardino dei Giusti di Gerusalemme un albero ricorda il suo aiuto dato agli ebrei perseguitati.

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Fonti

https://biografieresistenti.isacem.it/torquato-fraccon

http://www.giuliocesaro.it/pdf/storici/046_Alunni%20di%20razza%20ebraica.pdf

1Ricerca a cura di Mariarosa Davi, “Alunni di razza ebraica” - Studenti del Liceo-Ginnasio «Tito Livio» sotto le leggi razziali.

https://www.istrevi.it/

https://phaidra.cab.unipd.it/detail/o:452661

https://righteous.yadvashem.org/

http://tesi.cab.unipd.it/48458/1/Tesi_per_LAUREA_MAGISTRALE_-_Giacomo_Graziuso.pdf


PIERINA LESSIO e ALFONSO GAZZOLA

San Zenone degli Ezzelini (TV), il paese dei Giusti


Pierina Lessio (Fellette, 10/01/1921 – S. Zenone degli Ezz., 06/10/2017) ed Alfonso Gazzola (S. Zenone degli Ezz., 20/07/1908 – Asolo, 31/12/1998), dopo il matrimonio, celebrato il 16 febbraio 1944, nella chiesa di Fellette (frazione di Romano d’Ezz. in provincia di Vicenza), trascorsero la loro vita a San Zenone degli Ezz. (TV). Duri furono gli ultimi anni della 2^ Guerra Mondiale per i due sposi. Vivevano in una casa modesta e coltivavano, con tanta fatica, la terra. Il cibo scarseggiava, grande era la paura dei bombardamenti e soprattutto delle rappresaglie nazifasciste, che tanto insanguinarono il territorio pedemontano. Nel maggio del 1944, Alfonso fu chiamato da Mons. Oddo Stocco, arciprete del paese. Senza tanti indugi, Don Stocco gli disse che c’erano tre ebrei da nascondere e, con fermezza, precisò: “È per la vita!”Se è per la vita, Don, allora si può fare”- rispose Alfonso, che conosceva la generosità del religioso ed il suo impegno a favore delle persone in difficoltà. Mentre rincasava con un nuovo fardello di responsabilità, pensava alla moglie incinta, alla sorella Rita (n. 09/04/1912 – m. 27/06/2000), che viveva nella stessa casa ed era sempre pronta ad aiutarlo, ai rischi di tale decisione ed anche alla sistemazione da offrire agli ospiti stranieri. Bisognava garantire l’incolumità di tutti.

I tre rifugiati, provenienti da Cracovia, erano Romano (Abraham) Greidinger, Guido (Carlo Kalman) Greidinger e Stefano (Shlomo) Rakower. Giunti in Italia il 30 novembre 1941, furono internati a Possagno. Dopo l’8 settembre 1943, essi si trovarono in pericolo. Pertanto fu fondamentale la “rete di salvezza” organizzata da Mons. Stocco, che, tra il 1943 e il 1945, nascose, con l’aiuto di 22 famiglie, ben 53 persone di religione ebraica, evitando loro la deportazione. Per circa dieci mesi, la casa dei coniugi Gazzola diventò il rifugio dei tre polacchi. Alfonso ricavò un nascondiglio nel sottoscala ed un altro, per le situazioni di emergenza, sotto la concimaia. Dopo l’iniziale diffidenza, Pierina riuscì a familiarizzare con loro anche se conoscevano poco la lingua italiana. Essi erano assai discreti e cercavano di non far pesare la loro presenza.

Il 14 gennaio 1945 Pierina partorì in casa il primo dei suoi tredici figli. Fu un giorno felice per tutti.

Romano, Guido e Stefano si unirono alla gioia dei genitori, consegnando dei piccoli doni preparati di nascosto. Il giorno successivo anche Lina (Paolina Schilkmann), moglie di Romano (Abraham), che si era rifugiata a Onè di Fonte (TV) presso la famiglia Facco, fece loro visita, regalando al neonato indumenti confezionati con le sue mani.

All’arrivo degli alleati, si festeggiò. Nonostante i pericoli corsi e i momenti di angoscia, erano tutti salvi!

Dopo la fine della guerra, i Gazzola restarono in contatto con i loro protetti e per anni continuarono a ricevere pacchi di cibo e vestiario per la prole che aumentava.

Abraham Greidinger e la moglie Lina si trasferirono prima in Brasile, poi in Australia, mentre Kalman Greidinger e Shlomo Rakower raggiunsero la Palestina. Nel marzo 2009, all’età di 88 anni, Pierina si recò a Sydney per rivedere Lina. Le due donne, dopo oltre mezzo secolo, si abbracciarono commosse.

Lina morì nel 2011.

Il 1°dicembre 2010 Pierina ed Alfonso, per la loro grande solidarietà, furono proclamati "Giusti tra le Nazioni" insieme a Mons. Oddo Stocco e a Ida Mozzachiodi in Colbertaldo.

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Fonti

http://www.dalrifugioallinganno.it/intern_veneto_tv.htm

http://www3.diocesitv.it/treviso/allegati/12002/E'%20PER%20LA%20VITA. Pdf

https://www.padovanet.it/informazione/oddo-stocco-e-le-famiglie-di-san-zenone-degli-ezzelini

https://righteous.yadvashem.org/


LINDA PIRON e CESARE ORDAN

Campolongo Maggiore (VE) – Piove di Sacco (PD)


Linda Piron (Piove di Sacco, 12/10/1900 - Campolongo Maggiore,17/08/1995) e Cesare Ordan (Campolongo Maggiore, 26/07/1897 - Piove di Sacco, 01/08/1975) trascorsero la loro vita coniugale in una modesta abitazione a Campolongo Maggiore. Gli anni della 2^ Guerra Mondiale furono assai difficili per tutti gli abitanti del paese. Molti, che non avevano mezzi economici, per sfamare le loro famiglie, bussavano alle porte di chi possedeva delle campagne, a volte per essere impiegati nei lavori agricoli, altre semplicemente per chiedere un po’ di cibo o per riscaldarsi nelle stalle, nei rigidi mesi invernali. Alcune donne, inoltre, arrotondavano le magre entrate, con un’attività piuttosto pericolosa: il mercato nero. Esse raggiungevano Venezia in treno, per vendere soprattutto uova, verdure, formaggi, vino, carne di maiale, polli, che, con astuzia, nascondevano sotto i vestiti. “Partivano […] delle matrone ben in carne e tornavano delle smilze donne denutrite e logorate nel fisico, quali effettivamente erano” (v. G. DESIDERÒ, Il pianto di una bambina ebrea, ed. Proget, Albignasego-Padova, 2020, p. 97).

Tra tali donne c’erano anche Linda Piron e l’amica Cesira.

Dopo l’8 settembre del 1943, i viaggi diventarono più rischiosi. Un giorno, una signora, che era solita comprare i loro prodotti, le avvicinò e, tutta timorosa, le supplicò di nascondere delle ebree triestine in fuga, poiché a Venezia la situazione era diventata problematica. Esse non osarono rifiutare l’aiuto. Al ritorno, discussero con i rispettivi mariti sulle conseguenze di una simile scelta. Alla fine, i coniugi Ordan, pur avendo già quattro figli da sfamare (Redentore, Arduino, Mario ed Agnese), aprirono le porte di casa ai perseguitati. Per un anno e mezzo (fine del 1943 - aprile del 1945) li protessero, dividendo lo scarso cibo di cui disponevano, trovando parole di consolazione per le loro sventure. Cesare, che era anche un bravo falegname, adattò il soppalco sopra la cucina alle necessità degli ospiti. Inoltre, scavando una galleria, che collegava la casa alla stalla esterna, preparò un altro nascondiglio per i momenti di maggiore pericolo. Le prime a giungere dagli Ordan furono Carola Goldstein e la figlioletta Maura di pochi mesi (n. 1943). Poi arrivò anche Bruno Montanari, marito di Carola. Egli era riuscito a fuggire dal carcere di Venezia, dove i fascisti lo avevano rinchiuso. Furono mesi di angoscia per i bombardamenti, per la fame, per la minacciosa presenza dei soldati tedeschi, che più volte controllarono la dimora degli Ordan. La piccola vedetta della famiglia era Agnese (n. 01/02/1935), che stava sempre seduta sui primi scalini del soppalco, pronta a segnalare l’arrivo di intrusi.

Un silenzio solidale circondava le loro vite.

Chi, in paese, aveva dei sospetti o vaghe informazioni su queste presenze, tacque – raccontava alle figlie Clara Formenton (n. 11/08/1925 – m. 31/01/2019) - per quella ‘carità cristiana’ tanto raccomandata dal parroco don Giovanni Rinaldo”. E Clara sapeva pure che, a Campolongo, una ragazza ebrea, amica della famiglia Saravalle di Padova, era stata segretamente accolta da Natalina Miola (n. 09/05/1902 – m. 05/07/1984) e da Pasquale Balasso. L’aveva vista più volte, quando faceva visita alla zia. “Un’ombra silenziosa”, l’aveva definita, di cui, però, non ricordava il nome.

Dopo la Liberazione, Bruno andò a Padova per incontrare la Brigata Ebraica.

Finalmente Maura poteva correre libera sui prati e toccare l’erba, per tanto tempo, negata.

I coniugi Montanari erano preoccupati per la sorte dei loro familiari, di cui non avevano più notizie. Purtroppo erano stati tutti deportati ad Auschwitz e lì erano morti. Tra le vittime c’era Alberto (n. nel 1935), il primogenito di Carola e Bruno, affidato alle cure dei nonni paterni, Giacobbe (detto Eugenio Berger) ed Adele Rumpler, che avevano cercato, invano, la salvezza a Venezia. I signori Montanari avevano perso tutto: casa, beni, gli affetti più cari, ma avevano conosciuto l’amicizia di Linda e Cesare. Ormai erano per sempre uniti a loro dal sacro vincolo della gratitudine.

Il 17 settembre 2013 Yad Vashem riconobbe Linda Piron e Cesare Ordan “Giusti tra le Nazioni”.

Il 15 maggio 2014, nel Municipio di Campolongo, durante la cerimonia di consegna delle Medaglie alla memoria dei coniugi Ordan, Maura Montanari Israel ed Agnese Ordan Bertin affidavano ad una comunità la loro storia di dolore e di speranza.

Il Comune di Campolongo Maggiore, nel 2016, ha dedicato ai due “Cittadini illustri” il Parco di Via 8 Marzo.

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Fonti

http://moked.it/blog/2014/05/15/linda-e-cesare-tra-i-giusti/

http://www.ilgazzettino.it/home/linda_piron_cesare_ordan_erano_coppia_di_campolongo_maggiore_defunti-386031.html

https://righteous.yadvashem.org/

https://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca/2014/05/15/news/linda-piron-e-cesare-ordan-sono-giusti-fra-le-nazioni-1.9236639

https://www.lastampa.it/cuneo/2014/05/16/news/riconoscimento-dello-yad-vashem-alla-memoria-di-lidia-piron-e-cesare-ordan-1.35755317

GELSOMINO DESIDERÒ, Il pianto di una bambina ebrea, ed. Proget, Albignasego - Padova, 2020.










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