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Il Burundi nel caos

il rischio di un nuovo genocidio

Il Burundi è di nuovo nel caos. In una sola notte sono state uccise a colpi di kalashnikov 87 persone nel quartiere della capitale Bujumbura, roccaforte degli oppositori del presidente Pierre Nkurunziza. L’episodio è solo l’ultimo di una lunga serie di violenze iniziate ad aprile, quando Nkurunziza ha annunciato di volersi ricandidare per un terzo mandato - non previsto dalla Costituzione. Da quel momento, gli scontri hanno causato oltre 500 vittime e 220mila sfollati.

Nel Paese è presente una componente maggioritaria hutu - circa l’85% della popolazione, tra cui lo stesso Nkurunziza - e una minoritaria tutsi. Al contrario della guerra civile conclusa 15 anni fa con l’accordo di pace di Arusha, che è stata combattuta soprattuto per motivazioni etniche, l’attuale conflitto si è inizialmente sviluppato su basi politiche. Da aprile i manifestanti sono scesi in piazza per contestare la ricandidatura del presidente, ma è da maggio, in seguito al fallito colpo di stato ad opera di una parte dell’esercito, che la situazione è peggiorata.

Il partito al potere ha emanato una dura legge antiterrorismo e ha incaricato le forze dell’ordine di compiere rastrellamenti casa per casa per sequestrare le armi agli oppositori politici. Ai soldati presidenziali si sono poi uniti anche i miliziani Imbonerakure (“quelli che vedono lontano”, giovani hutu) e i ribelli hutu ruandesi delle FDLR (Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda).

Se quindi inizialmente la crisi si è innescata per motivazioni politiche, gli sviluppi recenti fanno pensare a una situazione simile a quella del Rwanda nel 1994.
Sono in molti infatti, a partire dalle Nazioni Unite, a parlare di “rischio genocidio” nel Paese. Secondo Human Rights Watch, durante le operazioni volute dal governo si sono verificate violenze, torture e uccisioni mirate nei confronti dei tutsi e degli hutu contrari a Nkurunziza.

“Si sta mettendo in atto una chiara manipolazione dell’elemento etnico sia da parte del governo che dell’opposizione”, ha dichiarato Adama Dieng, consigliere ONU per la prevenzione dei genocidi, mentre il Segretario generale Ban Ki-moon si è detto preoccupato di una guerra con “effetti potenzialmente disastrosi su una delle regioni più fragili del continente”.

Intanto le Nazioni Unite e diverse ambasciate hanno chiesto al personale e ai loro connazionali di non uscire di casa. Il tutto mentre il presidente del Senato burundese ha dichiarato: “il giorno in cui daremo alla nostra gente l’ordine di portare a termine il lavoro, tutto sarà finito, e vedrete che cosa succederà”. 

14 dicembre 2015

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