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Diario dal Libano

di Pietro Kuciukian

I sacchetti di semi donati dai bambini della scuola

I sacchetti di semi donati dai bambini della scuola

Una riflessione dal Libano del Console onorario d'Armenia in Italia e Cofondatore di Gariwo Pietro Kuciukian, sulla nascita del primo Giardino dei Giusti nel Paese, nel villaggio di Kfarnabrakh, il 29 giugno 2019. 

Un miracolo quello della nascita del primo Giardino dei Giusti in Libano, a Kfarnabrakh, un villaggio a 45 chilometri da Beirut che non raggiunge i diecimila abitanti, ma che ospita mille e cinquecento rifugiati siriani. Una volontà comune ha unito Gariwo e l’associazione libanese Annas Linnas, nata nel 2009 per opera di Padre Abdo Raad con l’obiettivo di favorire la convivenza tra la popolazione locale e i rifugiati. Bene comune, solidarietà, accoglienza, pace, voci flebili in un mondo che sta arretrando su traguardi che consideravamo acquisiti. Rilanciare la memoria del bene come via di riconciliazione e smentita effettuale dell’odio, qui, in Libano - crocevia di culture e di sofferenze, dove i rifugiati siriani hanno rinnovato memorie di guerra e di miseria a una popolazione che vive l’“assoluto presente”, perché non vuole o non può guardare indietro non avendo più spazio per il dolore -, è di fatto un miracolo. Alberi di olivo, simboli di pace, nove nomi di Giusti di ieri e di oggi incisi nella pietra bianca del Libano, appartenenti a etnie, religioni e credi diversi, adornano un Giardino che vuole essere luogo di incontro e di dialogo, che vuole rendere visibile l’invisibile e dare speranza, soprattutto ai bambini.

Prima di partire per Beirut ho visto il film Cafarnao - Caos e miracoli della regista libanese Nadine Labaki. Zain, il bambino protagonista, sopravvive come tante altre migliaia di coetanei, nei nuovi ghetti delle periferie cittadine, senza scuola, senza gioco, senza futuro. Eppure, come osserva Filippo Bocci commentando il film, quella di Zain è la voce di una speranza ostinata, il grido alto della coscienza sbattuta in faccia a un mondo avvitato nella disumana e irreversibile logica della miseria; aggiungerei soprattutto nella logica dell’ingiustizia.

Nel Giardino Educativo Sensoriale che sorge sulla collina di Kfarnabrakh nella catena del Monte Libano - scuola e spazio aperto per la meditazione individuale e per la discussione collettiva a contatto con la natura oggi arricchito dal Giardino dei Giusti dell’Umanità - sono proprio la popolazione locale e i rifugiati a vincere il caos e a compiere il miracolo di poter restituire ai bambini il loro tempo, cambiare la loro vita. “Si è pensato a un Giardino perché capire e difendere la Natura, per assicurare una vita migliore per tutti, è un’aspirazione comune a gruppi etnici, religioni, nazionalità e classi di età diversi. Amare la Natura è una preghiera a Dio, poiché tutte le religioni riconoscono il proprio Dio come creatore della Natura”, ha spiegato Padre Abdo Raad. Il Libano è una terra difficile, carica di storia e cultura, ferita da guerre e conflitti. È una realtà multietnica segnata da rancori non sopiti, dove il riconoscimento dell’altro, come condizione di ogni relazione, non viene esercitato, perché su esso prevale la preoccupazione di autopreservarsi in una realtà complessa e politicamente fragile. 

Per questo viaggio in Libano, ho dovuto rifare un nuovo passaporto, il mio vecchio portava il timbro di uno Stato non riconosciuto dalle autorità libanesi. Sceso dall’aereo, superati i controlli, mi sono trovato immerso in un flusso continuo di automobili, dai grandi SUV, Ferrari, Porsche, alle utilitarie in pessime condizioni. Pochi i semafori, rarissime le strisce pedonali di attraversamento. Per raggiungere casa di un amico bisogna chiedere ai passanti, ai negozianti: le vie raramente hanno un nome e quasi mai i numeri civici. Ingorghi ovunque e spazzatura onnipresente. Non ho visto trasporti pubblici. Ogni edificio possiede il proprio generatore elettrico, poiché la corrente spesso manca. Bourj Hammoud è il grande quartiere armeno che risale al tempo del genocidio: un ammasso di casupole modeste divenuto suk. Erano 250.000 gli abitanti armeni di Bourj Hammoud, sono rimasti in 50.000. I figli e i nipoti dei sopravvissuti sono emigrati in Canada e negli Stai Uniti. 

Il Paese è diviso in clan di fedi diverse: maroniti, sunniti, sciiti, drusi, armeni, assiri, hezbollah, palestinesi. Fra loro, vi sono rapporti difficili dopo la guerra fratricida che ha insanguinato persone, comunità, rioni, menti. La linea verde di separazione, ora scomparsa, è presente nei cuori e nelle abitudini delle persone. In Libano si parlano tutte le lingue: inizio una conversazione in armeno, la continuo in italiano, poi passo al francese e all’inglese. Mi viene risposto in arabo. Quasi la metà della popolazione è costituita da immigrati clandestini ai quali, in alcune aree e paesi del retroterra, è imposto il coprifuoco. Dopo le 20 possono circolare solo con un permesso. Pochi sono inseriti nella società, i più non sono riconosciuti e lavorano di nascosto; accolti da alcune comunità locali. Ma in genere vengono lasciati a sé stessi e malvisti dai movimenti politici confessionali libanesi spesso ostili. Non si sa quanti siano. Il censimento è temuto perché il risultato potrebbe rompere la tregua fra islamici e cristiani e minare drammaticamente la Costituzione, che prevede un presidente cristiano, un primo ministro sunnita e un presidente del Parlamento sciita. La grande natalità degli islamici preoccupa i cristiani di tutte le fedi. 

Mentre cerco affannosamente di attraversare la strada senza farmi travolgere dal flusso ininterrotto delle macchine, penso a quegli europei che osano lamentarsi dei pochi immigrati di casa loro. Ho appena parlato con una giovane coppia siriana con cinque bambini che si preparava a passare la notte sotto un alberello della corniche, la strada elegante che costeggia il mare. Accanto a quartieri ricchi, anzi ricchissimi, opulenti, ristoranti costosi, alberghi da mille e una notte e grattacieli sedi di un’infinità di banche e di compagnie di assicurazione. Al porto navi lussuose dondolano al ritmo lieve delle onde. I giovani rampolli fanno a gara per mettersi in mostra nei modi più sfacciati, mentre chi non ha denaro non conta nulla, anzi, non esiste. 

Il Libano così descritto sembra un inferno, una follia, ma non lo è: ho incontrato persone innamorate della vita, vissuta al massimo dell’intensità, persone ironiche, critiche e lucide nelle loro analisi, persone che conoscono e amano il loro Paese. Il loro dire è amaro, paventano il prossimo orrore, ma non ci vogliono pensare. Non ho visto libanesi depressi, malgrado la fragilità della pace e il ricordo di lotte e di odi fratricidi. Forse proprio per questo, non c’è spazio per l’introversione, il dolore dell’anima, la “saudade”. Per alcuni libanesi è quasi un dovere detestare qualche gruppo sociale, qualche religione, qualche etnia. Ma il Libano è anche un Paese di gente che ha un cuore. Ne ho avuto la dimostrazione a Kfarnabrakh, dove vivono drusi e cristiani e ogni famiglia ospita qualche immigrato. Ai piedi della nuova struttura educativa - che diverrà centro di convivenza, scuola e rifugio -, gli olivi che portano le targhe dei Giusti costituiscono un messaggio: aprire insieme la pagina della memoria del bene per poter guardare al futuro

La cerimonia d'inaugurazione del Giardino ha visto una presenza multiconfessionale molto folta: famiglie di cristiani, islamici, drusi, venute da molti luoghi del Libano. Rappresentanti delle istituzioni laiche dei villaggi dello Chouf, intellettuali, l’ambasciatore d’Armenia Vahagn Atabekian, il consigliere Roberta Di Lecce dell’Ambasciata italiana a Beirut, il Vescovo melchita, il Mufti druso, il sindaco del villaggio, l’assessore alla cultura e i rappresentanti dell’Associazione Annas Linnas e dell’associazione svizzera Elias. Maria Dalla Francesca, che segue il progetto della scuola, ha lavorato con passione preparando con i bambini dei piccoli sacchetti di semi che ha donato ai partecipanti. Non è mancato il gioco a premi. Inevitabile commuoversi quando una ragazzina ha preso il microfono per raccontare: una voce che ha raggiunto alte tonalità senza perdere dolcezza e armonia. Un dono che ha accompagnato il nostro passaggio sino all’entrata del Giardino dei Giusti dell’Umanità.

Diventerà foresta? Spezzerà le catene dell’odio? Non ci saranno più parole impronunciabili, timbri inaccettabili? I Giusti alle volte compiono miracoli: fanno capire che il principio di umanità è universale, non esclude. 

È stata una giornata trascorsa tra amici, in armonia. Anche se ho scritto di un altro Libano, diverso da quello di Kfarnabrakh. 

In calce è disponibile il discorso pronunciato dal Console Kuciukian durante la cerimonia d'inaugurazione del Giardino di Kfarnabrakh

Pietro Kuciukian

Analisi di Pietro Kuciukian, Console onorario d'Armenia in Italia e cofondatore di Gariwo

16 luglio 2019

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