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Di fronte alla minaccia nucleare

L'evoluzione della strategia americana

"Ma veramente ci sentiamo tranquilli solo perché siamo lontani dalla Corea? Possibile che non ci rendiamo conto del momento gravissimo che stiamo vivendo? Il pericolo è che di provocazione in provocazione, una volta gettata la prima bomba, il mondo venga trascinato in un'altra mostruosa guerra mondiale". Così scriveva Dacia Maraini il 26 settembre sul Corriere della Sera, preoccupata per l'acuirsi della tensione tra Stati Uniti e Corea del Nord.

La minaccia nucleare nord-coreana non è nulla di nuovo per la politica americana. Quello che ora è maggiormente cambiato è l’atteggiamento del leader statunitense rispetto al problema. Il 25esimo Ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni Unite John Bolton - in un tweet del 9 agosto - ha criticato aspramente la politica prudente del predecessore di Trump dicendo: “I nostri cittadini sono oggi vulnerabili e in pericolo perché Barack Obama non ha creduto nell’importanza di una difesa missilistica nazionale”; l’attuale leader sembra pensarla esattamente come Bolton. 

Nel 1994 Bill Clinton ha provato a mettere fine alla minaccia della proliferazione nucleare nella penisola coreana offrendo all’allora presidente Kim Il-Song un accordo quadro congiunto che prevedeva 4 miliardi di dollari in termini di benefici nucleari, energetici, economici e diplomatici in cambio del blocco del programma. Successivamente - durante la presidenza di George W. Bush - la Nord-Corea ha ammesso che non avrebbe comunque fermato i test. Sono inoltre iniziati in quel periodo i "colloqui a sei partiti”, comprendenti Cina, Corea del Nord, Giappone, Russia, Corea del Sud e Stati Uniti - continuati fino alla presidenza Obama. In occasione del suo discorso sullo Stato dell'Unione del 29 gennaio 2002, Bush ha preso duramente posizione, introducendo l’espressione “asse del male” per definire un ipotetico complotto di Nazioni favorevoli al terrorismo internazionale e impegnate nello sviluppo di armi di distruzione di massa. Le nazioni citate dal presidente erano Iraq, Iran e Corea del Nord. Oggi Trump ha riesumato quest'espressione e inserito la dittatura del Venezuela al posto dell'Iraq. 

Nel 2005 "i sei partiti" hanno offerto una nuova assistenza energetica ed economica alla Corea del Nord perché rinunciasse al suo piano nucleare; Pyongyang ha accettato, ma l’accordo non è stato realmente rispettato nemmeno questa volta. Nel 2006 la Nord-Corea ha portato a termine un nuovo test nucleare. 

L'amministrazione di Obama ha definito le condizioni necessarie perché i negoziati - che avrebbero garantito alla Corea in crisi aiuti alimentari - potessero verificarsi, ma il regime di Kim Jong-un, attuale leader nord-coreano, ha continuato a sostenere la necessità delle armi nucleari per la difesa del Paese. Nel settembre 2016, dopo l'ennesimo test nucleare, Obama ha dichiarato che le Nazioni Unite e i membri dei "sei partiti" avrebbero aggravato le imposizioni economiche. Prima dell’ultimo cambio di presidenza, infine, gli Stati Uniti hanno guidato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nell’attribuzione di sanzioni alla Corea del Nord per ridurre le esportazioni di carbone del 60%.

All'inizio del mese corrente c’è stato l’ultimo e più potente test nucleare nord-coreano e il Consiglio di Sicurezza ONU ha adottato nuove pesanti sanzioni verso lo Stato di Kim Jong-un; Trump, con il sostegno di Cina e Russia, si impegnerà a massimizzarne l’applicazione. In occasione della 72esima Assemblea generale delle Nazioni Unite, il discorso del leader statunitense Trump non è stato né cauto né diplomatico, tanto che António Guterres - Segretario generale delle Nazioni Unite - ha affermato che “Non siamo mai stati così vicini come oggi a una guerra nucleare dai tempi della Guerra Fredda”. Se gli Stati Uniti saranno obbligati a difendere se stessi e i propri alleati non esiteranno a distruggere completamente la Corea del Nord”, ha dichiarato Trump all'Assemblea; non si è fatta attendere la reazione di Kim Jong-un, che ha fatto sapere di considerare le parole del presidente americano "una feroce dichiarazione di guerra”.

A questo si è aggiunto, il Ministro degli Esteri nord-coreano Ri Yong-un, che mentre lasciava New York ha dichiarato “tutto il mondo dovrà ricordarsi che sono stati gli USA a dichiarare guerra alla Corea del Nord, se ci sarà un conflitto saranno loro i responsabili, e il mio Paese avrà il diritto di difendersi abbattendo i bombardieri statunitensi non solo entro i propri confini”. Oltretutto, non sarebbe la prima volta: nel 1969 - durante il governo Nixon - un aereo da guerra americano che stava volando fuori dalle coste nord-coreane è stato abbattuto causando 31 morti. Nel 94 un episodio analogo ha procurato la morte di un pilota statunitense. 

A poco sono serviti i tentativi riparatori della portavoce della Casa Bianca Sarah Sanders - la quale ha spiegato in conferenza stampa che “non si è trattato assolutamente di una dichiarazione di guerra” - e dell’Ambasciatore cinese Lu Jieyi - che ha provato a ristabilire l’ordine dicendo che “la situazione sta diventando troppo pericolosa e far scoppiare un disastro nucleare non interessa a nessuno”. È proprio la Cina peraltro - assorbendo il 90% delle esportazioni nord-coreane - il Paese che potrebbe avere la voce più importante in capitolo. 

Le sanzioni economiche possono davvero fermare Kim Jong-un o forse stanno solo inasprendo la situazione? E  quali conseguenze può avere l’atteggiamento intimidatorio statunitense?

Quello che è certo è che la Corea del Nord non è facile da spaventare, e il suo leader è solito rispondere alle minacce con altre minacce. 

Siamo di fronte alla disputa tra due personalità che sembrano molto lontane da un compromesso pacifico; seppure nessuno dei due sostiene di volere una guerra, entrambi rispondono con la forza. Jae H.Ku - Direttore del U.S. Korea Institute di Washington - ha dichiarato: “se seguiamo questa via, potrebbe verificarsi un escalation di bombardamenti accidentali, forse non così casuali".

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