All'indomani della tregua stabilita tra Israele e Hamas, sulle pagine dei quotidiani si sono moltiplicate le riflessioni sul conflitto che da decenni insanguina il Medio Oriente.
Le considerazioni più rilevanti ruotavano intorno all'importanza non solo di un accordo tra le due parti in causa, ma anche di un dialogo tra le due leadership.
Vi proponiamo le posizioni per noi più significative e stimolanti.
Partendo da una distinzione terminologica tra "nemico" e "terrorista", Abraham Yehoshua su La Stampa sostiene che "con un nemico si può infatti instaurare un dialogo e concludere accordi anche parziali mentre tentare di dialogare con una 'organizzazione terroristica' non avrebbe senso e di certo non ci sarebbe nessuna speranza di accordo. Occorre pertanto legittimare il tentativo di stipulare un qualsivolgia accordo diretto con Hamas [...] importante non solo per normalizzare la situazione al confine con Gaza, ma anche per creare la base di un eventuale Stato palestinese a fianco di quello israeliano".
Il passaggio da "terrorista" a "nemico" implica una sorta di riconoscimento di Hamas, che è ormai uscito dall'isolamento internazionale. Secondo la riflessione di Janiki Cingoli per il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente Hamas ha infatti "definitivamente rotto l’embargo internazionale. Il suo
leader, Meshal, si è incontrato al Cairo Morsi, Erdogan e l’Emiro del
Qatar, Al Thani, mentre gli altri leader arabi e della stessa Lega
araba facevano la coda per portare a Gaza la loro solidarietà".
Seguendo questo stesso pensiero, Antonio Ferrari dalle pagine del Corriere attribuisce la vittoria dello scontro di questi giorni ad Hamas: "si può dire che i fondamentalisti guadagnano su tutti i piani: militare,
perché hanno dimostrato di poter colpire, o comunque raggiungere le più
grandi città israeliane; politico, perché sono stati legittimati
dall'intero mondo musulmano, e ora sicuramente sono meno soli;
economico, perché oltre la generosa offerta dell'emiro del Qatar (400
milioni di dollari) vedranno aprirsi i varchi verso il mondo esterno,
che prima erano chiusi e avevano trasformato Gaza in una prigione a
cielo aperto; e strategico, perché Hamas è diventato un punto d'incontro
nel conflitto, che in questi anni è diventato pericolosissimo, tra
sunniti e sciiti".
Anche con la firma della tregua, sostiene Stefano Levi Della Torre, Hamas ha ottenuto un riconoscimento di partner di negoziato. Abu Mazen invece "malgrado la sua insistita
disponibilità e anzi a causa di questa, non ha ottenuto dal governo
israeliano un riconoscimento di partner. Perché Hamas e governo
israeliano, irriducibili nemici, hanno un obiettivo comune: quello di
rifiutare il compromesso. [...] La Cisgiordania invece, e l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), che
aveva più volte manifestato una disponibilità al negoziato lasciata
cadere sistematicamente dal governo di Israele, continua a subire il non
riconoscimento, l’imposizione degli insediamenti e l’occupazione
israeliana".
Parlare di soluzioni definitive per il Medio Oriente non è possibile. Resta da vedere quanto la "guerra dei simboli" descritta da David Bidussa su Linkiesta peserà sul discorso politico, anche nei Paesi occidentali. "Il tifo sul Medio Oriente non solo non produce risultati per una soluzione soddisfacente ed equa là, cui non ci sarebbe disdicevole contribuire, ma anche è il sintomo di una malattia profonda della cultura politica qua. Prima ne prendiamo atto, meglio è".