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Essere Giusti nel mondo segnato dal Covid

di Martina Landi

L'Albero delle Virtù al Giardino di Milano

L'Albero delle Virtù al Giardino di Milano

La crisi sanitaria che tutto il mondo ha dovuto affrontare pone ognuno di noi di fronte a scelte che possono cambiare le sorti dell’intero pianeta: il destino individuale è infatti legato, oggi più che mai, a quello dell’umanità.
Possiamo essere artefici di un nuovo inizio che avrà ripercussioni nella vita di tutti. L’uscita dalla pandemia infatti dipende esclusivamente dalle nostre scelte collettive.
Il ruolo della responsabilità globale è sempre più centrale. Ne abbiamo parlato riguardo ai cambiamenti climatici e al ruolo degli scienziati, come l’americano Wallace Broecker, rimasti purtroppo inascoltati per decenni, e lo facciamo oggi con ancora più convinzione. Le sfide del presente, anche nell’emergenza sanitaria, ci dimostrano che siamo tutti parte di una sola umanità, e che solo insieme possiamo superare le crisi.

Fin dall’inizio della pandemia è risultato evidente come il virus abbia non solo colpito la nostra salute e le nostre abitudini, ma abbia anche esacerbato crisi e situazioni già drammatiche e delicate.
Lo abbiamo visto nei campi profughi, tra i dannati della Terra, nell’aumento delle diseguaglianze sociali anche fra i Paesi più sviluppati, nella ricaduta della crisi sulla questione di genere, nei nuovi autoritarismi e totalitarismi, nella limitazione di diritti e libertà. Allo stesso tempo, il Coronavirus ci ha fatto riflettere sull’importanza della conoscenza e sul diritto alla stessa, in un legame imprescindibile tra democrazia e informazione.

In tutto questo, l’esempio dei Giusti continua ad essere la terapia che ci indica il sentiero da percorrere. Ma chi sono queste figure esemplari, e come operano oggi nei nuovi scenari creati dall’epidemia?

Democrazia vs Totalitarismo
I regimi autocratici, a partire dalla Cina, hanno allertato in ritardo le popolazioni sull’epidemia e hanno usato questa occasione per restringere ulteriormente i diritti democratici e delle minoranze. Basti pensare a Viktor Orbán in Ungheria, Jair Bolsonaro in Brasile, Recep Erdoğan in Turchia e a tutte le leggi eccezionali varate non solo per combattere il virus, ma per rafforzare il potere autoritario. La pandemia ha dato infatti ai governi un'opportunità senza precedenti di ottenere l'approvazione popolare per un ampliamento dei poteri che in tempi normali sarebbe considerato al limite della tirannia.
Tuttavia, è bene ricordare che l’allargamento della democrazia e dei diritti umani è fondamentale per vincere la battaglia contro la pandemia: i comportamenti individuali virtuosi non possono durare a lungo, se imposti con la forza e la paura.
Ecco perché gli esempi positivi di oggi sono coloro che cercano di resistere a dittature e totalitarismi, per difendere gli ideali della democrazia e del pluralismo. Come Zhang Xuezhong, accademico cinese che ha denunciato la gestione della crisi da parte di Pechino, invocando riforme importanti sul versante dei diritti civili e politici, e che per questo è stato arrestato.
Solo sostenendo queste figure e facendo conoscere le loro storie possiamo immaginare un vero cambiamento in Medio Oriente, nelle democrazie illiberali, e forse anche nella stessa Cina.

Scienziati
Se per mesi ci siamo affidati agli scienziati e ai medici per organizzare la nostra vita sociale e quotidiana, se abbiamo tutti compreso l’importanza dello scambio di informazioni tra Paesi - e lo abbiamo fatto innanzitutto subendo le conseguenze della mancanza di questo scambio, arrivando a comprendere la drammaticità del ritardo con cui la Cina ha avvisato il mondo e del suo tentativo di insabbiare un’emergenza ormai in atto -, non dobbiamo dimenticarci del monito (da troppi inascoltato) che per anni gli scienziati ci hanno inviato sui rischi del mutamento climatico e dell’impatto delle attività umane sul nostro pianeta.
Risulta quindi chiaro, innanzitutto, come la democrazia sia condizione indispensabile per la conoscenza e la diffusione di informazioni, ma anche garante di un uso della scienza e della tecnologia rispettoso dei diritti umani. I governi di tutto il mondo necessitano certamente di strumenti tecnologici per combattere la crisi, ma è evidente che “troppa condivisione” possa essere, se sfruttata da un governo illiberale, pericolosa per gli individui. È ancora una volta alla Cina che occorre guardare in questo senso: le app utilizzate per il tracciamento delle persone nella “Fase 2” permettono di conoscere gli spostamenti e lo stato di salute di tutti i cittadini. Ma basta allargare lo sguardo per comprendere come l’estrema concessione dei propri dati - riconoscimento facciale, tracciamento, geolocalizzazione - abbia anche un lato negativo della medaglia. Lato che da anni ormai Pechino utilizza nei confronti di minoranze e oppositori. Si tratta soprattutto di sistemi di riconoscimento facciale che sfruttano una rete di telecamere di sorveglianza sparse in tutto il territorio cinese: qualsiasi comportamento “sospetto” può costare la segnalazione alle autorità o l’arresto.

Che dire poi del ruolo fondamentale dello scambio di informazioni tra la comunità scientifica? Non c’è solo il caso, ormai noto, del medico cinese Li Wenliang, che per primo diffuse il rapporto partito dalla collega Ai Fen e sfidò il divieto di comunicare “senza autorizzazione” i dati del virus. Sono tanti i medici, giornalisti e docenti universitari che hanno cercato di avvertire il mondo e hanno lavorato affinché la sfida del virus potesse essere vinta - con cure, vaccini e aiuti condivisi - non da un solo Stato o gruppo di persone, ma dall’intera umanità.
Ecco perché diventa oggi ancora più urgente superare la disconnessione tra scienziati, intellettuali, politici e cittadini, ridare alla conoscenza un ruolo di guida e orientamento e inserire nelle agende mondiali la questione ambientale e scientifica, per non ritrovarci nuovamente impreparati di fronte ai cambiamenti del nostro pianeta. Ci vuole un'alleanza tra la scienza e la politica per affrontare le nuove emergenze, come forse mai è capitato nella storia.

Solidarietà, diseguaglianze sociali e migranti
La pandemia non si vince in un Paese solo, immaginando dei muri tra una nazione e l’altra: il virus non si arresta alle frontiere. In questi mesi abbiamo visto tornare nel discorso pubblico l’idea che esistano degli individui “superflui” che si possono abbandonare al loro destino, in casa come nei Paesi più poveri, in un rinnovato meccanismo di indifferenza. Lo abbiamo visto chiaramente nelle parole di Boris Johnson sulla presunta “inevitabile perdita” delle persone anziane, così come in maniera meno plateale nel discorso pubblico sulla rassegnazione all’esito del virus sui più vulnerabili.
Chi agisce in modo virtuoso in questo contesto non solo rifiuta un modello di sanità selettiva, ma riconosce che l’allungamento delle aspettative di vita è una delle grandi conquiste della modernità.

È chiaro inoltre che, nonostante il virus si sia diffuso globalmente, ci sono categorie di persone molto più vulnerabili, per cui il virus non è stata solo una minaccia alla salute, ma l’ulteriore aggravamento di situazioni già precarie e compromesse. È il caso dei più poveri del pianeta - e della stessa popolazione afroamericana, maggiormente colpita dal virus in un riflesso di radicate diseguaglianze - o dei detenuti di carceri sovraffollate, senza adeguati trattamenti medici o di Stati autoritari. O ancora di chi non ha accesso alle cure sanitarie, o chi non può permettersi di perdere neanche un giorno di lavoro ed è costretto ad accettare di rischiare la propria incolumità e quella dei propri cari.
O infine, dei migranti. Filippo Grandi, Alto commissario UNHCR, ha stimato che siano oltre 70 milioni le persone, tra i migranti e i rifugiati, più vulnerabili al Covid e alle sue conseguenze. Quasi il 90% di loro si trova in Paesi poveri e con strutture sanitarie deboli. Senza dimenticare l’impatto economico: la gran parte di rifugiati e migranti è fatta di persone che vive alla giornata e con salari precari, cioè con quelle opportunità di reddito che spariscono per prime in caso di lockdown.
Esistono situazioni gravi in Afghanistan, in Libano e in Venezuela, ma a preoccupare sono “zone calde” di conflitti mai finiti, come la Siria, lo Yemen, la Libia, dove la pandemia si aggiunge a guerra, problemi economici e sociali.

Gli esempi da seguire oggi sono coloro che si prendono cura dei più vulnerabili e che, a livello globale, scelgono di costruire un percorso di solidarietà internazionale che non lasci indietro i più deboli.

Donne
Come sottolineato più volte da Denis Mukwege, ginecologo congolese Premio Nobel per la pace 2018, il virus ha aggravato anche la questione femminile, prima di tutto in contesti già fragili come quello africano. In diversi Paesi, poi, i diritti sessuali e riproduttivi di base e l'accesso alle cure e ai servizi che ne derivano sono stati drasticamente ridotti, e i progressi nel fornire istruzione a tutte le ragazze sono diminuiti. Le donne nelle zone di conflitto e che vivono nei campi profughi, inoltre, hanno dovuto affrontare il virus nelle condizioni peggiori.
A questo va sommata la condizione femminile anche nei Paesi occidentali, dove le donne occupano, per la maggior parte, posizioni di badanti, assistenti sociali, lavori di servizio, nei negozi e impieghi meno remunerativi. Ciò le rende più vulnerabili economicamente, sia durante che dopo la crisi. La pandemia di Covid-19 e le misure di contenimento che essa ha imposto hanno, inoltre, causato un aumento allarmante della violenza domestica contro donne e bambini.
A ogni latitudine esistono giornalisti, studenti, attivisti, medici, avvocati che arrivano a rischiare la vita per smascherare torturatori e assassini, per rivendicare uguaglianza e rispetto, per chiedere condizioni di vita e di lavoro dignitose, libertà e democrazia. Una battaglia che va oltre la battaglia di genere e che, anche in uno momento di crisi sanitaria, diventa simbolo universale della difesa di ogni essere umano.

Il ruolo dei Giusti
Chi ha salvato una vita durante i genocidi del Novecento, chi ha sfidato i totalitarismi per un’Europa di pace e democrazia, chi oggi si batte per i diritti delle donne e dei più deboli, chi ha difeso e difende l’altro conto ogni forma di fondamentalismo, chi protegge l’ambiente dalla minaccia dei cambiamenti climatici, ci dimostra non solo che in ogni momento è sempre possibile fare una scelta di responsabilità, ma anche che di fronte a sfide globali non possiamo dividerci - in Stati, regioni, popoli - ma affrontare tali problemi consapevoli di appartenere a un’unica natura.
Ci possiamo salvare solo tutti insieme, e i Giusti ci indicano la strada per farlo.

Fin dall’inizio del lockdown, ci siamo detti che il "mondo dopo il Coronavirus” non sarebbe stato lo stesso. Lo status quo precedente non è più sostenibile: non lo sono i modelli economici, che hanno causato gran parte del danno ambientale e delle diseguaglianze sociali che oggi mettono a rischio il pianeta, né le politiche nazionalistiche, che in Cina, America, Russia e non solo hanno dimostrato di essere totalmente inadatte ad affrontare sfide universali come il riscaldamento globale o la pandemia stessa.
Questo “mondo” tuttavia ancora non esiste. Va costruito, ed è nelle nostre mani. Non abbiamo bisogno di oracoli e profeti da interrogare: oggi occorre chiedere a noi stessi cosa vogliamo che succeda, e cosa possiamo fare affinché succeda.
I Giusti insegnano che nulla è predestinato, ma che le scelte individuali possono cambiare la direzione della Storia.
Perché l’umanità possa scegliere nel modo migliore, ci vogliono dei grandi esempi che ci indichino la strada da percorrere.

Martina Landi

Analisi di Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

28 maggio 2020

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