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Facebook banna i negazionisti dell’Olocausto, un passo in avanti

reazioni e contraddizioni

Una giornata simbolica quella dello scorso lunedì per quanto riguarda il colosso social Facebook, che ha aggiornato le sue regole vietando, direi finalmente, qualsiasi contenuto che neghi o distorca la memoria dell’Olocausto, dopo aver permesso per anni ai suoi utenti di negare che il genocidio fosse avvenuto. Un’azione dovuta e necessaria, non solo per la pericolosità in termini umani e civili di questa negazione, ma anche perché essa si accompagna, sui social e non solo, a un crescente e rafforzato antisemitismo e a una diseducazione su ciò che riguarda storia e memoria. Basti pensare che due terzi dei millennial statunitensi non sono in grado di identificare cosa sia stato Auschwitz.

“Sono stato per molto tempo combattuto tra la difesa della libertà di espressione e la consapevolezza del danno causato dal minimizzare o negare l'orrore dell'Olocausto”, ha scritto in un post il CEO Facebook Mark Zuckerberg. “Il mio pensiero, così come le nostre politiche più ampie in materia di incitamento all’odio, si è evoluto osservando i dati che mostrano un aumento della violenza antisemita. Disegnare le linee giuste tra ciò che è e non è accettabile non è semplice, ma allo stato attuale del mondo, credo che sia il giusto equilibrio. D'ora in poi, ha aggiunto, chiunque cerchi "Olocausto" nella barra di Facebook verrà indirizzato verso informazioni corrette date da fonti autorevoli.” Un reindirizzamento quest’ultimo, simile alla notifica Get the facts (informati sui fatti) usata da Facebook nel caso del tweet del presidente Donald Trump sulle proteste per l’uccisione di George Floyd che diceva: “In caso di saccheggi si inizia a sparare”. Facebook aveva già annunciato inoltre, qualche giorno prima, la rimozione dei contenuti di qualsiasi gruppo o pagina che si identifichi apertamente con QAnon - un gruppo di cospirazionisti vicini ad ideali di estrema destra che sostiene che un presunto Deep State di pedofili satanisti occupi tutte le posizioni di potere negli Stati Uniti -, insieme a quella di ogni forma di disinformazione sul coronavirus e sulle elezioni presidenziali americane di novembre.

La decisione di bannare la negazione dell'Olocausto ha rappresentato un evidente cambio di rotta di Zuckerberg, che nella sua strenua difesa della libertà d’espressione ad ogni costo, anche a discapito del rispetto della dignità umana, aveva affermato nel 2018: “Sono ebreo e so che ci sono persone che negano che l'Olocausto sia avvenuto. Lo trovo profondamente offensivo. Ma in fin dei conti, non credo che la nostra piattaforma debba bannare le loro affermazioni, ci sono tante cose che le persone sbagliano.” Per Zuckerberg, Facebook non poteva ergersi ad arbitro della verità di quello che le persone devono pensare; il rovescio della medaglia, però, è stato che spesso il social media è diventato la vetrina della menzogna più che il teatro delle libertà. Questo, perché esistono delle contraddizioni nelle politiche stesse della piattaforma - che ha un ruolo evidente nell’amplificare i meccanismi di diffusione dell’odio - ancora prima che riguardo alle strategie di prevenzione dello hate speech e delle fake news a esso correlate.

"Applaudo a malincuore la decisione", ha affermato in proposito Yael Eisenstat, ex capo dell'integrità delle elezioni globali per gli annunci politici di Facebook, che ha lasciato l'azienda nel 2018. "Il fatto che Zuckerberg abbia finalmente, dopo anni in cui gruppi anti-odio come l’ADL (Anti Defamation League) e altri hanno affermato che la negazione dell'Olocausto sia una palese tattica antisemita è, ovviamente, una buona cosa. Da sottolineare però, è il fatto che Zuckerberg sembri ancora ignorare il motivo per cui Facebook è così efficace nel diffondere incitamento all'odio e disinformazione", ha detto al TIME. "Se non accompagna questa decisione con ciò che tanti hanno chiesto, una completa riorganizzazione del funzionamento del modello di business della piattaforma, allora sarà solo un altro piano di moderazione senza cambiare nessuno dei meccanismi fondamentali che incoraggiano e amplificano questo tipo di comportamento.”

"Facebook potrebbe, se lo volesse, risolvere alcuni di questi problemi", aveva detto Eisenstat in un TED Talk pubblicato ad agosto 2020. “Potrebbe smetterla di dare spazio ai teorici della cospirazione, ai gruppi di odio, ai fornitori di disinformazione e, sì, in alcuni casi anche al nostro presidente; smettere di usare le stesse tecniche di personalizzazione dei post per fornire retorica politica e per venderci un paio di sneakers; riqualificare i propri algoritmi per concentrarsi su una metrica diversa dal solo engagement degli utenti, mettendo delle barriere per impedire che determinati contenuti diventino virali prima di essere esaminati. E potrebbero fare tutto questo senza diventare arbitro della verità”.

Come ha mostrato chiaramente l’ultimo docufilm di Jeff Orlowski The Social Dilemma su interviste a “pentiti” ex componenti illustri di Google, Facebook, Pinterest, la piattaforma di Zuckerberg funziona in base a una serie di algoritmi e profilazione delle persone il cui fulcro è la pubblicità e il raggiungimento di un controllo e di una mercificazione degli interessi delle persone, di ciò che potrebbero voler vedere, senza molto preoccuparsi di come trattare i diversi tipi di contenuti, di come questo possa favorire la viralizzazione di concetti pericolosi.

Per tutti questi motivi, la notizia delle azioni contro il negazionismo dell'Olocausto sui social appare come una vittoria sì, ma un po’ a metà, che si spera possa fare da aprifila per una revisione globale dei funzionamenti dei social media e del loro potenziale in positivo e in negativo.

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