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I muri della liberale Inghilterra

dopo la Brexit, Londra valuta anche il blocco dei migranti

Londra non è più il saldo punto di riferimento per i democratici, o i dissidenti, dell'Europa e del mondo? Alla luce del voto sulla Brexit parrebbe così. Ora si aggiunge anche la conseguenza più diretta del risentimento contro gli immigrati che si è visto all'opera nel referendum di maggio: lo stop ai migranti provenienti dalla "Giungla" di Calais, com'è chiamato il grande campo profughi che ha cambiato il volto della cittadina francese e da cui gli immigrati cercano in ogni modo di raggiungere l'Inghilterra. 

Secondo le prime indiscrezioni, la Gran Bretagna è disposta a sborsare 1,9 milioni di sterline per una barriera di cemento armato lunga due chilometri, che secondo il Ministro inglese Amber Rudd non sostituirebbe le barriere che la Francia ha già cominciato a costruire nella zona portuale di Calais. 

Nonostante l'intenzione dichiarata di fermare "lo stato d'assedio a cui sono sottoposti l'imbarco dei traghetti e l'ingresso dell'Eurotunnel", come ha scritto Repubblica, nemmeno gli apparenti beneficiari del provvedimento, gli autotrasportatori, sarebbero soddisfatti. Infatti hanno lamentato un utilizzo poco oculato del danaro pubblico. Inoltre si registra un drastico peggioramento delle relazioni tra la Francia, che Londra accusa di gestire il campo profughi di Calais in un modo che "offende la specie umana", e l'Inghilterra, a cui Parigi dopo il voto della Brexit intende chiedere di assumersi le sue responsabilità e gestire il confine, oggi di fatto situato a Calais, sul suo territorio.

La costruzione europea rischia di collassare. Come ha sottolineato Pascal Aerts della polizia francese, infatti, queste barriere "spostano semplicemente il problema altrove". Quello che emerge in definitiva è una mancanza di solidarietà fra gli Stati che tra poco coinvolgerà presumibilmente anche Belgio e Olanda. 

Le opinioni pubbliche dei Paesi sono tuttavia spesso più inclini ad impegnarsi attraverso attività di volontariato. Abbiamo raccolto la testimonianza da Calais della professoressa Elena Isayev, che insegna Archeologia all'università di Exeter, e nel tempo libero si reca alla "Giungla" di Calais a portare soccorso e conforto.

Già il 10 marzo di quest'anno, Isayev ci aveva scritto: 

Dalla Giungla che quasi non sembra neanche essere qui

Scrivo da Calais. Sono qui con mia sorella, e sono fortunata di averla con me. Altre persone che sono qui, che ci hanno mostrato fotografie delle loro famiglie ormai lontanissime, lo sono meno. Abbiamo trascorso la giornata spostando più alloggi possibile, letteralmente sotto gli scudi antisommossa e le pistole con gas lacrimogeno della polizia che avanzava. In pratica abbiamo lavorato fino a raggiungere l'estremità settentrionale del campo. Abbiamo ricevuto molti incoraggiamenti, speranze spesso miste a paure ed emozioni. 

Le autorità francesi hanno detto che lo sfratto non sarebbe avvenuto immediatamente o con la forza. Ora che i media se ne sono andati, la situazione è piuttosto diversa. Tutto il sud del campo dev'essere svuotato entro domani, la mattina successiva torniamo alle 6 per aiutare a spostare più abitazioni possibile. Risulta quasi impossibile accedere alla chiesa e alla biblioteca della Giungla. La parte nuova del campo è più affollata e costringe insieme persone di nazionalità diverse. C'è paura che emergano tensioni. Ciò che suscita maggiori preoccupazioni è che si dice che entro tre settimane tutta la Giungla dovrà essere smantellata. Gli sforzi di questi giorni sembrano dunque vani. 

Ora c'è una disperazione palpabile, che si percepisce in tutto il campo e che non c'era tre settimane fa. Molte persone si sono disperse, alcune prendono decisioni sempre più disperate, di cui beneficiano gli scafisti. Altre, che sono state in viaggio per dieci - dico dieci - anni, stanno cedendo. Una madre dell'Afghanistan insiste disperatamente che devono tornare indietro. Altri prendono asilo in Francia, ma questo dura solo alcune settimane o mesi. Altri ancora si cuciono la bocca per la disperazione. Alla fine è come se cercassero aiuto nel silenzio. 

Molti ci esortano: "Andate a parlare con loro.. Nostra madre ci dice.." Ma ci viene detto che sono stanchi e hanno solo bisogno di riposare. Così non lo facciamo. 

Almeno c'è il sole, e ci troviamo per un the a casa di Mango, che ha il soffitto ancora coperto di cuori.. Dovrebbe portare il tessuto con sé? E che cosa fare con i suoi disegni? Fa una risata stanca. Continuiamo.. Insciallà... a spostare nuove abitazioni.

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Volontariato a Calais

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