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Il futuro incerto di Israele

di Antonio Ferrari

Pubblichiamo di seguito l'articolo di Antonio Ferrari, comparso sul Corriere della Sera il 18 marzo 2015, a commento dell'esito delle elezioni israeliane che hanno visto vincitore Benjamin Netaniahu.

Nella notte, come era già avvenuto in passato, il risultato era in bilico. L’alba lo ha trasformato in certezza. Ora, che Benjamin Netaniahu abbia vinto, dopo lunghe ore di rassicurante pareggio (via exit poll) con i liberali di Ysaac Herzog, è fuor di dubbio. Che Israele non abbia vinto è altrettanto sicuro, perché in sostanza è cambiato poco o niente. Anzi, il Paese potrebbe essere spinto verso un pericoloso auto-isolamento mentre la regione ribolle di antiche tensioni e di nuovi sanguinosi conflitti.

Mezzo mondo è certamente amareggiato perché vede tramontata la possibilità di un rilancio del negoziato di pace con i palestinesi, e perché teme che Tel Aviv possa intralciare l’accordo che i grandi stanno tessendo con l’Iran sul nucleare. A meno di un difficilissimo compromesso per un governo di unità nazionale, sostenuto dal presidente Reuven Rivlin, sarà Netaniahu il prossimo leader di un Israele che mai si era collocato così a destra. Proprio in una fase decisamente nuova, con gli arabi che vivono nel Paese capaci di far tacere tutte le loro divisioni, di presentarsi alla Knesset uniti e di diventare il terzo partito. Quasi un segnale di quanto potrà accadere nel futuro, quando - in assenza dei due Stati - la maggioranza di Israele potrebbe non essere più ebraica. Lo sostengono con vigore i più celebrati demografi, a cominciare dagli israeliani.

Eppure Netaniahu è un empirico. Voleva conservare il potere a tutti i costi, anche con entrate a gamba tesa, persino a costo di essere accostato all’immagine di tanti satrapi dei Paesi musulmani vicini. È davvero un duro, Bibi. Somiglia a un abilissimo giocatore di poker che finge il bluff ma alla fine riesce sempre a vincere il piatto. La sua prima vittoria, nel 1996, era ritenuta la più improbabile. Il Paese piangeva ancora il martire Rabin, caduto a novembre dell’anno precedente per mano di un estremista ebreo. Il giorno delle elezioni andammo a casa dell’attentatore, Ygal Amir. I suoi genitori e gli altri famigliari chiusero l’intervista con la proposta di un brindisi per Netaniahu. Nessuno, nel Paese, lo considerava vincitore. Tutti pensavano che sarebbe stato Shimon Peres a raccogliere l’eredità di Rabin. Invece s’impose il giovanotto, fratello di Jonathan (uno degli eroi di Israele, caduto a Entebbe), e promise una vera rinascita. Fu sconfitto dagli scandali, dovette lasciare, permise ai laburisti di Ehud Barak di tornare al timone. Però alla fine, mentre i pericoli per Israele crescevano, e la campagna degli attentati terroristici si intensificava, ecco che dal Likud si staglia la figura di Ariel Sharon. Senza alcun dubbio, l’israeliano medio si riconosceva molto più nel discusso ma carismatico generale che nel Netaniahu, abile oratore, di poca concretezza, che però seduceva, con il suo inglese perfetto, l’opinione pubblica americana.

Nel 2009, riecco Bibi. Conciliante, pronto a sostenere l’idea dei due Stati (Israele e Palestina), ma alla fine deludente. Al punto che nel 2013 ha rischiato il pensionamento anticipato. È stato salvato soltanto dall’inconcludenza dei suoi oppositori. L’esecutivo è durato poco, perché lo stesso Bibi ha deciso di scioglierlo l’anno dopo, espellendo due ministri di centro-sinistra, e annunciando la riscossa di Israele: contro tutto e contro tutti. “Se sarò eletto - ha detto prima del voto - non vi sarà uno Stato palestinese e gli insediamenti aumenteranno”. La sua retorica raggela ancor più il presidente degli Stati Uniti, ed esalta i suoi nuovi e sotterranei amici, come l’Arabia Saudita, culla del mondo sunnita, in omaggio alla comune avversità per l’Iran sciita. Iran che Netaniahu non vede l’ora di colpire.

Il risultato delle elezioni di martedì dimostra che il premier sa sempre parlare alla pancia della sua gente. Anche se la pancia non è mai il consigliere più saggio.

Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera

18 marzo 2015

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