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Il gesto estremo di un 54enne a Varsavia

si dà fuoco dopo avere diffuso una lettera di protesta contro il governo

Nel tardo pomeriggio del 19 ottobre 2017, un 54enne polacco, di cui si sa solo che il primo nome è Piotr, si è dato fuoco davanti al Palazzo della Scienza e della Cultura di Varsavia - un monumento che era stato donato da Mosca ai polacchi. Poco prima aveva distribuito decine di copie di una lettera rivolta al popolo della Polonia. Il suo gesto ricorda quello dei monaci vietnamiti contro la guerra del Vietnam e anche l'autoimmolazione dello studente ceco Jan Palach durante la Primavera di Praga del 1969.

L'uomo adesso versa in gravi condizioni all'ospedale, con ustioni sul 60% del corpo. Il Paese si interroga sulla sua lettera e sul suo gesto.

La missiva non contiene nulla di irrazionale. Accusa il governo, guidato dal Partito della Legge e della Giustizia, di limitare le libertà e minare l'indipendenza del potere giudiziario. Specificamente le accuse sono di discriminazione contro donne, migranti, LGBT, musulmani e altri, e di distruzione dell'ambiente mediante il supporto a industrie carbonifere e lo sfruttamento del legname nelle foreste polacche.

Più in generale, Piotr ha denunciato "l'abdicazione da parte dei dirigenti del Partito della Legge e della Giustizia alle loro prerogative decisionali, che vengono cedute a una figura che non  ha più un posto nell'organigramma statale - Jaroslaw Kaczyński". Inoltre nella lettera afferma che il partito al potere abbia convertito la tv e le radio pubbliche in organi della sua propaganda. E lamenta che con questo governo la Polonia sia diventata "oggetto di ridicolo" sulla scena mondiale.

Uno dei principali fini dell'autoimmolazione, spiega Piotr stesso nella lettera, era "persuadere i membri del partito al governo a riconoscere che la mia morte è una loro responsabilità diretta e che le loro mani sono sporche del mio sangue". Piotr sperava anche di convincere il 47% dei polacchi che sostengono il Pis a rifiutare le sue politiche capaci di compromettere la democrazia e lo Stato di diritto". Non manca però un appello al 16% dei dissenzienti dalla linea dell'esecutivo a ricordare che "i suoi sostenitori sono le nostre madri, i nostri fratelli, vicini, amici e colleghi" e "che senza umiliarli, si deve semplicemente ricordare loro le regole della democrazia". 

Infine, un punto controverso della lettera è quello dove Piotr si dichiara depresso, ma dichiara fin da subito che il suo gesto non dovrà essere interpretato come un atto dettato da una malattia mentale. "Ci sono milioni di persone come me e ognuno di loro funziona più o meno normalmente. Non confondete la depressione con la follia". 

Questo è un rischio che esiste con tutti i casi di suicidio, per la cui copertura da parte dei giornalisti, infatti, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha elaborato specifiche linee guida. Nella politica talvolta si superano i limiti: per alcuni un uomo che tenta il suicidio diventa "un martire", per altri, com'è prontamente successo in Polonia, diventa "una persona insana di mente". 

Contro questo rischio è intervenuta la regista Agnieska Holland, il cui padre Henryk si suicidò nel 1961 per protesta contro il regime sovietico, e che ha girato negli anni '90 una serie tv su Jan Palach. Per la Holland "spiegare una tale disperazione civile e un simile gesto di sacrificio di sé come il gesto di un malato mentale è un atto di estremo lassismo morale". 

La reazione prevalente a Varsavia però di primo acchito è stata il silenzio. Si spera che non si tratti di colpevole indifferenza, come ha scritto Slawomir Sierakowski - Direttore dell'Istituto di Studi Avanzati di Varsavia e anima del movimento "Critica politica" attivo in Polonia - si pensi semplicemente "prima a piangere la vittima, poi a incanalare la disperazione lungo vie che esprimano speranza". 

Carolina Figini

2 novembre 2017

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