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In Siria Facebook è un'arma del regime

intervista a Shady Hamadi

Il logo del popolare social network

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Abbiamo intervistato Shady Hamadi, un giovane italo-siriano, autore del libro Voci di anime (Ed. Marietti) che ha raccontato la rivolta nel suo Paese.

Che cosa sta succedendo in Siria?

In Siria siamo a mille morti e a qualche migliaio di persone arrestate. Il Governo ha rifiutato la proposta dell’Onu che si offriva di inviare una missione umanitaria e di monitorare il rispetto dei diritti umani. La Russia ha posto un veto nei confronti delle Nazioni Unite, dicendo che non si deve ricreare un’altra Libia con i bombardamenti. La Siria, inoltre, ha rinunciato alla sua candidatura per un seggio all’interno del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a causa delle palesi violazioni di questi stessi diritti, anche se il Governo continua a sostenere che queste rivolte sono fomentate da gruppi integralisti che compiono omicidi durante le manifestazioni.

In realtà chi scende in piazza in Siria?

Ci sono manifestazioni in tutte le città, nella capitale soltanto in periferia. Ad Aleppo ieri qualche migliaio di studenti universitari hanno manifestato e sono stati allontanati. Qualche settimana fa qualche centinaio di donne si sono radunate davanti alla moschea di Damasco, sono state disperse anche loro. C’è una partecipazione diffusa di tutte le classi sociali. Sta anche aumentando la partecipazione degli studenti, che prima era quasi nulla e ora si sta intensificando. Se scendono in piazza i giovani e l’elite intellettuale e culturale costoro potrebbero infliggere al regime il colpo finale. Abbiamo visto che la “democrazia d’esportazione” che propinano i Paesi occidentali è sostanzialmente una mera bugia perché se esistesse ci sarebbe stato i in Siria un'intervento anche a tutela della popolazione: si discute di diritti umani e in Siria, come in Yemen, non sono rispettati. I siriani sono praticamente da soli.

Come giustifica il mancato intervento dell’Occidente?

In Siria i Paesi occidentali secondo me non intervengono perché temono che se viene destituito il Presidente la situazione possa diventare instabile: la Siria e l’Iran hanno trattati commerciali e militari, Israele non vede di buon occhio un’uscita di Bashar Al-Asad. Egli è uno storico oppositore di Israele ma Israele teme che sia sostituito dagli integralisti, c’è lo spettro sempre presente dei Fratelli musulmani. Lo Stato che può fare la differenza è la Turchia: se si oppone, se gli interessi umanitari prevarranno su quelli economici - come sembra stia succedendo - potrebbe esserci una svolta. Anche Hezbollah, il Partito di Dio, questo gruppo paramilitare del Sud del Libano, ha interessi che il governo siriano resti al potere perché è il suo primo finanziatore. Il governo sovietico ha finanziato militarmente la Siria, ci sono ancora interessi economici di questo Paese.

Quali sono gli strumenti che il regime usa contro gli oppositori?

Ogni tipo di strumento, dalle torture agli spari ad altezza d’uomo durante le manifestazioni. Oggi hanno liberalizzato Facebook per cercare di capire chi sono gli agitatori della rete, per individuare le persone che creano gruppi con l’obiettivo di imprigionarli se si trovano in Siria.
Io vivo fuori dal Paese e non ho la cittadinanza siriana ma ho quella italiana: se venissi identificato come un oppositore in rete non avrei più il visto d’ingresso in Siria, sarei una sorta di esiliato, responsabile di aver fomentato la resistenza.

Lei come vive questo momento? Come reagisce la comunità siriana in Italia?

La comunità siriana in Italia è divisa in due: ci sono quelli che hanno paura di opporsi al regime pur stando in Italia. Nonostante vivano in un Paese democratico e quindi hanno una concezione democratica di libertà hanno paura di opporsi e di chiedere l’allontanamento del presidente perché temono di non mettere più piede in Siria. Poi ci sono i coraggiosi, quelli che urlano ad alta voce il nome della donna di cui sono innamorati tutti quanti gli uomini: lei si chiama libertà. Il coraggio dei siriani che protestano è lo stesso dei francesi che andarono alla Bastiglia: molti sapevano che non sarebbero tornati a casa ma si sono sacrificati per l’ideale più grande che ci sia, quello della libertà.

Gli italiani offrono sostegno, solidarietà?

Molti italiani non sanno, non sono informati. Spero che ci sia una massiva campagna di informazione su quello che accade in Siria. Spero che da questi fatti la società civile italiana possa imparare a non astenersi dal partecipare alla politica perché dall’altra parte del Mediterraneo c’è gente che muore per diritti che qui sono garantiti ma non vengono considerati.

13 maggio 2011

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