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Iran, rivoluzione o assestamento in senso conservatore?

domande sul futuro delle proteste iniziate agli albori di un miglioramento

L'Iran, come scrive Fareed Zakaria sul Washington Post, "ha tutti gli ingredienti per una rivoluzione: una maggioranza di giovani sotto i 30 anni connessi con gli smartphone, molti dei quali istruiti e disoccupati, e riformatori che hanno significativamente innalzato l'asticella delle aspettative e tuttavia non hanno mai mantenuto le promesse". Tuttavia il regime nato con la Rivoluzione del 1979 ha in mano strumenti di potere, ideologia, repressione e supremazia che possono consentirgli di mantenere il controllo.

I giornali internazionali vantano numerosi testimoni qualificati dei rivolgimenti che si sono succeduti in Iran nel 1979, 1997, 2003, 2009 e ora. Nazila Fatih è una di questi. A lungo corrispondente del New York Times, ha dedicato all'Iran un libro che racconta la rivoluzione vista da una donna. 

In un recente articolo ha messo in guardia sul pericolo di una restaurazione conservatrice. I giovani, in rivolta da quando il riformista Rouhani ha pubblicato il bilancio 2018 con le sue immani spese in armamenti e finanziamenti alle istituzioni religiose, potrebbero in realtà trovarsi nella posizione scomoda di fare da puntello proprio ai sostenitori di Khamenei, gli ultraconservatori allergici alle riforme. 

Lo scenario è da manuale di Diplomazia, secondo il detto: "3/4 delle rivoluzioni scoppiano all'inizio di un miglioramento". Una massima che poi, come ha sottolineato Zakaria, è derivata dal pensiero di Alexis de Tocqueville, quando scrisse, 162 anni fa: "Le rivoluzioni non sono sempre causate da un graduale declino di male in peggio. Nazioni che hanno sopportato pazientemente e quasi senza accorgersene l'oppressione più schiacciante, spesso insorgono contro il giogo nel momento in cui esso pare alleggerirsi".

Rouhani ha risolto molti problemi dell'Iran: ha chiuso il dossier dell'arricchimento dell'uranio, ottenendo la rimozione di una parte delle sanzioni americane; ha avviato, specialmente nel suo secondo mandato, alcune riforme nel campo della liberalizzazione economica e sociale del regime; ha superato il vicolo cieco nel quale il Paese sembrava essere finito dopo la repressione dell'Onda Verde e l'elezione di Ahmadinejad.

Tuttavia, i giovani vogliono più di questo. La celebre penna del New York Times Thomas Friedman, una carriera come corrispondente dall'Iran fino dal 1979, ha messo in luce che vi sono analogie tra i movimenti dei giovani iraniani e sauditi. Entrambi, sullo sfondo di un'economia che non consente più grandi margini ai Paesi produttori di petrolio, vorrebbero "seppellire il 1979", l'anno che nella storia musulmana e araba ha significato misoginia istituzionalizzata, chiusura paranoica nei confronti dell'Occidente, potere in mano a una classe di clerici di idee antiquate e spesso corrotti, guerre e competizione tra Stati, e infine un aumento della pericolosità dei movimenti estremisti, tra cui Al Qaeda e di recente l'Isis.

I giovani, concordano le tre analisi che abbiamo preso in considerazione, non ne possono più di tutto questo. Vogliono riprendere in mano la propria vita. La differenza è che in Iran possono già in parte farlo, le elezioni prevedono per esempio il voto segreto, la vita delle donne è relativamente più semplice che in Arabia Saudita. E tuttavia qui c'è un re, il 32 enne sovrano Salman, che sembra intenzionato ad aprire il Paese, compresi i cinema, a lasciar guidare le donne, a porre fine a molti conflitti... in conformità con i desideri dei suoi coetanei, i millennial che manifestano adesso nei due Paesi.

Invece in Iran, un Paese la cui rivoluzione, spesso salutata in Occidente come un grande moto anticapitalista, in realtà ha rappresentato un ibrido tra i modelli di cambio della classe dirigente tipici delle società islamiche e i rivolgimenti più tipici dell'Occidente, i giovani rischiano di essere ancora una volta ostaggio dei conservatori, schiacciati dalle lotte di potere e dall'indifferenza della comunità internazionale, che si è evidenziata in particolare con i Tweet avventati di Donald Trump.

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