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Israele e Palestinesi collaborano per fermare il coronavirus

a Gaza la situazione con maggiore rischio di contagio

Israele e l'Autorità Palestinese hanno creato una sala operativa congiunta per combattere l’epidemia da coronavirus. "I nostri comuni confini e le nostre relazioni non consentono esitazioni nel prendere serie misure e collaborare ai massimi livelli per prevenire la diffusione del virus", ha annunciato alcuni giorni fa il portavoce dell’Autorità Palestinese (AP) Ibrahim Milhem. La notizia, riportata dal quotidiano israeliano Jerusalem Post è stata confermata da un funzionario del Ministero della Difesa israeliano.

II bollettino dell’epidemia in Israele intanto registra  4.247 israeliani finora risultati positivi al coronavirus, in grande maggioranza in modo lieve, 132 ricoveri, e 79 guarigioni, mentre 15 pazienti sono deceduti e 74 sono gravi.

Per frenare la diffusione del virus il governo israeliano ha inasprito le misure di emergenza: limiti alla circolazione e divieto di lasciare le case, se non per esigenze vitali. Chiusi tutti i negozi tranne alimentari, farmacie, negozi che vendono alimenti per animali e ottici, e drastica riduzione dei trasporti pubblici. Disobbedire all’ordinanza significa commettere un reato punito con ingenti multe. Recarsi al lavoro è consentito solo per le attività autorizzate dalle norme per l’emergenza. Chiuse di fatto sinagoghe, chiese e moschee perché il culto religioso è consentito solo se si svolge in uno "spazio aperto".

In Cisgiordania sono stati rilevati 100 casi di contagio, 17 guarigioni e un decesso. A Gaza, nove contagiati, di cui due dopo il ritorno dal Pakistan, gli altri sette contagiati dai primi due diagnosticati. L’Autorità Palestinese ha dichiarato lo stato di emergenza in tutti i territori il 5 marzo, dopo i primi casi di contagio registrati nell'area di Betlemme, e il 22 marzo ha imposto il coprifuoco per 14 giorni nella Cisgiordania.

In questo quadro cresce l'allarme tra la popolazione in particolare a Gaza, dove gli ospedali sono gravemente carenti di attrezzature ed equipaggiamenti protettivi. Il Ministero della Sanità di Gaza ha lanciato un appello urgente all'Organizzazione mondiale della sanità nel timore di conseguenze catastrofiche se il virus riuscisse a diffondersi nell'enclave costiera, secondo il quotidiano Haaretz.

"Chiediamo alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale di darci un supporto immediato, compresi i ventilatori e le apparecchiature di terapia intensiva per far fronte all'epidemia", ha detto il portavoce del Ministero della Sanità, il dottor Ashraf al-Qudra, in una conferenza stampa martedì. Il ministero ha affermato che sono immediatamente necessari circa 150 ventilatori per assistere i due milioni di persone che vivono a Gaza. Secondo un alto funzionario del ministero, al momento ci sono solo 65 macchine e sono già molto richieste. La maggior parte dell'attrezzatura utilizzata negli ospedali è in pessime condizioni, ha avvertito, e non ci sarà alcun modo per curare coloro che sono malati se il virus si diffonde.

L’Autorità Palestinese cerca intanto di rassicurare i cittadini riaffermando la necessità di cooperare in campo medico con il governo israeliano per combattere il virus, mettendo da parte le critiche e le accuse rivolte in passato all’AP per il coordinamento della sicurezza con Israele. "Chiunque si opponga alla cooperazione con Israele in campo medico agirà contro gli interessi del nostro popolo", ha detto un funzionario dell'AP a Ramallah. "Questo è il momento di mettere da parte le nostre differenze e lavorare insieme contro la pandemia, che non distingue tra un ebreo e un arabo". 

Il maggiore Yotam Shefer, capo del dipartimento internazionale del Coordinamento delle Attività del Governo israeliano nei Territori (COGAT), ha dichiarato che nelle ultime tre settimane il dipartimento, in collaborazione con il Ministero della Sanità, ha lavorato per aiutare i palestinesi alla luce dello scoppio del coronavirus. A proposito della chiusura decretata in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza con l'eccezione dei casi umanitari, come le cure mediche negli ospedali israeliani e l'ingresso del personale medico palestinese, Shefer ha ricordato che "i lavoratori palestinesi impiegati nell'agricoltura, nell'edilizia, nell'industria e nei servizi possono entrare in Israele. A causa della diffusione del virus, tutti i lavoratori che entrano in Israele sono soggetti ad avere un alloggio in Israele per un periodo da uno a due mesi, che è sotto la responsabilità dei datori di lavoro israeliani ", riferisce il Jerusalem Post.
I lavoratori che hanno scelto di tornare alle loro case in Cisgiordania prima di quel periodo non potranno rientrare in Israele fino a nuovo avviso. "In questo caso, stiamo parlando di salute e questa è una priorità assoluta", ha spiegato Shefer. “Il nostro coordinamento con la PA è molto stretto e molto forte. Stiamo lavorando insieme perché comprendiamo che alla fine questo virus non ha confini e non fa distinzione tra israeliani, palestinesi e altri. Intendiamo continuare questa collaborazione e coordinamento “.

Questa linea di azione ha ricevuto il plauso di Nickolay Mladenov, coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente, che ha elogiato il coordinamento tra le autorità israeliane e palestinesi nel reagire alla pandemia di COVID-19. In una dichiarazione rilasciata venerdì, il coordinamento e la cooperazione instaurati tra Israele e Palestina, per quanto riguarda la lotta contro COVID-19, sono stati descritti come "eccellenti".

La situazione sul campo però registra anche episodi come quello segnalato da B’Tselem – Centro Informazioni Israeliano per i Diritti Umani nei Territori Occupati - nella comunità palestinese di Khirbet Ibziq nel nord Valle del Giordano, dove  funzionari dell'amministrazione civile israeliana sono intervevenuti bloccando l'allestimento di otto tende destinate a ospitare una clinica da campo, quattro alloggi di emergenza per i residenti evacuati dalle case e due moschee e sequestrando tutto il materiale utilizzato.

La comunità di Wahat al-Salam - Neve Shalom - Oasi di Pace e la Giornata dei Giusti

Negli ultimi giorni di "normalità", prima che scattasse l'allarme per l'epidemia, in un villaggio a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv-Jaffa si è tenuto un evento che testimonia la possibilità di cooperazione tra palestinesi e arabi israeliani per realizzare progetti di comune interesse per il bene sociale.

L'evento è stato organizzato dalla comunità di Wahat al-Salam \ Neve Shalom (in italiano Oasi di Pace), fondata nel 1970 nell’omonimo villaggio a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv-Jaffa, abitato da palestinesi ed ebrei israeliani impegnati per la giustizia, la pace e l'uguaglianza nel Paese. Dal 2015 nel villaggio esiste un Giardino dei Giusti dedicato a onorare  i soccorritori: persone che, agendo in base a un sentimento interiore e alla convinzione che fosse la cosa giusta da fare, hanno salvato altre persone rischiando la vita.

Nel Giardino dei Giusti lo scorso 12 marzo la comunità di Wahat al-Salam \ Neve Shalom ha celebrato la Giornata dei Giusti dell’umanità onorando ebrei che durante i conflitti hanno salvato palestinesi e palestinesi che hanno aiutato gli ebrei: il palestinese Issa Kurdia, Bella Freund, signora ebrea appartenente alla comunità ultra-ortodossa, e i monaci dell’Abbazia di Latrun.

Issa Kurdia, durante i disordini del 1929, nascose in casa decine di ebrei. Si stima che 425 ebrei furono salvati grazie al suo coraggio e all’aiuto anche di altre famiglie palestinesi della città di Hebron/Al-Khalil.

Bella Freund, il 13 maggio del 1992, durante gli scontri tra israeliani e palestinesi salvò dal linciaggio Adnan al-Afandi, giovane palestinese che aveva accoltellato due adolescenti ebrei a Gerusalemme, proteggendolo con il suo corpo fino all'arrivo della polizia e venendo ferita. Per questo atto fu durante attaccata dall'opinione pubblica israeliana dalla comunità a cui apparteneva.

I monaci dell'Abbazia di Latrun durante la guerra del 1967 ospitarono gli abitanti del villaggio di Imwas, che erano stati cacciati dalle loro case, nascondendoli nella cantina dell'abbazia fino all'arrivo dell’esercitò, che li trasferì a Ramallah.

La cerimonia a Wahat al-Salam \ Neve Shalom è stata aperta dal Professor Yair Auron, che ha ricordato la collaborazione con GARIWO e con il suo Presidente Gabriele Nissim, impegnato dal 2003 a promuovere la realizzazione di Giardini dei Giusti dell’umanità in tutto il mondo, per ricordare i Giusti di tutti i genocidi e di tutte le persecuzioni.

Il Professor Auron, storico e iniziatore del Giardino dei Giusti, fa parte del Comitato che valuta le figure da onorare, assieme a Diana Shaloufi-Rizek, Direttrice e curatrice della Galleria d’Arte, Samah Salaime, Direttrice della comunicazione e dello sviluppo, e Hezzi Schouster, Direttore del Centro spirituale.

La cerimonia è stata l'ultimo evento prima della sospensione di tutte le iniziative culturali e ricreative in Israele a seguito dell'epidemia da coronavirus.

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