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Là dove i populisti hanno vinto

le fragili democrazie della Polonia e dell'Ungheria

A Budapest le autorità hanno chiuso da qualche mese il giornale Népszabadság ("la libertà del popolo"), e i colleghi della storica testata polacca Gazeta Wyborcza temono che li attenda la stessa sorte. Lo riporta il giornale francese Le Nouvel Observateur, in un articolo del 7 maggio dedicato a "Ungheria, Polonia: la macchina rottamatrice del nazionalismo ultraconservatore". 

Secondo questo reportage, il quotidiano polacco di centro-sinistra sarebbe stato già bandito dalle amministrazioni pubbliche, dagli uffici postali e dalle stazioni di servizio controllate dallo Stato e non riceverebbe più pubblicità governative.

Si tratterebbe di una censura comune nei Paesi dove il populismo, che proprio il 7 maggio 2017 è stato sconfitto in Francia, ha invece vinto e conquistato il potere. 

Polonia e Ungheria sono già finite nel mirino delle autorità di Bruxelles per una deriva autoritaria che da qualche anno non si sta più fermando: oltre alle chiusure dei giornali che osano protestare documentando le malefatte dei partiti al governo, si registrano pesanti modifiche alla Costituzione per cercare di controllare l'equilibrio dei poteri legislativo, giudiziario ed esecutivo a favore di quest'ultimo, e misure gravemente intolleranti verso la memoria della Shoah, le comunità ebraiche e quelle di immigrati.

Il 4 aprile di quest'anno, il Times annunciava che Francia, Germania e altri 21 Paesi europei avrebbero deciso di lanciare un ultimatum a Budapest e Varsavia: o accettate gli immigrati, o uscite dall'Europa. Il provvedimento molto grave sarebbe stato adottato perché Ungheria e Polonia si rifiutavano caparbiamente di accettare il sistema di quote di cui l'Europa ha cominciato faticosamente a dotarsi, dopo che la questione migranti per diversi lustri aveva interessato in modo sbilanciato i Paesi meridionali dell'Europa, e in particolare l'Italia e la Grecia.

I motivi dell'opposizione polacca e ungherese alle quote dei migranti sono in parte legittimi, perché le loro democrazie sono ancora fragili dopo decenni di comunismo e potrebbero non reggere bene l'impatto dei nuovi arrivi. Tuttavia le modalità fanno parte di un repertorio nazionalista troppo affine alle memorie del passato nazifascista per passare sottotraccia come una variante culturale qualsiasi. L'Ungheria, sempre secondo il Times, ha annunciato in toni perentori una "controrivoluzione contro l'accentramento dei poteri a Bruxelles"  per contrastare gli arrivi. La Polonia aveva ingaggiato una battaglia al Consiglio e al Parlamento Europeo contro l'esponente progressista Donald Tusk.

Nel giorno in cui i francesi, con grande senso dello Stato, si recavano alle urne nonostante le minacce dei terroristi, i polacchi scendevano in piazza contro il partito ultraconservatore al potere, guidato da Beata Szydło. Gli organizzatori della "Marcia per la Libertà" (March for freedom sui media internazionali) hanno protestato in particolare contro gli attacchi del governo alla Corte Costituzionale e, quindi, all'indipendenza del potere giudiziario. 

I manifestanti, 90.000 secondo gli organizzatori e 12.000 secondo la polizia, sarebbero in tutti i casi molto meno degli oltre 250.000 che manifestavano l'anno scorso. Tuttavia è innegabile l'alto valore simbolico del loro corteo apertamente pro-UE. Il sindaco di Poznań Jacek Jaskowiak ha rimproverato al leader del Partito Diritto e Giustizia al governo, Jarosław Kaczyński, di voler “portare la Polonia fuori dall'Europa occidentale", anche se va detto che molti sono sfiduciati nei confronti dell'avversario Tusk, ritenendolo oltretutto corresponsabile dell'incidente aereo di Smoleńsk.

Per quanto riguarda l'Ungheria, rilevanti sono state le manifestazioni del 1° maggio, rivolte soprattutto, secondo Radio Free Europe, contro l'influenza russa. Viktor Orbán sarebbe accusato infatti di favorire la Russia, per esempio passando una legge concepita da Mosca, che estrometterebbe da Budapest la prestigiosa università americana fondata da George Soros. L'Europa, così criticata negli anni passati fino a sembrare sull'orlo dell'estinzione, si trova oggi in un momento di crisi, ma molti cittadini a est e a ovest affidano ancora al sogno europeo i propri desideri di vivere in una società intrisa di valori democratici invece che di slogan xenofobi o nostalgici dei totalitarismi che hanno insanguinato il Vecchio Continente per secoli.

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