Non c'è pace per Donald J. Trump. Prima esplode il caso di Paura alla Casa Bianca, il libro scandalo di Bob Woodward, il giornalista di punta del Washington Post che accusa il Presidente di essere un "folle" alla guida di una "gabbia di matti". Poi arriva una conferma dei contenuti di questo libro inchiesta, ovvero la lettera di un funzionario anonimo della Casa Bianca al New York Times.
In questa missiva, datata 6 settembre 2018, la talpa interna agli uffici della Presidenza americana, scrive:
Il Presidente Trump è di fronte a una prova senza precedenti per un leader americano. La questione è che molti suoi dirigenti lavorano diligentemente da dentro per frenare le parti più "pericolose" del suo programma e le sue inclinazioni peggiori.
Per essere chiari: la nostra non è la “resistenza” della sinistra. Vogliamo che questa Amministrazione abbia successo e pensiamo che molte delle sue politiche abbiano già contribuito a rendere l'America più sicura e più prospera.
Ma pensiamo che il nostro primo impegno sia nei confronti di questo Paese e che il presidente continui a comportarsi in un modo che possa danneggiare la salute della nostra Repubblica.
Ecco perché molte delle persone che sono state nominate da Trump hanno giurato di fare tutto quel che è nel loro potere per preservare le nostre istituzioni democratiche, mentre contengono gli impulsi più scellerati di Trump.
La radice del problema è l'amoralità del presidente. Chiunque lavori con lui sa che non è guidato da alcun principio discernibile che conduca il suo processo decisionale.
I funzionari ammettono alcuni successi della Presidenza Trump, come il rafforzamento della difesa, che la copertura mediatica negativa non permetterebbe di cogliere. Tuttavia, sottolineano che essi sono stati ottenuti non grazie, ma nonostante "il suo stile di leadership impetuoso, ostile, meschino e inefficace". Un gruppo di dirigenti della Casa Bianca sarebbe quindi all'opera per "resistere" al potere del Presidente.
I principali provvedimenti di Trump sono stati: una battaglia frontale contro il sistema di copertura sanitaria universale voluto da Obama, a detrimento dei più poveri; smantellamento delle politiche ambientali del predecessore e addirittura negazione tout court del problema climate change; pressioni sulla magistratura per proteggersi da quello che poi è risultato essere un appiglio effettivo per una domanda di impeachment del Presidente, ossia il caso Russia Gate sulle ingerenze di Mosca nello svolgimento delle elezioni in cui lo stesso Trump è stato eletto; una politica estera spregiudicata e inframmezzata di gaffe; provvedimenti gravissimi contro i migranti, come la separazione dei figli minorenni dai genitori e addirittura la loro detenzione alla famigerata frontiera con il Messico.
Rifiutarsi di servire Trump potrebbe essere un modo di "resistere" al suo potere. Ma quale potrebbe essere il limite? Probabilmente è il rispetto per i valori comuni della Costituzione, in cui crede la maggior parte degli Americani, un popolo che ha conosciuto le migrazioni, le grandi battaglie per i diritti civili, il femminismo, le lotte pacifiste, e un vivacissimo panorama culturale che rimanda all'idea di una greatness, una grandezza tutta americana.
La stessa in cui credeva anche John McCain - l'eroe di guerra americano, candidato della destra contro Obama nel 2008 - che, al suo funerale, non ha voluto né Trump né Sarah Palin. E in un ultimo gesto per il suo Paese, ha voluto commentare le azioni del presidente lasciando queste parole come monito morale:
"Noi indeboliamo la nostra grandezza quando confondiamo il nostro patriottismo con le rivalità tribali che hanno seminato così tanto risentimento e odio e violenza a tutti gli angoli del globo. La indeboliamo quando ci nascondiamo dietro i muri, invece di abbatterli, quando dubitiamo del potere dei nostri ideali, invece di confidare che siano essi, da sempre, la grande forza per cambiare".