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La Russia e i suoi nemici

il patriottismo secondo Putin, di A. Zafesova

La democrazia è “il potere del popolo russo esercitato nell’ambito delle sue tradizioni”, e non certo “la realizzazione di standard che ci vengono imposti dall’esterno”. La definizione appartiene a Vladimir Putin ed è stata coniata durante il suo primo discorso sullo stato della nazione della nuova, terza presidenza dell’uomo che di fatto governa ininterrottamente dal 1999. Del resto, a Putin la democrazia come termine non è mai piaciuto, ha cercato di aggettivarla introducendo a un certo punto il concetto di “democrazia sovrana” accompagnato dalla “verticale del potere”, e non l’ha mai praticata troppo, eliminando anno dopo anno libertà civili e politiche, abolendo o riducendo il potere elettorale dei cittadini, limitando l’attività dei partiti. I primi provvedimenti del Putin-3 sono stati esemplari, anche se non sorprendenti: leggi draconiane contro le manifestazioni non autorizzate, giro di vite contro Internet, nuovi poteri ai servizi segreti, reintroduzione nel Codice penale del reato di “diffamazione” da utilizzare contro i critici del regime, e la legge che obbliga le Ong con finanziamenti esteri a dichiararsi “agenti stranieri”, provvedimento che sta già portando a drammatiche difficoltà operative per entità anche molto lontane dalla politica, ma che si occupavano di progetti di sanità e welfare in un Paese ancora molto arretrato.


La novità stavolta consiste non tanto nelle azioni, quanto nelle parole: il presidente che ha sempre amato definirsi pragmatico ora è in cerca di un’ideologia. Da formulare non più con messaggi subliminali, ma in termini precisi: “Certamente sta riflettendo su un’ideologia”, dice Dmitry Peskov, portavoce del presidente, “è importantissima, il patriottismo è importante”. In una Russia scossa da proteste mai viste nei due decenni precedenti, e con uno scontento crescente, il Cremlino sta cercando una nuova coesione per “motivare il popolo”. E Putin si sta rivolgendo ai valori più conservatori e tradizionali, come aveva fatto anche durante la campagna elettorale nell’inverno scorso, scommettendo sui ceti più conservatori come i dipendenti pubblici, gli operai, la popolazione rurale, i militari e l’industria bellica, la chiesa ortodossa, da opporre ai “giovani ceti urbani istruiti” che erano scesi nelle piazze contro il regime. Da qui i discorsi sulla “nazione”, il “patriottismo”, la proposta di reintrodurre una disciplina di “educazione patriottica” nelle scuole e l’idea di vietare ai funzionari statali di possedere qualunque bene all’estero. La paranoia ereditata dal Kgb e unita alla tradizionale xenofobia di una parte cospicua della cultura russa, fin dal ‘600, si sta trasformando da ventata di moda politica in linea ufficiale. Il tradimento dei valori tradizionali di unità, coesione e lealtà al potere porta alla debolezza dello Stato, visto a sua volta come valore principale rispetto ai diritti del singolo. L’Occidente è un nemico, i suoi valori non sono da imitare e importare. “Non esistono valori occidentali condivisi e il presidente lo sa”, afferma Peskov, che si vanta anche di come gli interlocutori occidentali facciano sempre meno domande a Putin sui diritti umani: “È un argomento troppo tradizionale e noioso, tutti sono stanchi di parlare dei diritti umani”. Non è un caso che Mosca è stata estremamente scettica sulla primavera araba, e che continui a difendere il regime siriano.


Comprensibile che il Cremlino – ritrovandosi in compagnia di altri Paesi come la Cina o gli autoritarismi arabi – non voglia parlare di diritti umani, e replichi alle critiche sulla limitazione alla libertà di stampa, le torture nelle carceri e le persecuzioni degli oppositori con polemiche antioccidentali (come ha fatto di recente il presidente della Commissione elettorale centrale Vladimir Churov, tristemente famoso per i brogli nel voto alla Duma, che ha pubblicato una “ricerca” che bolla il sistema elettorale americano come meno democratico di quello russo). Un sentimento che peraltro Putin condivide con molti russi, che insieme a lui hanno fatto il percorso da una blanda nostalgia per il passato sovietico (dalle canzoni ai cibi alla reintroduzione dell’inno con un testo leggermente modificato) al rancore nei confronti dell’Occidente che non considera più la Russia l’interlocutore imprescindibile di un tempo (con Putin che rivalutava il ruolo di Stalin nelle discussioni con gli storici autori dei manuali scolastici) al sentimento di supremazia ora che, con la crisi economica, fanno sentire i russi arricchitisi recentemente come la nuova forza emergente che si prepara a ridisegnare un mondo in fallimento. Del resto, la maggior parte dei russi sono stati allevati in Urss, dove gli veniva ripetuto ogni giorno che il capitalismo “marcio” stava per collassare. E oggi Mosca spera di poter trovare un suo posto di maggior potere in un mondo che spera di ridisegnare, mantenendo con l’Occidente un rapporto economico e una diplomazia “pragmatica”, ma rendendo definitivamente chiaro di non ritenersene parte, e anzi di volersi opporre in un conflitto sulla “identità culturale, valori spirituali e morali e codici morali” che, per dirla con Putin, è aspramente in corso tra la Russia e i suoi nemici.

Anna Zafesova, giornalista, analista e USSR watcher

18 dicembre 2012

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