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Mosca e Washington, dall'Ucraina alla Siria

intervista a Vittorio Emanuele Parsi

Dopo il referendum del 16 marzo in Crimea, la comunità internazionale ha adottato diverse sanzioni contro la Russia, arrivando alla sospensione de facto di Mosca dal G8 - con la sospensione del G8 di Sochi e la convocazione di un prossimo G7 a Bruxelles. Abbiamo chiesto a Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali all'Università Cattolica di Milano, di parlarci della crisi ucraina e delle sue eventuali ripercussioni sui negoziati per il conflitto in Siria.


Parliamo di Crimea. Dopo il referendum del 16 marzo, Putin ha dato il via libera all’annessione, mentre Biden ha parlato di un possibile schieramento di truppe nei Balcani. Cosa succederà in Ucraina? Quali scenari si aprono?

Il rischio di un confronto tra Ucraina e Russia è a questo punto realistico e molto presente. In ogni caso, questa situazione implicherà sicuramente un aumento della tensione tra le due sponde dell’Atlantico.


Si è parlato di un nuovo imperialismo russo, sulle orme di Stalin. Ma quali sono, se ci sono, le differenze tra l’imperialismo sovietico e quello della Russia di Putin?

Quello che cambia tra i due imperialismi è sostanzialmente l’ideologia, che oggi, nella Russia di Putin, è diversa da quella comunista. Per il resto Mosca si muove in modo simile, e di conseguenza questo comportamento è inaccettabile per l’Occidente.


In quest’ottica, secondo lei Putin si fermerà alla Crimea o allargherà lo sguardo su tutta l’Ucraina?

Ritengo che l’Ucraina sia l’obiettivo finale, non tanto con un’annessione in questo caso, quanto piuttosto con il tentativo di riportare Kiev all’interno dello spazio politico russo - per poi mantenerla con la forza sotto l’influenza di Mosca. E anche questo non è un atteggiamento accettabile.


In questo momento Unione Europea e Stati Uniti stanno discutendo ulteriori sanzioni contro Mosca, dopo quelle approvate negli scorsi giorni. Come si muoverà adesso l’Occidente nei confronti di Putin?


Intanto Stati Uniti ed Europa stanno prendendo atto del cambiamento, del fatto che la Russia si comporta in maniera inappropriata rispetto a quelle che sono le modalità accettabili in Occidente. Innanzitutto servirà prendere coscienza del fatto che la Russia di Putin non è un Paese come gli altri, ma purtroppo è uno Stato autoritario che utilizza la politica estera per distrarre la popolazione dal regime dittatoriale. In secondo luogo si è iniziato a considerare seriamente che bisogna iniziare a diversificare le forniture energetiche europee, così come è stato fatto nei confronti dei Paesi arabi dopo la crisi del 1973. In terzo luogo, occorre ora lavorare per favorire, all’interno della Russia, un forte movimento della società civile, che è l’unica cosa che può contribuire a trasformare il Paese.


La questione ucraina comincia ad avere ripercussioni anche su un altro fronte, la Siria. A che punto è il conflitto a Damasco? E quanto pesa sui negoziati l’allontanamento tra Stati Uniti e Russia, avvenuto in seguito ai fatti di Kiev?

Oggi la guerra civile in Siria è in una fase di stallo, e anzi il regime è in una posizione più solida rispetto a un anno fa. Si parla anche di imminenti elezioni presidenziali a Damasco. Questo tuttavia non preoccupa i maggiori attori coinvolti, in quanto le forze dell’opposizione sono ormai in gran parte - purtroppo - monopolizzate ed egemonizzate da movimenti islamici di tipo estremista.
Sulla Siria comunque non bisogna aspettarsi un grande cambiamento, dal momento che l’America aveva già assunto un atteggiamento meno drastico verso il regime di Assad dopo l’errore commesso con l’idea di bombardare la Siria in seguito all’uso dei gas. Quindi di fatto le posizioni dei due grandi non sono così distanti oggi, anche se gli Stati Uniti chiaramente hanno tratto una lezione dall’altolà dei russi sulla questione siriana, e la stanno applicando oggi in Ucraina: data la reazione di Mosca seguita alla proposta di Washington di usare la forza contro il regime di Assad, posso capire che l’America ora ritenga che la Russia non debba essere trattata come se nulla fosse, come un Paese amico.
Il tavolo negoziale dove probabilmente Mosca potrà far pesare il suo malcontento è invece il dossier iraniano. Anche se, va detto, il regime di Teheran appare oggi più collaborativo, e sembra ci sia maggiore possibilità di trovare una soluzione. Per cui, tutto sommato, la reazione di Mosca potrebbe essere un danno contenuto.


Sempre a proposito della Siria, il conflitto sta allargando sempre di più i suoi confini, dal Libano a Israele. Come sono cambiati gli equilibri e i rapporti dei vari attori nella regione dopo tre anni di conflitto? E come cambieranno ora?

La Siria, che era una grande potenza regionale, lotta per la sopravvivenza. Nel Levante, l’azione iraniana è più che surclassata dall’azione saudita e del Qatar. Israele ha un quadro strategico che lo circonda che probabilmente per la sua leadership in questo momento è più rassicurante. L’Egitto è diventato un Paese cliente dell’Arabia Saudita. L’Iraq sta attraversando una guerra civile fomentata a sua volta, più o meno direttamente, da Riyad. A tre anni dallo scoppio del conflitto in Siria, quindi, il quadro è quello del Golfo che sta allungando le mani sul Levante.

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

25 marzo 2014

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