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Moschee, centri commerciali e autoritarismo

ma la protesta turca non è una primavera

La lotta contro i faraonici progetti urbanistici del premier turco si tinge di molteplici coloriture politiche e religiose. "Erdogan vuole cancellare Atatürk", dicono ai giornalisti stranieri i manifestanti laici, mentre chi è più religioso contesta la rincorsa al consumismo e il potere della maggioranza sunnita. 
Nelle ultime settimane si sono avute manifestazioni per mantenere il verde del Gezi Park, proteste "dei baci" contro il divieto di effusioni pubbliche in metropolitana, cortei di giovani con le birre in mano, ma anche movimenti di attivisti maturi, che lottano per la democrazia messa in discussione dalle aspirazioni di Erdogan a ristabilire una forma di califfato. Per molti osservatori, infatti, il premier turco si sarebbe troppo identificato nel ruolo assunto facendo l'alter-ego di Netanyahu o coinvolgendo il Paese a fondo nella crisi siriana. 

Quella turca non è una "primavera"

Tutti, a cominciare dall'editorialista del Corriere della Sera Antonio Ferrari, concordano sul fatto che la democrazia turca è certamente più compiuta che nei Paesi dove si sono sviluppate le varie "primavere" arabe e islamiche. Infatti ad Ankara non c'è un Gheddafi, un Ahmadinejad o un Assad. Si può scendere in piazza per protestare, anche se il rischio di arresto quando si trattano temi "scomodi" come le responsabilità di Atatürk nel genocidio armeno sale considerevolmente. 

Violenze poliziesche contro cittadini che aspirano alla crescita

Gli scontri non si fermano. Oggi, a Istanbul un manifestante è morto, colpito alla testa da un proiettile della polizia. La violenza delle forze dell'ordine, che è stata ammessa anche dalle autorità, fa divampare le proteste. Anche i sindacati stanno aderendo. A moderare i termini il Presidente Gül, secondo cui è legittimo protestare perché "la democrazia non significa soltanto elezioni". È un'apertura di facciata o è in atto uno scontro politico ai vertici?

La Frankfurter Allgemeine e la BBC sottolineano che il movimento dei manifestanti turchi è anche frutto di istanze inascoltate, probabilmente nel passato decennio in cui la Turchia è cresciuta di 5 o 6 punti percentuali l'anno. L'aumento della ricchezza ha generato aspettative che sarebbero andate deluse. Tuttavia "è ancora prematuro" secondo il giornale tedesco parlare di un movimento unitario, visto che in piazza ci sono persone di destra e di sinistra, curdi e kemalisti, uomini e donne, giovani e vecchi che su molti temi hanno visioni divergenti. 

Atatürk contro Atatürk?

Inoltre, non solo la tanto decantata laicità del retaggio di Atatürk sarebbe tra le rivendicazioni, ma anche la sua anima per così dire "purificatrice". È sempre il giornale di Francoforte a ricordare che già negli anni '90, quando furono svelate alcune connivenze tra polizia e mafia, la piazza invocò "una società più pulita". Anche questo potrebbe motivare i manifestanti della Piattarforma Taksim contro i progetti urbanistici e in generale le manie di grandezza di Erdogan. 

La protesta  di donne e intellettuali

Secondo la scrittrice Elif Shafak, autrice de La Bastarda di Istanbul intervistata da Monica Sargentini del Corriere della Sera, "abbiamo bisogno di maggior libertà d'espressione, i giornali devono poter dire quello che pensano e vanno dati più diritti alle minoranze e alle donne". Inoltre, ci sarebbe un 50% della popolazione politicamente lontana da Erdogan che non lo sente più, nonostante tutto, come un "primo ministro di tutti", ma come un personaggio "alienato e distante". "Questo non è un movimento kemalista, questa è la reazione agli errori del governo e delle forze dell'ordine". Anche Shafak concorda con gli osservatori occidentali sul fatto che "i manifestanti vengono dagli ambienti più diversi, a muoverli sono il risentimento e la rabbia accumulati in questi anni".  

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