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Nasce il Festival Diritti Umani di Lugano

quattro giorni di incontri, dibattiti e proiezioni

Al via il 25 settembre il Festival Diritti Umani di Lugano, quattro giornate di incontri, dibattiti e proiezioni per discutere del rispetto dei diritti umani in Svizzera e nel mondo. Tema centrale di questa prima edizione, “Donne al fronte. In difesa dei diritti umani”.

Il Festival è promosso e sostenuto dalla Fondazione Diritti Umani con sede a Lugano, con la collaborazione del CineStar di Lugano, della Franklin University Switzerland e del Festival du Film et Forum International sur les Droits Humains (FIFDH) di Ginevra.

Tra i numerosi incontri del Festival (il programma è disponibile a questo link), è previsto anche quello con Gabriele Nissim, nella mattinata di venerdì 26 settembre. Il presidente di Gariwo interverrà, insieme a Claudio Ceravolo - medico e presidente della Fondazione COOPI - in seguito alla proiezione del film Rwanda: la surface de réparation di François-Xavier Destors e Marie Thomas-Penette.

Abbiamo chiesto al promotore del festival Paolo Bernasconi, membro del Comitato della Sezione svizzera di Human Rights Watch e già Membro del Comitato Internazionale della Croce Rossa, di parlarci di questa iniziativa.


Si inaugura tra pochi giorni la prima edizione del Festival Diritti Umani di Lugano. Come nasce l’idea di tale iniziativa?

A Ginevra esiste un Festival di questa natura da dodici anni, un’ottima esperienza di qualità e di pubblico. Mi sono quindi collegato con loro e abbiamo deciso di realizzare un’iniziativa analoga anche a Lugano.

Tema di questa prima edizione è “Donne al fronte”. Può spiegarci questa scelta, e il significato di questo tema?

Quello dei diritti umani è un tema vastissimo, perché può riguardare la situazione all’interno di uno Stato o quella esistente in altri Paesi. In questa prima edizione abbiamo deciso di considerare i luoghi in cui i diritti umani vengono violati in un modo sistematico e imponente - anche per la brutalità di tali violazioni. Per questa ragione abbiamo scelto specialmente Paesi di conflitto, dove la vittima diretta è soprattutto la donna - in quanto tale e in quanto madre. Analizzando il ruolo delle donne ci siamo preoccupati anche di raccontare le storie di quante hanno avuto e hanno ancora la forza e il coraggio di combattere in prima linea per la difesa dei diritti umani.
Oltre a “Donne al fronte”, c’è un altro tema centrale in questa prima edizione del Festival. Abbiamo infatti deciso di dedicare ogni volta l’iniziativa a una popolazione vittima di gravi violazioni dei diritti umani, e per quest’anno abbiamo scelto il popolo tibetano. Crediamo che si tratti di un popolo dimenticato, perché spesso si parla della Cina solamente in termini economici, tralasciando la manovra di sistematica pulizia etnica che ancora avviene in Tibet.

Il Festival prevede alcune proiezioni speciali dedicate ai ragazzi. Quale ruolo può avere il cinema nell’educazione dei giovani?

I giovani vivono molto davanti agli schermi - quelli grandi del cinema o quelli più piccoli dei loro cellulari - quindi sicuramente un modo per avvicinarli è quello dell’immagine, del film. La particolarità di questa manifestazione, tuttavia, è che ogni pellicola non viene proposta agli spettatori unicamente con la violenza delle sue immagini e del suo discorso, ma viene sempre accompagnata da un dibattito che contestualizza la vicenda e mostra - anche ai più giovani - quali sono le possibilità di reazione. Per questo motivo abbiamo invitato specialmente testimoni come delegati della Croce Rossa Internazionale, giornalisti ed esperti che hanno vissuto in prima persona le situazioni descritte dai film in programma.

Secondo lei il cinema può avere una forza particolare nella difesa dei diritti umani e nella promozione di dialogo e riconciliazione?

L’immagine spesso dice molto più della parola, ed è più difficile da manipolare.
In questo Festival noi presentiamo delle storie. Il regista e gli attori fanno da interpreti e “medium” tra la drammaticità della situazione - che, se descritta con le parole, spesso perderebbe la sua forza emotiva - e le vicende delle singole persone. In questo modo risulta più semplice per gli spettatori immedesimarsi in una storia, e anche scegliere dei modelli. Per noi è molto importante trovare persone che lavorano a favore delle vittime di violazioni di diritti umani, raccontare la loro esperienza e mostrare così dei modelli positivi.
La forza di questi esempi è ancora più grande quando si parla di persone “normali”, vicine agli spettatori: il processo di immedesimazione risulta infatti più immediato, portando chi guarda a pensare “se l’ha fatto questa persona, allora posso farlo anche io”.

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

17 settembre 2014

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