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Non abbandoniamo il popolo siriano

intervista a Shady Hamadi

Da più di due anni la Siria è teatro di una guerra che ha portato a 110mila vittime e più di due milioni di rifugiati, secondo le cifre ufficiali fornite dalle Nazioni Unite. I leader delle potenze occidentali discutono oggi della possibilità di un intervento militare nel Paese.
Shady Hamadi, scrittore e attivista siriano, ha fornito a Gariwo un quadro delle forze che si oppongono al regime di Assad e delle possibili strade per la soluzione del conflitto.


In riferimento al conflitto siriano, i media parlano genericamente di “ribelli”. Ma da chi sono realmente composte le forze di opposizione siriane? C’è stato un cambiamento nelle loro fila nel corso del conflitto?

Sì, un cambiamento c’è stato. Le forze di opposizione oggi sono composte dall’Esercito Libero Siriano, che è una forza moderata formata da disertori e da civili - e non è sostenuta da nessuno degli Stati della comunità internazionale - e da gruppi slegati, di jihadisti, che invece sono sostenuti dalle monarchie del Golfo. Queste formazioni combattono in Siria per un’agenda autonoma, che mira a far cadere il regime di Assad per poi instaurare uno Stato islamico. È per questo motivo che i jihadisti si scontrano frequentemente contro l’Esercito Libero Siriano, formato da persone che conoscono la natura della rivoluzione e vogliono uno Stato democratico. C’è quindi una guerra aperta su due fronti per l‘Esercito Libero: da una parte il regime, dall’altra le forze jihadiste.

In questo contesto, qual è il ruolo di Al Qaeda nel conflitto?

Al Qaeda è una sigla. Esistono poi dei gruppi autonomi, come lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, che si dice siano vicini ad Al Qaeda - anche se è sempre difficile accertare questi legami. Sicuramente però esiste un’agenda jihadista nella zona del Levante, tra Iraq e Siria, e questa rappresenta un evidente problema all’interno del conflitto.

Più in generale, a che punto è ora lo scontro tra Assad e le forze di opposizione?

In questo momento c’è una situazione di stallo. Negli ultimi mesi l’esercito di Assad ha portato avanti un’offensiva importante nella Valle dell’Oronte - la zona di Homs - grazie all’ingresso nel conflitto di Hezbollah e degli iraniani, che hanno aumentato le forze in campo. Credo che su questo punto si noti un paradosso: la comunità internazionale si divide e si allarma per un possibile intervento estero in Siria da parte americana, ma non dice nulla per l’intervento estero da parte di Iran e Hezbollah.

Proprio a proposito dell’intervento occidentale, come vive il popolo siriano la possibilità di un’azione militare? E cosa chiede la popolazione?

Il popolo siriano ha già chiesto l’istituzione di una no fly zone, ma questa non è stata concessa. Ha poi domandato aiuti militari per l’autodifesa, che però non sono mai arrivati. Per questo i siriani - o meglio, una parte di loro - sono molto diffidenti nei confronti degli americani e del tipo di intervento che potranno attuare nel Paese. Presumibilmente infatti gli Stati Uniti non porteranno avanti un intervento militare tout court, ma un’azione a scopo dimostrativo per giustificarsi con l’opinione pubblica, che li accusa di non aver fatto nulla in questi due anni di conflitto. Il problema però è più ampio: mentre assistiamo alle dichiarazioni pacifiste internazionali, italiane e anche del Papa, l’aviazione di Assad bombarda indiscriminatamente le città della Siria.

Come ha ricordato, Papa Francesco si è espresso più volte contro l’intervento e ha indetto per sabato un digiuno per la pace.... Cosa ne pensa?

Parlare di pace significa prima di tutto condannare il massacro compiuto da Assad, non invocare la pace ora - dopo due anni e mezzo di violenze - solo in prospettiva di un attacco americano e quindi di un allargamento del conflitto. La Siria, non dimentichiamolo, è arrivata a questo punto per la follia di una sola persona.

Cosa pensa quindi dell’intervento occidentale? Ritiene che sia l’unica ipotesi possibile o esiste una via alternativa in grado di dare un segnale altrettanto forte al regime di Assad?

Credo che sia difficile parlare di pacifismo di fronte a 110mila persone massacrate e a una delle più grandi catastrofi umanitarie del secolo. Tuttavia non penso che si arriverà all’intervento. Ora è necessario concentrarsi sulle chance che sono state lasciate al popolo siriano, come ad esempio quella dell’autodifesa. Una strada possibile sarebbe quindi quella di aiutare le forze moderate a combattere. Se questa via non fosse percorribile, servirebbe un’azione diplomatica coesa per non cadere nel ricatto della Russia, che mira a garantire la sua area di influenza a discapito della libertà dei siriani. In ogni caso, i Paesi democratici non possono assolutamente abbandonare a se stesso il popolo siriano.

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

5 settembre 2013

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