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"Ora serve un'Europa solidale"

intervista ad Antonio Ferrari

Mentre si attendono le decisioni che porteranno alla formazione delle alleanze all'interno del nuovo Parlamento europeo e all'elezione del nuovo presidente della Commissione europea, abbiamo chiesto ad Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera, un bilancio del voto del 25 maggio scorso.

Come valuta i risultati di queste elezioni europee?

Un primo dato è forse quello meno atteso: i Paesi del Sud dell’Europa, Italia e Grecia, hanno dato una solida immagine di stabilità. In Italia, al contrario delle previsioni, non si è verificata l’ascesa dei partiti antieuropeisti, e in Grecia, nonostante l’affermazione di Syriza - che non è un vero e proprio partito antieuropeista, essendo sostanzialmente molto critico nei confronti del Memorandum e degli accordi stretti con Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale e BCE - i movimenti filo-europei hanno resistito. Ha infatti tenuto Nuova Democrazia come secondo partito, così come ha tenuto il Pasok, nonostante abbia deciso di presentarsi con una coalizione, Ulivo. C’è poi da registrare la presenza del nuovo partito centrista, To Potami (“Il fiume”).
Nell’Europa del Sud l’unico vero dato negativo, che anche i greci democratici vivono come vergogna, è il fatto che Alba Dorata, formazione neonazista, abbia ottenuto più del 9% dei consensi. Considerando la crisi, però, era prevedibile che anche un movimento intollerante e xenofobo potesse riscuotere un certo successo.  
Se ci spostiamo più a Nord, tuttavia, la situazione si complica. Il caso della Francia è clamoroso: nella patria dei grandi ideali, terra d’asilo e bandiera della democrazia europea, la vittoria del Front National di Marine Le Pen deve fare riflettere. Che un partito forte ma minoritario arrivi a diventare il primo partito di Francia suona infatti poco rassicurante.
C’è poi la Germania, che ha dimostrato una certa stabilità, ma la presenza di un eurodeputato chiaramente filonazista infastidisce filoeuropei e democratici.


Si parla molto infatti dell’avanzata in Europa dei partiti nazionalisti e xenofobi. Ogni formazione tuttavia ha caratteristiche ben particolari. Che differenze ci sono fra questi partiti? Esistono dei movimenti dichiaratamente antisemiti?

Fare di tutta l’erba un fascio è sicuramente sbagliato. Ciò che è accaduto in Gran Bretagna con la vittoria dell’Ukip, ad esempio, risponde alle esigenze di un Paese che è nell’Unione Europea ma non è nell’euro, e che gradisce molto questo suo isolamento insulare. Il Front National è invece molto critico nei confronti dell’immigrazione, e questo va letto alla luce del fatto che la Francia ha accolto moltissimi migranti, soprattuto dal Nordafrica.  
Certo l’attentato antiebraico a Bruxelles ha sconvolto tutti - il giornale israeliano Haaretz paventava addirittura la possibilità che ci fosse una sorta di resa dei conti tra servizi segreti - e io ritengo che questo episodio sia un segnale negativo, al quale bisogna rispondere vigilando contro l’indifferenza.
Se poi si aggiunge il caso dell’Ungheria, dove le forze oltranziste di destra stanno condizionando il governo, ci si rende conto di come questo germe di xenofobia e antisemitismo sia purtroppo sempre vivo. E in una situazione di crisi economica, quando le persone non riescono a soddisfare le esigenze basilari, è evidente che ci sia la tendenza a seguire le frange più estreme.
Occorre riflettere e pensare ai due regimi, fascismo e nazismo, cresciuti democraticamente, con le elezioni: questi totalitarismi sono nati dal malcontento, e sappiamo dove sono arrivati. Se vogliamo evitare questo pericolo, dobbiamo cercare di contenerlo. Per questo serve un’Europa non solo rigorosa, ma anche solidale.  


Da dove viene la crescita delle formazioni nazionaliste e xenofobe? È sufficiente la crisi per spiegare questo fenomeno?

Assolutamente no. È chiaro che la crisi è un moltiplicatore, ma non è il motore che genera questo fenomeno. Il punto di partenza è l’esistenza di una disattenzione assoluta per i fenomeni complessivi che si verificano oggi. Certo è importante considerare l’immagine, il simbolo, il fatto in sé, ma se non lo inquadriamo mai e non siamo educati ad inserirlo in un contesto restiamo ancorati soltanto a un piccolo tassello, sottovalutando il rischio che nasca una qualche deriva. Si crea cioè un movimento che genera indifferenza verso episodi di violenza, ulteriormente amplificato dalla situazione di crisi.


Anche la “banalizzazione” di concetti o singoli episodi può essere letta in questo senso?

Assolutamente sì. Riscontro, nella nostra società, una carenza assoluta di valori. Tutto viene letto con troppa superficialità, ci si concentra sull’istantaneo perdendo di vista il contesto. Ritengo in questo senso molto pericoloso diffondere l’idea che il passato non si possa ripetere...Niente di più sbagliato, si può ripetere in qualsiasi momento e durante una crisi può accadere ancora più rapidamente.
Sentire il leader di un movimento definirsi “oltre Hitler” non può non preoccupare. Le parole vanno pesate attentamente, perché possono ferire più delle pietre. Nello stesso modo va letta la provocazione dei “tribunali” per giornalisti e politici. Le vicende degli anni ‘70 devono ricordarci che quando si continua a indicare un obiettivo, prima o poi qualcuno lo colpirà. È quindi fondamentale lottare contro l’ignoranza e l’indifferenza.


Alla luce di queste considerazioni, cosa cambierà con il prossimo Parlamento europeo?

Sicuramente sarà un Parlamento con una presenza consistente di antieuropei, ma poiché le forze democratiche - i moderati di destra e sinistra - hanno sostanzialmente retto, e lo hanno fatto con un linguaggio accettabile, penso che anche il segnale di pericolo arrivato con la presenza consistente dei partiti nazionalisti possa essere un fattore determinante per spingere i più responsabili a trovare finalmente la strada per coniugare il rigore con la solidarietà.
Se l’Europa sceglie questa strada, se cioè i Paesi saranno disposti a farsi carico dei problemi reciproci, questa iniezione di antieuropeismo potrà essere limitata; in caso contrario, si apre uno scenario che rischia di diventare molto pericoloso.

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

30 maggio 2014

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