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Perché i palestinesi sono indifferenti?

di Amira Hass su Haaretz del 2 luglio

Amira Hass è l'unica inviata di Haaretz che racconta il conflitto israelo-palestinese direttamente da Gaza, dove risiede da tempo. Nell'articolo pubblicato oggi sul quotidiano israeliano racconta come la vicenda del rapimento dei ragazzini israeliani sia vissuta dai palestinesi, che pure all'inizio non credevano al sequestro. Il pericolo per tutti coloro che sperano nella pace è che vengano meno i successi ottenuti finora nei difficili negoziati di pace. 


I palestinesi reagiscono con indifferenza all'assassinio dei ragazzini
Fino alla scoperta dei corpi, molti erano convinti che non avesse avuto luogo alcun rapimento, perché un tale atto avrebbe pregiudicato quasi tutti i successi ottenuti dai palestinesi finora
di Amira Hass, da Haaretz, 2 luglio 2014

Il rapimento e l’assassinio di tre studenti di una scuola ebraica nella West Bank sono visti dal pubblico palestinese come l'ennesimo incidente in una catena di violenza di cui Israele è il principale responsabile. Non hanno scatenato proteste e opposizioni da parte dei palestinesi, ma non hanno nemmeno ottenuto il loro sostegno, né c’è stato qualcuno di loro che abbia chiesto di fare di più o di peggio. 


Due settimane dopo, il rullo compressore israeliano, che ha colpito migliaia di famiglie palestinesi che non erano in alcun modo collegate con il rapimento, ha ucciso perfino la tendenza naturale a sentire compassione e identificarsi sul piano individuale. E questo si aggiunge alla questione basilare che i palestinesi si sentono discriminati dagli israeliani e dal mondo in generale, quando si parla di violenza. 


La violenza palestinese merita sempre una condanna, anche quando nasce come mera reazione ad altra violenza, e sia i colpevoli che gli innocenti sono puniti con grande severità. Per contro, la violenza permanentemente compiuta dagli israeliani – dal governo per il fatto stesso di essere un governo straniero, dall’esercito e da privati come i coloni – non solo non è punita, ma non ne viene quasi data notizia. Non viene definita violenza, non interessa gli israeliani e certamente non fa scaturire sentimenti di identificazione in loro. Alle vittime israeliane della violenza – che sono meno di quelle palestinesi – vengono dati un volto e un nome in Israele e fuori. Le molte vittime palestinesi sono semplicemente statistiche. Questa non è solo un’opinione espressa in un editoriale, ma è alle radici dell’esperienza quotidiana dei palestinesi. La mancanza di compassione in specifici casi è la reazione palestinese a questa discriminazione. 


Finché i corpi dei ragazzini ebrei non sono stati ritrovati, molti palestinesi credevano che non ci fosse stato alcun rapimento. Secondo loro, il sequestro era stato inventato per far fallire il governo di unità nazionale dei palestinesi, annullare quanto era stato ottenuto (dal punto di vista palestinese) nei negoziati sulla liberazione del soldato rapito Gilad Shalit, e danneggiare Hamas. I palestinesi avevano concluso che il rapimento avesse avvantaggiato il governo di Benjamin Netanyahu, che era stato messo diplomaticamente in un angolo (per esempio, dal rifiuto americano ed europeo di opporsi al governo di unità palestinese). Lo sciopero della fame dei detenuti palestinesi posti sotto amministrazione israeliana aveva iniziato a produrre delle reazioni nei media, e l’uccisione (un brutale assassinio secondo i palestinesi) di due adolescenti palestinesi a Beitunia da parte di soldati israeliani aveva mostrato che Israele mentiva nel suo resoconto dell’incidente e messo in imbarazzo le autorità israeliane. Per un po’, aveva anche comportato che l’esercito e la polizia di confine – sia secondo i dimostranti che secondo i giornalisti – esercitassero un eccessivo uso della forza in diverse manifestazioni. Per cui, invece di chiedersi “Chi è il palestinese che è riuscito a compromettere tutti questi successi”, si erano rifugiati nelle teorie del complotto


Questo ha impedito ogni pubblico dibattito su una conclusione diversa: non solo non c’è alcuna strategia palestinese unificata, ma ancora una volta è stato dimostrato che perfino all’interno di Hamas non c’è coordinamento tra le tattiche e le strategie. Il rapimento pone a rischio il nuovo governo e va contro gli interessi dei leader di Hamas e di molte componenti del governo. Essi avevano bisogno del governo di unità, nel breve periodo, per sopravvivere alla crisi su come pagare gli stipendi ai dipendenti di Hamas a Gaza e, nel lungo periodo, per liberarsi del fardello della crisi economica cronica creata dal blocco israeliano. Ma anche coloro, soprattutto nel partito Fatah, che erano furiosi con i leader locali che hanno pianificato ed eseguito il rapimento, sono stati costretti a sopprimere i loro sentimenti di rabbia alla luce del violento attacco israeliano contro una larga parte dell’opinione pubblica palestinese. 
Altri, inclusi gli oppositori di Hamas, aspettavano il momento in cui i rapitori avrebbero annunciato le loro condizioni per restituire gli ostaggi (vivi). Nell’asimmetrico equilibrio dei poteri tra palestinesi e israeliani, il rapimento è visto come uno strumento legittimo. Se quanto è successo fosse che gli assassini avevano programmato di tenere i rapiti vivi ma qualcosa è andato storto, questo sarebbe indice di dilettantismo e di carenza di una preparazione adeguata. Tuttavia è dubbio che una qualsiasi discussione sull’argomento possa avere luogo. Hamas non ripudia in pubblico i suoi membri che falliscono o agiscono per proprio conto. 


In questa atmosfera, i palestinesi che credono che sia sbagliato uccidere adolescenti israeliani disarmati, anche se sono coloni o studiano negli insediamenti, non osano dirlo a voce alta. Dopo che i palestinesi sono stati costretti ad ammettere che gli israeliani rapiti non erano soldati armati, ma ragazzini, prevale la visione secondo cui gli attacchi sui coloni siano giustificati, e si debba distinguere tra questi e i cittadini israeliani che vivono oltre la Linea Verde. 


Un uomo, che si ritiene incapace di uccidere personalmente un colono, ha affermato che l’attacco contro questi coloni deve essere interpretato come un segnale agli israeliani di non inviare i loro figli nella West Bank, di non sentirsi sicuri in quell’area e di essere consapevoli che la loro presenza lì significa l’espropriazione dei palestinesi. È alquanto dubbio che questo sia il messaggio che i rapitori e assassini dei ragazzini volessero originariamente trasmettere. Ciò che è certo, tuttavia, è che al momento non c’è alcun dibattito interno ai palestinesi sul fatto che questo assassinio serva davvero a questo scopo.  

Traduzione di Carolina Figini

2 luglio 2014

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