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"Prigionieri di coscienza" in Indonesia

di Riccardo Noury

Ahmad Mushaddeq e Mahful Muis Tumanurung, cinque anni di carcere. Andry Cahya, tre anni.

Questo è il verdetto emesso a metà marzo da un tribunale di Giakarta, capitale dell'Indonesia, nei confronti di tre seguaci del credo "Millah Abraham" che Amnesty International ha immediatamente adottato come "prigionieri di coscienza".

I tre, già aderenti al credo Gafatar messo al bando nel 2015, erano stati arrestati nel maggio 2016 e accusati di "blasfemia" e "ribellione". Il secondo capo d'accusa era stato poi ritirato.

Secondo le autorità indonesiane, "Millah Abraham" è una setta "deviante" e blasfema in quanto sintesi di elementi dell'Islam, del Cristianesimo e del Giudaismo. Il 29 febbraio 2016 un decreto congiunto del ministero degli Affari religiosi, di quello dell'Interno e dell'ufficio del Procuratore generale l'ha dichiarata illegale.

Anche prima del decreto, i seguaci di "Millah Abraham" erano stati duramente perseguitati. Nel gennaio 2016 una folla di facinorosi aveva dato alle fiamme nove abitazioni di presunti aderenti nella provincia di Kalimantan Ovest costringendo alla fuga 2000 persone, in seguito obbligate dalle autorità a trasferirsi sull'isola di Giava.

Oltre che dall'articolo 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, il diritto alla libertà di religione è garantito anche dagli articolo 28.E e 28.I della Costituzione indonesiana.

Tuttavia, due articoli del codice penale considerano reato l'espressione in pubblico di sentimenti ostili che costituiscano abuso o diffamazione di una religione praticata nel Paese.

Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia

Analisi di

27 marzo 2017

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