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Saudita di 20 anni rischia la decapitazione

è la prima condanna a morte per attivismo politico

Un giovanissimo militante sciita, Ali al-Nimr, rischia la crocifissione o la decapitazione (secondo il quotidiano Il Manifesto tutte e due) per aver partecipato a manifestazioni illegali nell'area orientale dell'Arabia Saudita, dove si trovano i pozzi petroliferi e vivono molti aderenti alla minoranza sciita. 

Questo Paese storicamente alleato degli Stati Uniti e ora in guerra contro i ribelli yemeniti sta per accedere con un proprio ambasciatore a una posizione di rilievo nel sistema di tutela dei diritti umani dell'ONU, ma le sue pesanti discriminazioni contro le donne e un sistema giudiziario repressivo e antiquato suscitano da anni le condanne di tutte le principali organizzazioni umanitarie, da Amnesty a Reprieve, da Human Rights Watch al Comitato per la Difesa dei Giornalisti. 

Riad è alleata dell'Occidente nella strategica area del Golfo per il petrolio, il commercio di armi e un "dialogo a distanza" con Israele. Sauditi sono infatti anche alcuni dei più importanti piani di risoluzione del conflitto mediorientale, oltre però a una ragnatela di interessi piuttosto loschi (saudita era per esempio Osama bin Laden). Ora il monarca saudita si è anche apertamente schierato contro il presidente siriano Assad, mentre si fanno sempre più infuocate le polemiche su chi finanzia i vari gruppi jihadisti e qaedisti che lottano in Siria, dove nel frattempo è intervenuta anche Mosca. 

Ali al-Nimr, arrestato nel 2012, è accusato di essere un pericoloso terrorista da eliminare con una sentenza "esemplare", ma in realtà pagherebbe il prezzo di essere nipote di un imam sciita, tenace oppositore dei governanti, anch'egli in prigione. Le accuse si baserebbero su confessioni estorte con la tortura.

Il processo ha luogo mentre il blogger saudita Raif Badawi è ancora in prigione in attesa di ricevere le 950 frustate che ancora gli toccano dopo le prime 50 assestategli davanti a una moschea di Gedda. Secondo il giornale tedesco Der Spiegel, la pena inumana gli è stata inflitta davanti a una folla plaudente che gridava: "Dio è grande". E ancora, nonostante gli accorati appelli della moglie del blogger e la solidarietà internazionale ricevuta, non si sa se e quando avrà fine. 

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