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Shoah e migrazioni forzate. Percorsi di studio per la scuola e le organizzazioni dei migranti

di Antonia Grasselli

Nonostante le migrazioni forzate rappresentino un dramma mondiale che ha nel Mar Mediterraneo uno dei maggiori punti critici, al di fuori dell’ambito degli studiosi e degli addetti ai lavori la gravità di questa situazione non è adeguatamente percepita. Manca una conoscenza adeguata del problema e soprattutto una lettura del fenomeno che lo inquadri in un contesto di riferimento, ne fissi gli aspetti storico antropologici e di rilevanza per la coscienza civile, come è avvenuto per la storia della Shoah, e lo renda pertanto significativo.

Ma la storia della Shoah, fenomeno oggi non più contestato, ha tuttavia perso nel corso degli anni la sua forza di attrattiva. Oggi il ricordo della Shoah è spesso limitato alla celebrazione del 27 gennaio. Si avverte l’esigenza di ritornare ad un più rigoroso approccio storico, di analizzare le testimonianze come fonti orali, di effettuare le necessarie comparazioni, di interrogarsi sulla validità dello schema narrativo incentrato sulla contrapposizione vittime/carnefici, di raccogliere le sfide che provengono dai nuovi scenari mondialiTentare una comparazione sotto l’aspetto storico ed antropologico tra alcuni aspetti della storia ebraica e la Shoah con le migrazioni forzate dei nostri giorni potrebbe aiutare a comprendere il presente nella sua gravità, fornendo una chiave di lettura adeguata e incentivare l’impegno civile. Ma potrebbe anche favorire una riscoperta della memoria della Shoah come pietra miliare della nostra cultura.

Il punto di partenza non può che essere quello di prendere in esame la condizione di vita di chi, fuggendo dal proprio Paese, si trova ad essere profugo ed anche i tratti distintivi delle migrazioni forzate. I flussi migratori che hanno investito l’Europa a partire soprattutto dal 2011 con l’Emergenza Nord Africa hanno chiamato a fare i conti con l’alterità a livello collettivo. La questione prioritaria è capire chi è questo altro che viene da lontano, quale è la sua condizione e che cosa richiede la sua presenza tra noi. Il migrante è una persona che vive, in misura più o meno accentuata o problematica, una condizione di spaesamento, una condizione di doppia assenza.
Inoltre le traiettorie migratorie e l’esilio politico sono due situazioni che generano delle crisi, delle rotture, delle strategie di adattamento nel nuovo Paese che ristrutturano l’immagine di sé e i sentimenti di appartenenza. La violenza vissuta ed esperita, la normalizzazione della violenza e l’accettazione della crudeltà accomunano tutte le esperienze dei migranti. In loro “c’è qualcosa di intimo e di intollerabile che a dirlo ritorna”, da cui il diritto al pudore e all’oblio, il diritto all’opacità, ma anche l’importanza della narrazione di sé per la riconfigurazione della propria identità personale.
“Marchiati” dal trauma subito, vittime della sofferenza e del dolore, ma non solo questo. I migranti non sono solo persone vulnerabili e perciò meritevoli di tutela, sono anche, e forse soprattutto, figure resilienti.

Sono le fonti della storia orale, cioè le testimonianze, quelle che consentono di capire la storia degli eventi traumatici, di afferrarne cioè la realtà sociale (in questo caso delle migrazioni) in tutti i suoi passaggi, ma, nella ricostruzione delle storie di vita, sarebbe un errore arrestarsi al primo arrivo nel Paese di approdo e non considerare l’esperienza successiva, che riguarda l’interno delle società europee e che intercorre da questo momento fino all’eventuale riconoscimento di un qualche tipo di protezione internazionale. Sono anni caratterizzati da incertezza, precarietà, senso di estraneità, nella lotta quotidiana a conquistarsi un posto, una casa, un lavoro.

Il passato e il presente si compenetrano, a volte appaiono alla coscienza come realtà speculari e conducono la mente a cogliere analogie e somiglianze anche tra fenomeni diversi e distanti nel tempo. Senza appiattirli l’uno nell’altro, tra storia ebraica e Shoah e migrazioni forzate odierne esistono punti di contatto, che si possono evidenziare sia in relazione alla condizione dei migranti, sia alle caratteristiche delle migrazioni. In particolare ci si può soffermare sulle figure dei sopravvissuti, dei salvati e sul paradigma narrativo.
La figura del sopravvissuto ai lager e ai campi di sterminio può essere considerata non solo e non principalmente nella sua funzione di testimone delle violenze subite, ma come figura resiliente, che nel dopo guerra da profugo si ritrova a dover lottare per poter ricominciare a vivere. Il passato traumatico che lo ha segnato per sempre nel profondo vuole essere rimosso, anche se poi ritorna, dando origine a percorsi diversi per poter essere riassorbito. L’emigrazione verso Israele o verso gli Stati Uniti, un lungo percorso, irto di contrasti e difficoltà, zone di transito, che contraddice il diritto delle vittime al “risarcimento”. Storie individuali che rispecchiamo casi differenti, ma, nonostante questo, storie di rinascita.
La figura del salvato richiama le storie delle azioni di salvataggio e dei salvatori. Anche queste storie non sono lineari: la fuga che si intreccia con l’aiuto ritrovato, la persecuzione con la solidarietà. Salvati fuori dal proprio Paese, in un certo momento e in un certo luogo di un percorso di fuga più o meno lungo che attraversa l’Europa. Storie complesse, dove appaiono diversi attori e situazioni molto differenti per le condizioni di vita dell’ebreo perseguitato. Anche in questo caso storie individuali, dove però l’esperienza della salvezza non esclude l’impatto con la realtà dell’Olocausto, che miete vittime in ogni famiglia. Anche in questo caso storie di rinascita nel dopoguerra, sia che l’esito sia il ritorno nella propria casa, dove possibile, o la scelta di emigrare.
Mentre la storia della Shoah si è conclusa (non il fenomeno dell’antisemitismo), per i migranti e le migrazioni siamo nel cuore del dramma. All’opposizione vittime/carnefici si aggiunge sullo scenario mondiale quella persecutori/salvatori. Questo dramma si colloca in uno scenario internazionale solo apparentemente oscuro. Se si adotta come lente il binomio persecutori/salvatori è possibile capire meglio quello che sta accadendo, chiamare le cose con il loro nome ed individuare le responsabilità. Se non salvi, stai dall’altra parte. Ma così è stato anche per gli ebrei nel corso degli anni delle persecuzioni razziali e della Seconda guerra mondiale.
Pochi o tanti, singoli o organizzazioni, in qualsiasi azione siano coinvolti (assistenziale, educativa, rivendicativa) i salvatori, chi sta dalla parte delle vittime, hanno il potere, nel loro ambito di riferimento, di responsabilizzare la società civile, inquietandola nel mostrare la verità e coinvolgendola nella catena della solidarietà.

È vero che la memoria rende liberi. Per essere esercitata richiede tuttavia l’elaborazione del vissuto personale, la ripresa dei rapporti che costituiscono l’identità personale e soprattutto un progetto di vita. In questo modo la storia passata, il trauma subito, la patria lontana o perduta per sempre, così recuperati, hanno la possibilità di un innesto nella vita presente e la pianta che cresce è l’espressione di un io rinnovato.
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale occorsero anni perché questo processo potesse compiersi con il contributo anche delle nuove generazioni, un processo molto simile a una lotta per chi lo ha vissuto. 
Aiutiamo i giovani migranti a percorrere un cammino che li possa portare nel tempo a una simile consapevolezza, sostenendoli con la vicinanza, la formazione e testimonianze che rassicurino che un futuro c’è anche per loro.
Questo nuovo approccio alla storia ebraica e alla Shoah richiede di sviluppare temi inconsueti, di rivisitarne altri e di allargare l’indagine al dopo guerra. Comporta soprattutto delle rettifiche importanti all’impostazione dei percorsi di studio.
Ma il suo aspetto più innovativo è l’interculturalità. Essa è data non solo dallo sviluppare una ricerca su temi specifici da condurre in parallelo all’esame delle migrazioni forzate odierne con le quali cercare nessi e analogie, ma soprattutto dalla creazione di contesti in cui l’incontro con l’altro sia esperienza concreta e sia possibile l’ascolto condiviso delle storie di vita dei migranti, acquistando in questo modo anche la caratteristica di educazione alla cittadinanza in una società plurale come è diventata da tempo anche la nostra.

In calce è disponibile una versione più estesa della riflessione con bibliografia 

Antonia Grasselli, Coordinatrice Accordo di Rete "Storia e Memoria" e curatrice di progetti di didattica interculturale di storia

Analisi di

16 febbraio 2021

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