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Silenzio sulle stragi di Assad

mentre si infiamma la repressione

L'Occidente resta immobile di fronte alla feroce repressione in Siria. Fulvio Scaglione su Famiglia Cristiana scrive: "Assad, capo di un regime palesemente incapace di rispondere a una popolazione giovane (22 milioni e mezzo di persone per il 35% sotto i 14 anni), istruita (11 anni di scuola in media per persona, e il 5% del budget dello Stato speso per l’istruzione) e inferocita (il 12% della popolazione vive sotto la soglia della povertà), può continuare a sparare sulla gente, certo che nessuno interverrà per farlo smettere.

Un mistero? Per nulla. Basta dare un’occhiata alla cartina, e alla situazione dei Paesi confinanti, per capire perché. La Turchia pratica da anni la politica 'zero problemi con i vicini', il premier Erdogan ha in ballo grosse sfide interne (cambiare la Costituzione in senso presidenziale, mantenere il forte ritmo della crescita economica, da anni oltre il 7%) e la voglia di veder saltar per aria il regime di Damasco, con tutte le conseguenze, è pari a zero. Analogo discorso vale per l’Iraq, che di problemi ne ha a pacchi e, in più, è pressato a Est dall’Iran.
A Sud, la Giordania della monarchia hascemita pare aver superato la fase acuta della contestazione popolare ma vive in precario equilibrio e deve ancora capire due cose: quali effetti produrrà il patto tra le fazioni palestinesi di Hamas e Al Fatah e quali conseguenze esso potrà avere sulla popolazione giordana, al 65% di origine appunto palestinese. A Ovest ci sono Israele e Libano. Israele ha mostrato di preferire le dittature dei vari Mubarak, Ben Alì e Gheddafi alla prospettiva di una stagione di tumulti e novità comunque imprevedibili. Il nemico noto è meglio di quello ignoto, e il discorso calza a pennello su Assad, nemico sì ma poco pericoloso. Il Libano: Hezbollah ha da sempre un buon rapporto con il regime di Assad (gran fornitore di armi e ottimo tramite con l’Iran) ma negli ultimi anni anche il fronte filo-occidentale e filo-saudita guidato da Saad Hariri era riuscito a costruire un modus vivendi accettabile con gli ex occupanti siriani. In ogni caso i fragili equilibrii che regnano a Beirut (dove è stato formato un Governo dopo sei mesi di vuoto e dove è stato da poco eletto il nuovo patriarca maronita, Bishara al Rai, già vescovo di Byblos) tutto fanno desiderare tranne che il tracollo della Siria di Assad.

Su tutti, poi aleggia l’ombra degli Usa. La Casa Bianca ha troppe partite aperte in Medio Oriente (Tunisia, Egitto e Libia, i colloqui di pace tra Israele e palestinesi, la precaria sopravvivenza del regime sunnita in Bahrein e l’impegno militare dell’Arabia Saudita per sostenerlo, la probabile fine del regime dello Yemen, da anni fedele agli Usa) per volersi occupare anche della Siria. Tutto sommato, meglio che Assad resti al potere, almeno in questa fase. Una frammentazione del Paese, quasi certa in caso di collasso del regime, rischierebbe di volgersi a favore dell’Iran, in un effetto domino che potrebbe poi travolgere anche l’Iraq e la Giordania, di fatto due protettorati americani.

Per le strade la repressione continua

Lo scrittore libanese Hafez Haidar spiega come procede la situazione nel Paese: "Negli ultimi giorni i manifestanti siriani proseguono la loro protesta pacifica nelle strade di Banias, Daraa, Homs e della periferia di Damasco, intonando con insistenza la seguente richiesta:'Vattene, Bashar al Assad!' e sventolando grandi manifesti sui quali campeggiano queste scritte: 'Il popolo vuole purificare il paese!' 'Dobbiamo distruggere il muro del silenzio!' 'Hai ucciso il mio insegnante?'
Tanti docenti sono stati uccisi oppure deportati nelle carceri, affamati e torturati per aver osato pronunciare le parole 'Libertà' e 'Democrazia'. Di molti di loro non si hanno più notizie: sembrano spariti nel nulla.
I soldati siriani vietano ai giornalisti di entrare nelle zone calde e non permettono nemmeno al personale della Croce Rossa di soccorrere i feriti, cercando in tal modo di coprire i loro crimini e i loro atti barbarici contro donne, uomini, bambini ed anziani inermi ed indifesi.
In alcune città le scuole sono chiuse, deserte e gli studenti affiancano i loro genitori nella lotta contro gli oppressori.
Secondo la National Organization For Human Rights, in Siria il numero dei morti è giunto a 1100 e si contano più di 10.000 feriti".

"Nella città di Jisr al-Shugur, le case sono state date alle fiamme, un centinaio di insorti sono stati trucidati, le donne sono state picchiate ed umiliate, eppure continuano ancora violenti combattimenti da una casa all’altra.
Ogni giorno migliaia di profughi, con i pochi indumenti e le poche coperte in loro possesso, si dirigono verso il Libano o la Turchia, alla ricerca di cibo, pace e speranza.
La Turchia ha allestito un campo profughi e un ospedale per ospitare 4300 rifugiati, ma secondo le ultime notizie della BBC sono giunti in Turchia 5334 siriani; non si conosce invece il dato relativo ai siriani che hanno raggiunto il Libano, la cui economia comincia ad accusare i primi contraccolpi.
Al loro arrivo in Libano o in Turchia, i profughi hanno dichiarato che i soldati siriani continuano a massacrare i loro concittadini senza alcuna pietà e che alcuni militari si sono fatti fotografare mentre calpestavano o malmenavano i detenuti.
Seguendo l’esempio del comandante dell’esercito Hussein Harmouch, un altro dissidente ha dichiarato dinanzi alle telecamere di Al- Jazeera: “'Io sono Abdelrazak Tlas, tenente dell’esercito siriano, e condanno gli atroci atti di violenza che i miei compagni commettono nei confronti dei civili. Viva la Siria libera!'.
Poco dopo le stesse parole sono state ripetute dal tenente Mazen al- Zein, che ha invitato i suoi compagni ad unirsi al colonnello Hussein Harmouch nella sua lotta per la libertà.
Nel frattempo l’America ha invitato tutte le nazioni ad attuare delle misure che fermino la repressione. Dal canto suo, il ministro britannico William Hague ha dichiarato che il Consiglio di sicurezza dell’ONU deve prendere una posizione chiara sulla Siria, con una risoluzione che condanni la repressione. A tali dichiarazioni, il ministro degli Affari Esteri siriano ha replicato con tono deciso: 'La Sira continua ad affrontare la lotta contro il terrorismo, perciò chiediamo all’Onu di aiutarci, invece di continuare con la famigerata campagna politica di condanna del nostro operato'.
Inoltre, la Siria ammonisce l’Onu a non prendere nessun provvedimento nei suoi confronti perché costituirebbe una violazione dei propri diritti, un intervento illecito nelle questioni interne del suo territorio.
Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon ha replicato alle minacce del governo siriano con una ferma condanna contro i crimini di guerra commessi dall’esercito siriano e che continuano a flagellare il Paese. Intanto la morte miete un numero sempre maggiore di vittime nelle strade siriane ottenebrate dall’odio e dall’ingiustizia. Mentre la Cina guarda gli ultimi sviluppi e la Russia tace, la Siria brucia.



(Foto da Wikimedia Commons)

16 giugno 2011

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