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Siria, il bilancio del conflitto

le vittime sono soprattutto civili

Il 2012 è stato l'anno più sanguinoso dal 1995 per gli operatori dell'informazione. Questo è il dato più rilavante del bilancio annuale di Reporter senza frontiere, che si concentra soprattutto sulla situazione siriana.

Nell'anno appena terminato, in Siria sono morti 17 giornalisti e 44 netcitizen, ovvero cittadini che documentano sul web ciò che accade sul territorio, mentre ne sono stati rinchiusi in carcere almeno 39. Uno di questi è Mazen Darwish, reporter e presidente del Centro siriano per i media e la libertà di espressione.


Vincitore del Premio per la libertà di stampa 2012 di Reporter senza frontiere, Darwish è in isolamento in un carcere segreto dal 16 febbraio, non può avere contatti con familiari e avvocati e non è ancora stato portato davanti a un giudice.


Chi è riuscito a fuggire racconta che "lavorare nei media di Stato in Siria era come stare in una prigione invisibile. Non eravamo più giornalisti: alcuni stavano dalla parte del regime e non lo nascondevano affatto, altri restavano zitti perchè non avevano altra scelta".


La situazione dei diritti in Siria è disastrosa, come testimoniano le cifre fornite dall'Alto Commissariato dell'Onu per i diritti umani: dal marzo 2011 a oggi il conflitto ha causato la morte di 60mila persone, per la maggior parte civili. Oltre al pericolo degli scontri armati, in Siria ci sono nemici, come il freddo e la fame, che uccidono tanto quanto la guerra.


Carla Del Ponte, ex procuratore generale del Tribunale per la ex Jugoslavia e oggi nella Commissione d'inchiesta Onu per la Siria, sostiene che il problema dei diritti umani stia decisamente peggiorando. Da alcuni mesi "la situazione è veramente catastrofica - racconta - non ci sono solo i crimini commessi dal regime, ma anche dall'altra parte quelli che chiamiamo resistenti non scherzano in fatto di qualità dei crimini. Sto vedendo cose che non avevo mai visto nella guerra dei Balcani, come il coinvolgimento dei bambini come messaggeri di guerra e quindi a rischio enorme, una cosa inaccettabile".


Questo quadro d'insieme è condiviso anche da Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, secondo cui una prima fase di repressione delle manifestazioni di massa da parte del governo ha lasciato il posto a un conflitto armato interno con "un'ampia parte di crimini di guerra commessi dalle forze del presidente Bashar Al Assad, e un'escalation di crimini di guerra commessi da gruppi di opposizione armata".

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