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Siria, tra armi chimiche e impasse diplomatiche

le contraddizioni del crescente coinvolgimento dell'Occidente nel conflitto

Un'immagine dell'attacco di USA, Francia e Gran Bretagna

Un'immagine dell'attacco di USA, Francia e Gran Bretagna

Da febbraio è in corso l'offensiva dell'esercito di Bashar Al Assad contro la Ghouta, una zona limitrofa a Damasco. L'attacco è contro tre "tasche" differenti di ribelli, ma il cuore dell'intervento di Assad è Douma, una città di circa 100 mila abitanti. Trovandosi di fronte a una sicura sconfitta, i gruppi ribelli delle due altre tasche hanno accettato l'evacuazione nella Siria nordorientale. Non così il gruppo che domina Douma, Jaysh al-Islam, che si è mantenuto saldo al potere. Il 6 aprile, con i negoziati con il governo in fase di stallo, sono ripresi i raid aerei. 

Il 7 aprile l'azione più controversa: si pensa che Assad abbia utilizzato armi chimiche contro la popolazione civile di Douma, due differenti attacchi con gas tossici documentati dal Violations Documentation Center (VDC).

Un attacco sarebbe stato lanciato vicino a una panetteria, un altro vicino alla Piazza dei Martiri di Douma, secondo gli Elmetti Bianchi, un gruppo di soccorritori volontari siriani, che avrebbero annusato cloro nell'aria. Ci sarebbero stati numerosi casi di ricoveri in pronto soccorso di persone con schiuma alla bocca, convulsioni, lesioni alla cornea e altri sintomi di avvelenamento, e migliaia di morti.

Nel mondo si sono diffuse le foto dei bambini colpiti da un genere di attacchi che, come ha osservato l'ex premier italiano Paolo Gentiloni, sono al bando dalla prima guerra mondiale, quando furono sperimentate per esempio a Ypres (dal nome della cittadina belga deriva il termine "iprite", un pericolosissimo veleno bellico detto anche "gas mostarda"). Sono in corso in queste ore gli accertamenti degli ispettori della Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons (OPCW) sull'uso delle armi chimiche a Douma.

La guerra in Siria va avanti da sette anni, ha già mietuto oltre 400.000 vittime, tra cui popoli come gli yazidi che sono fatti oggetto di un vero e proprio genocidio, e coinvolge vari Paesi e molte persone di varie nazionalità, i cosiddetti foreign fighter. Le armi chimiche (gas sarin) secondo gli esperti dell'ONU vi sono già state impiegate in almeno due occasioni: nell'agosto 2013 contro la Ghouta, e nell'aprile 2017 contro una città controllata dai ribelli, Khan Sheikoun.

Ora però sta assumendo aspetti ancora più preoccupanti, perché il recente intervento di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, ufficialmente promosso per impedire ad Assad di produrre armi chimiche, sta ponendo l'Occidente a confronto diretto con gli interessi russi. Inoltre Israele risulta più esposta, non solo a conflitti con singole potenze, come l'Iran, ma anche al risentimento di vaste parti del mondo arabo e musulmano che ricordano ancora cocenti sconfitte militari con rancore. 

L'esercito statunitense ha reso noto che le navi da guerra e i jet militari occidentali hanno lanciato 105 missili che hanno colpito una sezione del Centro per la Ricerca Scientifica siriano (SSRC) nel distretto Barzeh di Damasco, il deposito di armi chimiche Him Shinshar a ovest di Homs, e un vicino bunker sempre di armi chimiche. Trump ha inoltre affermato che è intenzionato a "stabilire un forte deterrente contro la produzione, diffusione e uso delle armi chimiche".

Jack Khoury ha in proposito ricordato su Haaretz la guerra del 1956 o guerra di Suez, quando i commentatori e i regimi arabi e musulmani chiamarono l'intervento di Francia, Gran Bretagna e Israele una "trilaterale d'aggressione". Secondo Khoury, se la guerra dell'Occidente viene portata avanti con le attuali modalità e con la regia aggressiva di Trump, potrebbe avere luogo un'altra campagna antisionista e di fondo antisemita, cambiando solamente i nomi degli attori (con Washington al posto di Tel Aviv) rispetto al conflitto di Suez.
Tuttavia, se l'opposizione alla guerra assumesse i toni "anti-imperialisti" e considerasse il conflitto come voluto da Israele, o motivato solo dalla sua difesa e dai suoi interessi e magari da forze oscure immuni dal controllo democratico, si potrebbe verificare un danno per Israele stesso e per le comunità ebraiche nel mondo, in una fase di antisemitismo montante in Occidente e nel mondo arabo.

Una vasta porzione dell'opinione pubblica occidentale - spesso anche per tradizioni pacifiste che trovano un supporto nelle Costituzioni varate dopo la tragica esperienza del nazifascismo - è contraria a una guerra ancora più internazionalizzata. Basti pensare all'attività diplomatica (e agli appelli alla preghiera) di Papa Francesco, oltre a figure come il fondatore di Emergency Gino Strada.
Ci vorrebbe probabilmente un'imparziale verifica della sussistenza dei criteri di minaccia alla pace e alla sicurezza necessari per l'ONU per compiere alcune azioni volte alla sicurezza collettiva, nel caso anche la guerra, ma si sa che nelle Nazioni Unite si confrontano proprio queste potenze che si trovano nell'attuale impasse, e che passano dall'attacco reciproco a connivenze ancora da chiarire come quelle paventate dagli inquirenti del Russia Gate.

Per il momento sembra che l'azione di Trump con gli alleati Macron e May sia stata controproducente. Bashar al Assad, messo in stato di dettare condizioni, ha ripetuto in queste ore che la Siria "è sotto attacco sotto il pretesto che io stia preparando un'aggressione, come l'Iraq nel 2003". Schierato con Assad c'è Vladimir Putin, il cui Ministro degli esteri Sergej Lavrov parla anche di "attacchi russofobici condotti dai servizi segreti" degli Occidentali, e avvisa che Mosca reagirà.

La Russia nega anche che siano state mai usate le armi chimiche, accusando l'Occidente e l'opposizione siriana di mentire e scatenando come al solito polemiche e controaccuse da parte soprattutto degli Stati Uniti.

Il mondo confida come al solito nel fatto che i leader sappiano essere contemporaneamente risoluti davanti ai crimini contro l'umanità e tanto saggi e abili da prospettare un'insieme di soluzioni diplomatiche positive per dipanare l'intricatissima matassa siriana.

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