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Sovranismi, democrazia e diritti

di Bruno Marasà

In queste note si cerca di evitare di inseguire la quotidianità di fatti politici che, spesso, si rivelano effimeri o poveri di conseguenze incisive nella realtà.

È il caso del recente incontro, a Budapest, di Matteo Salvini, leader della Lega, con il primo ministro dell'Ungheria, Viktor Orbán, e il premier della Polonia, Mateusz Morawiecki. I tre leader, si legge nelle cronache, hanno insistito sull'esigenza di un "Rinascimento europeo per superare l'emergenza sanitaria ed economica". Inoltre, hanno condiviso "una nuova idea di Europa, fondata su temi concreti a partire dalle radici comuni, dalla salute, dal lavoro e dal rinnovamento".

Vaste programme, come diceva qualcuno, che non tiene conto del fatto, per restare all’attualità, che la Lega di governo in Italia cerca di accreditare una sua immagine moderata ed “europeista”, al punto da prospettare un futuro ingresso nel Partito popolare europeo (quello della Merkel, per capirci e di cui fa parte Forza Italia). Partito dal quale, tuttavia, è appena uscito (sarebbe più corretto dire “è stato cacciato”) il partito dell’ungherese Orbán che coltiva ora l’intento di creare un polo sovranista a livello europeo pronto a fronteggiare ogni spinta verso una maggioranza integrazione europea.

Una contraddizione superata agevolmente dal punto di vista tattico perché non c’era niente di concreto da decidere durante l’incontro del giovedì della settimana santa, e questo nonostante l’enfasi data ai temi del confronto (Rinascimento, radici comuni, e così via).

Eppure, questa mossa non deve essere sottovalutata perché a muoversi sono leader i cui partiti rappresentano nei loro paesi la maggioranza relativa e, seppur in contesti diversi, fanno parte dei rispettivi governi.

Si impone la necessità di valutare quanto la convergenza tra una forza “illiberale” (così si è autodefinito Orbán), un partito che nel suo paese, la Polonia, ha cancellato la legislazione sull’aborto e attacca i diritti delle comunità LGTBIQ, e infine la Lega di cui si conosce bene la politica contro i profughi e gli immigrati, possa, essa sì, snaturare le “radici comuni” sulle quali si basa la costruzione di un’Europa unita.

Valori di solidarietà, rispetto dello stato di diritto e delle libertà individuali, mal si conciliano con le azioni di governo (in Ungheria e Polonia) e le conclamate aspirazioni (in Italia) degli animatori di questa inedita alleanza neo-sovranista e nazionalista.

La posta in gioco non è solo l’eventuale costituzione di un gruppo centrista-conservatore nel Parlamento europeo che faccia da contraltare allo stesso PPE, oltre che ai socialisti, ai liberali e ai verdi, cioè a forze molto più coerentemente “europeiste”. La sfida riguarda la possibilità, certamente difficile, di rilanciare l’idea di un’Europa fondata sul superamento di steccati nazionalistici e avviata verso una “sovranità europea condivisa”. E non solo per garantire stabilità all’Unione europea, quanto per darle l’energia e i mezzi necessari per giocare un ruolo davvero degno delle sue potenzialità in uno scenario mondiale sempre più complesso.

La democrazia e i diritti umani sono sotto attacco in diversi paesi, dalla Russia alla Cina, nel Myanmar, ma anche a casa nostra, come accade in Polonia e Ungheria, e non solo. Cambiano i contesti politici e culturali, ma si tratta pur sempre di attacchi alla libertà d’espressione di pensiero e di coscienza dei cittadini.

Ad accendere i riflettori sui rischi di possibili degenerazioni ci ha pensato, come in altri momenti, il Parlamento europeo che, con una risoluzione adottata con 492 voti favorevoli, 141 contrari e 46 astensioni nei giorni scorsi, ha dichiarato l'Unione europea una ''Zona di libertà LGBTIQ''.

Sì è trattato di una risposta all'arretramento su questi diritti in alcuni Paesi UE, in particolare in Polonia e Ungheria. Una risposta forte a quelle autorità polacche che avevano dichiarato oltre 100 regioni, contee e comuni polacchi “zona esente da LGBTIQ”. Dal marzo 2019, infatti, in queste realtà sono state adottate risoluzioni in cui si dichiara di essere esenti dalla "ideologia" LGBTIQ. Secondo queste risoluzioni, i governi locali dovrebbero astenersi dall'incoraggiare la tolleranza verso le persone LGBTIQ e bloccare i finanziamenti alle organizzazioni che promuovono la non discriminazione e l'uguaglianza. Una grottesca limitazione delle libertà personali.

La presa di posizione del Parlamento europeo sottolinea che queste cosiddette ‘zone esenti da LGBTIQ'' fanno parte di un contesto nazionale in cui si assiste ad un aumento di attacchi discriminatori e a un odio crescente da parte delle autorità pubbliche, degli esponenti di governo, e dei media filo-governativi.

Anche in Ungheria, come ricorda la stessa risoluzione del Pe, nel novembre 2020, la città ungherese di Nagykáta ha adottato una risoluzione che vieta la ''diffusione e la promozione della propaganda LGBTIQ''. Un mese dopo, il Parlamento nazionale ha adottato degli emendamenti costituzionali che limitano ulteriormente i diritti delle persone LGBTIQ a mostrare pubblicamente il loro orientamento sessuale e la loro identità di genere senza temere intolleranza, discriminazione o persecuzione e il loro diritto a una vita familiare.

Qualche settimana prima, sempre il Parlamento europeo, ha di nuovo preso formalmente posizione sull’attacco alla libertà dei media in alcuni paesi dell’UE, sulla base delle proteste sollevate dopo che a una radio ungherese, Klubradio, è stata negata la messa in onda, dalla proposta di una nuova imposta sulle entrate pubblicitarie dei media indipendenti in Polonia e da crescenti segnalazioni di interferenze politiche nei media sloveni.

Si è riproposta ancora una volta la questione del ricorso a tutti gli strumenti, comprese le procedure di infrazione, come previsto dall'articolo 7 del Trattato sull'UE e, ora, dal Regolamento approvato definitivamente da Consiglio e Parlamento a dicembre dello scorso anno sulla condizionalità dell’uso dei fondi europei in mancanza del rispetto dello Stato di diritto.

Abbiamo ricordato nella nostra nota precedente dedicata alla Giornata dei Giusti, quanto detto dal Presidente Biden riguardo al futuro atteggiamento degli Stati Uniti per la difesa della democrazia e dei diritti umani. “Dobbiamo dimostrare che le democrazie possono tuttora rispondere ai nostri cittadini in questo mondo che cambia”. E, aggiungeva, che “la democrazia non si realizza per caso. Dobbiamo difenderla, batterci per essa, rafforzarla, rinnovarla”.

Visto che si torna a parlare, e giustamente, di una rinnovata convergenza tra Stati uniti ed Europa è importante prepararsi adeguatamente a questo confronto. Sono troppe le violazioni della libertà e dei diritti che si perpetrano in tutto il mondo ed è importante quanto si fa da parte di attori statali e non nell’azione per contrastare quelle violazioni. Così come è, altrettanto importante, sfidare i neo-sovranisti su questioni che costituiscono davvero le radici comuni dell’Europa, cioè solidarietà, tolleranza e libertà.

Bruno Marasà

Bruno Marasà, già Responsabile Parlamento Europeo - Ufficio di Milano

7 aprile 2021

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Europa, democrazia e diritti umani Bruno Marasà

La globalizzazione ha mostrato il suo carattere invasivo attraverso la diffusione universale del COVID 19. Per salvaguardare la vita di milioni di persone, per rendere compatibili con sostenibilità e attenzione all’ambiente le “catene di valore” dell’economia mondiale, è necessario ripensare principi e politiche delle relazioni internazionali. Un nuovo mondo prende le mosse. Anche attraverso una tutela maggiore di diritti umani inalienabili e rispetto di regole democratiche.

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