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Turchia, proteste contro il ritiro dalla Convenzione di Istanbul

le donne manifestano, l'opposizione ricorre al Consiglio di Stato

La decisione del presidente Recep Tayyip Erdogan di annullare la ratifica da parte della Turchia della Convenzione di Istanbul continua a suscitare le proteste delle donne turche, scese per le strade delle principali città per il secondo sabato consecutivo dopo il decreto presidenziale, emesso il 20 marzo per revocare l'adesione al primo trattato internazionale giuridicamente vincolante per prevenire la violenza contro le donne, favorire la protezione delle vittime ed impedire l'impunità dei colpevoli.

La convenzione è un trattato del Consiglio d'Europa firmato nel 2011 a Istanbul per contrastare la violenza domestica e mettere fine all'impunità legale per chi la esercita. Ratificato da 34 paesi europei, è entrato in vigore nel 2014.

La Turchia è stato il primo stato a ratificare la convenzione con voto unanime del parlamento nel 2012 e di conseguenza, dicono  le associazioni femministe, gli avvocati impegnati per i diritti umani e i rappresentati dell'opposizione, il decreto emanato da Erdogan non può legalmente fare uscire la Turchia da una convenzione internazionale ratificata dal parlamento.

Secondo la piattaforma turca Noi fermeremo il femminicidio almeno 300 donne sono state uccise nel 2020, principalmente dai loro partner, e altre 171 donne sono state trovate morte in circostanze sospette.

La componente femminile della principale forza politica di opposizione, il Partito Popolare Repubblicano (CHP), si è dichiarata contraria alla scelta di Erdogan. Aylin Nazlıaka, presidente delle donne del CHP, ha presentato ricorso al Consiglio di Stato a nome delle donne del partito, chiedendo "l'annullamento della decisione del presidente".
Nazlıaka ha sottolineato che la revoca di un accordo internazionale, approvato dalla Grande Assemblea nazionale turca tramite legge, dovrebbe essere effettuata con un provvedimento legislativo e che la Costituzione non conferisce al presidente il potere di ratifica o di annullamento.

Anche il leader del CHP, Kemal Kılıçdaroğlu, si è schierato affermando che "le donne stanno compiendo le azioni più importanti nella nostra storia repubblicana oggi, perché una sola persona vuole eliminare i diritti concessi da 600 deputati. La loro lotta è importante, preziosa, una lotta per i diritti. Tutti gli esseri umani devono sostenerla. Forniamo anche questo sostegno".

La Convenzione di Istanbul considera la violenza contro le donne una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione e indica quali atti devono essere perseguiti penalmente dai Paesi partecipanti. Sono considerati reati la violenza psicologica, lo stalking, la violenza fisica, la violenza sessuale (compreso lo stupro), tutti gli atti non consensuali di natura sessuale con una persona, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili, l'aborto forzato e la sterilizzazione forzata, i delitti d'onore e le molestie sessuali.

In Turchia i movimenti tradizionalisti, contrari alla convenzione, sostengono che questa incoraggia il divorzio e mina i valori familiari tradizionali e considerano problematico il fatto che gli stati firmatari debbano proteggere le vittime dalla discriminazione indipendentemente dal loro orientamento sessuale o identità di genere. La loro preoccupazione è che questa clausola possa portare ad autorizzare il matrimonio gay. Il partito di governo AKP, filo-islamista, ha espresso sempre più di frequente posizioni anti-LGBT.

Per ribattere alle critiche, i membri di alto livello dell'AKP hanno annunciato di voler combattere la violenza domestica attraverso una riforma giudiziaria e una Convenzione di Ankara, che rivendicherebbe l'autonomia da "tradizioni e costumi".

La mossa della Turchia è stata criticata da Dubravka Šimonović, Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne. "Questa decisione trasmette un messaggio pericoloso, che la violenza contro le donne non è importante, con il rischio di incoraggiarne gli autori e indebolire le misure per prevenirla". Il ritiro dalla Convenzione di Istanbul indebolirà le leggi che forniscono protezione alle donne e aiutano a mantenerle al sicuro, "esponendole a un ulteriore rischio in un momento in cui la violenza contro le donne è in aumento in tutto il mondo".

Secondo la convenzione, qualsiasi stato parte può richiedere il ritiro dal trattato mediante una notifica formale all'organizzazione con sede a Strasburgo. Il Consiglio d'Europa ha tre mesi di tempo per elaborare la richiesta di ritiro. Nel caso della Turchia, questa sarà formalmente al di fuori della convenzione tre mesi dopo aver presentato la sua notifica all'organizzazione.

Il ritiro dalla convenzione internazionale contro la violenza sulle donne non è l'unico segnale della svolta autoritaria imposta dal presidente turco. Anche i pubblici ministeri si stanno muovendo per mettere al bando il Partito Democratico dei Popoli (HDP) filo-curdo, terzo partito del Paese, dopo le pressioni del Partito del Movimento nazionalista (MHP) di estrema destra, alleato dell'AKP. 

Alla luce del malcontento sociale per la disoccupazione e le difficoltà economiche aggravate dalla pandemia, il presidente turco sembra volere rafforzare le posizioni conservatrici in vista delle elezioni del 2023.

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