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"Vi prometto: sarò la vita... che scorre e crea"

di Pinar Selek

Pinar Selek

Pinar Selek

Pubblichiamo di seguito la lettera-appello di Pinar Selek, sociologa e attivista turca immersa dal 1998 in un incubo giudiziario - imprigionata e torturata prima, costretta a vivere in esilio poi - perché accusata di complicità con il PKK. Rifugiata politica in Francia, Pinar ha raccolto in questi anni la solidarietà di migliaia di donne, scrittori, registi, giornalisti, avvocati, attivisti, accademici... e oggi, che potrebbe essere confermata la sua condanna all'ergastolo, non ha altra scelta che far sentire la sua voce. 

Care amiche, cari amici,
Mi è difficile scrivere questa lettera perché ho appena appreso una brutta notizia a proposito dell’incubo che mi tormenta da vent’anni. Sì, all'inizio di luglio 1998, cioè vent’anni fa, mi sono trovata nelle mani dei carnefici che poi hanno gettato come un cadavere il mio corpo in prigione. Ci sono rimasta due anni e mezzo, senza poter usare le mani, le braccia, vedendo i miei lunghi capelli cadere, e cadere ancora… La resistenza, la morte, le crisi, e molte altre cose.
Ho vissuto tutto questo ben prima dell’attuale governo. Oggi, la Turchia è bloccata in una spirale d’orrore. Molti miei amici e i miei stessi avvocati sono in prigione, la maggior parte è in esilio, una parte resiste con molta difficoltà. È un contesto di guerra che alimenta il nazionalismo e le violenze di tutti i tipi. Non c’è libertà. C’è paura. Ma la paura esiste da molto tempo. Il mio processo è un esempio della continuità storica del sistema repressivo. Io sono anche divenuta l’oggetto di una lotta simbolica e storica. Lo Stato profondo, che è più stabile dei governi, da vent’anni mi ha scelta per accusarmi di un massacro.
Tre giorni fa, mia sorella mi ha dato la notizia. Stava cercando di non piangere. Allora ho parlato con mio padre. La sua voce era più triste che mai. È piuttosto complicato riassumervi qui ciò che mi hanno spiegato al telefono. Riceverete presto un comunicato del mio Comitato di Supporto che spiegherà la situazione lanciando un appello alla mobilitazione. Vi invito a seguire nel prossimo periodo le iniziative che saranno guidate dai gruppi di solidarietà.
La decisione del tribunale non è ancora decaduta, ma i documenti che i miei avvocati hanno ricevuto sono preoccupanti rispetto al futuro. La decisione può decadere in qualsiasi momento. Ci sono due possibilità: se la Corte Suprema non convalida la quinta assoluzione, allora sarà l’ergastolo. La condanna per un crimine che non è accaduto più una condanna a pagare tutti i danni legati all’esplosione del Mercato delle spezie. I miei nove libri che continuano ad essere regolarmente ristampati in Turchia, e tutto quello a cui ho lavorato fino ai miei 38 anni, data d’inizio del mio esilio, saranno confiscati. E la cosa più importante: la mia famiglia sarà in pericolo.
Quello che ci siamo detti al telefono è: “resteremo forti”. Eppure non è facile. Sento una stanchezza, come una malattia. Mio padre mi ha detto: “È necessario fare un po’ di rumore. Le reazioni dall’Europa possono essere utili…”. Io gli ho assicurato che lo farò, ma non voglio, non posso farlo. Mi è più difficile di quanto possiate immaginare dover fare appello alla vostra solidarietà attiva, in un contesto in cui le priorità sono già numerose. In più, quando parlo di questo processo, provo un dolore fisico che m’impedisce di respirare. Come quello che sento adesso, mentre vi scrivo questa lettera.
Nel 2010, dopo lunghi esami, un resoconto psicologico realizzato da degli esperti ha attestato tutte le torture che ho subito. Ho letto, con preoccupazione, la lista delle problematiche post-traumatiche che mi avevano diagnosticato. Si, era vero. E con la persecuzione legale e politica, la tortura continua. Anche se ho molte risorse e un forte desiderio di non lasciarmi distruggere, non sto bene.
Quest’anno la mia nuova vita ha cominciato a prendere forma. Sono riuscita a inserirmi nelle lotte per la giustizia e la libertà, in questo Paese di cui faccio parte. Sono francese adesso. Inoltre, ho trovato la mia nuova casa a Nizza, che mi ha donato l’amore e l’ispirazione. Ho finito la stesura del mio nuovo romanzo, il cui effetto è stato quello di una rinascita. Il supporto del programma PAUSE mi ha dato maggiori opportunità di stabilizzarmi. Grazie alla complicità dei miei colleghi con cui condivido le stesse curiosità e alla partecipazione dei miei studenti, vado avanti con le mie ricerche e l’insegnamento.
Se non ci fosse stata questa solidarietà enorme che mi accompagna da quando sono arrivata in Francia, non avrei potuto ricostruire la mia vita. Grazie a voi, i miei amici, ho continuato a scrivere, a indagare, a insegnare e a militare. Le minacce che ricevo tutti i giorni mi hanno sconvolta ma ogni volta sono riuscita a uscire da questo film dell’orrore. Adesso di nuovo ne uscirò. Ma più difficilmente. Ho una fiamma che arde in ciascuna delle mie cellule.
Forse avete visto "Il sogno delle montagne", uno spettacolo di Yeraz, gruppo di danze armene? È straordinario. Verso la fine si sente un grido: "Hai rubato la nostra montagna. Ma noi siamo le montagne”. Allora io con le lacrime di emozione, ho sussurrato più volte: "Mi hai rubato la vita. Ma io sono la vita”.
I prossimi giorni saranno probabilmente i più difficili per me. Ma vi prometto: sarò la vita... che scorre e crea.
Con voi, Vi abbraccio,
Pinar
Pinar Selek, sociologa e attivista turca

Analisi di

26 marzo 2018

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