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Dolore e cordoglio a Dacca

di Tahmima Anam

Tahmima Anam è una scrittrice britannico-bengalese che in Italia pubblica con Garzanti e tiene diverse rubriche per giornali internazionali come il Guardian e il New York Times. Per quest'ultimo giornale, il 4 luglio, ha scritto un commovente ricordo dei suoi giorni felici trascorsi con la famiglia proprio nel locale in cui si è consumata la strage di Dacca. Nelle sue parole il cordoglio per le vittime del massacro e il desiderio di onorare chi, come Faraaz Hussein, il giovane che è andato incontro alla morte pur di non abbandonare le sue amiche nelle mani dei terroristi, si è distinto per coraggio e abnegazione. 

L'ultima volta che sono stata a Dacca, usavo portare mio figlio in giro in macchina ogni pomeriggio. “Andiamo all'Holey!”, mi gridava dal sedile posteriore.

Il locale Holey Artisan Bakery, aperto da soli due anni, era diventato il nostro  ristorante preferito in assoluto. Le torte erano deliziose ed era l'unico posto vicino a casa che aveva un giardino. Portavamo la pallina da calcio di mio figlio e rimanevamo lì fino al tramonto, finché le zanzare del lago vicino non ci costringevano a tornare dentro.

Quando la panetteria era appena aperta, era solo un bancone con pasticcini e torte. Io e mio marito qualche volta scherzavamo sul fatto che ci voleva un mutuo per pagare i croissant – erano molto costosi -, ma lo splendido sole, il giardino e la vista del lago Gulshan ci spingevano a farvi ritorno ogni volta.

Quando l'Holey è diventato una celebre meta per famiglie, i proprietari hanno costruito un forno per la pizza di fronte, hanno assunto qualcuno per fare il gelato e hanno iniziato a servire i tapas la sera.

Venerdì, erano stati forse i tapas, la pizza o il cielo sopra il giardino a portare lì una ressa di gente per la cena, un misto di bengalesi e stranieri. Alle 20.45 circa, un gruppo di uomini pesantemente armati ha fatto irruzione nel locale e ha preso in ostaggio un gran numero di avventori.

La polizia è arrivata rapidamente, ma quando ha cercato di entrare nel ristorante, è stata presa a colpi d'arma a ripetizione e di granata. Due poliziotti sono stati uccisi e molti altri sono stati feriti.

Nel corso della notte, a mano a mano che le famiglie delle persone che si trovavano nel locale accorrevano a vegliare sulla via fuori dal ristorante, si potevano sentire in alcuni momenti dei colpi d'arma da fuoco. I militanti selezionavano gli stranieri per l'esecuzione.

Dopo circa 12 ore di confronto senza sbocchi, all'arrivo dell'alba in città, le forze speciali sono finalmente riuscite a rompere l'assedio. All'interno, hanno trovato i corpi di 20 vittime e salvato almeno 13 ostaggi. Tra i morti, secondo la polizia, c'erano nove italiani, sette giapponesi, un americano, un indiano e due bengalesi.

Stanno ancora uscendo i rapporti su ciò che è accaduto veramente. Secondo alcuni resoconti, i miliziani avevano assicurato agli ostaggi bengalesi che sarebbero stati risparmiati. Agli ostaggi è stato intimato di recitare versetti del Corano per potersi salvare. Secondo un giornale indiano, un uomo d'affari italiano che si era spostato nel giardino per fare una telefonata è riuscito a nascondersi nei cespugli e quindi a scappare, non sapendo, fino a ore più tardi, che sua moglie, intrappolata dentro, era stata assassinata.

La storia di una vittima si distingue particolarmente per via del suo coraggio. È quella di Faraaz Ayaaz Hossain, un ventenne bengalese che era uscito a cena con due amiche, Tarishi Jain e Abinta Kabir. Il giovane Hossain e la signorina Kabir, cittadina americana, erano entrambi studenti della Emory University di Atlanta in vacanza; la signorina Jain, che era indiana, studiava a Berkeley.

Secondo i testimoni, quando i militanti hanno sentito che era bengalese, si sono offerti di liberarlo, ma lui ha rifiutato di lasciare sole le sue due amiche. Quando l'esercito è penetrato nelle barricate erette dai terroristi, ha trovato i corpi di tutti e tre, con Hussein che recava i segni di una lotta violenta.

Il sabato mattina, dopo la fine dell'assedio e dopo molti sms e telefonate frenetici con la mia famiglia, abbiamo cominciato a fare i conti con la carneficina che era accaduta nella nostra capitale. Per coloro che hanno perso i loro cari, il lutto è inimmaginabile e irreparabile.

Per noialtri, fare i conti con questo significa adattarsi a un mondo nuovo e spezzato. Sappiamo che il nostro Paese e la nostra città non saranno più gli stessi per sempre.

Sappiamo che le rassicurazioni delle autorità vogliono dire poco. Considerato l'accaduto, la grande operazione della polizia del mese scorso, che ha visto l'arresto di oltre 11.000 persone in un presunto giro di vite contro il terrorismo, dimostra soltanto l'impotenza del governo di fronte a questi militanti omicidi. Possiamo sperare che il governo farà pace con l'opposizione per poter affrontare questa minaccia più grave, ma abbiamo paura che questo orrore porterà a Dacca solo maggiore sorveglianza, ed esacerberà l'autoritarismo.

Ulteriori rapporti suggeriscono che gli assalitori non erano, a differenza di come molti si aspettavano, di estrazione sociale povera o marginalizzata. Erano rampolli di famiglie ricche, che hanno ricevuto un'educazione privata, giovani uomini che facilmente avrebbero potuto essere amici delle vittime. Che cosa lascia dentro di noi questo, sapendo che questi assassini avevano tutti i privilegi nella vita e tuttavia hanno scelto la strada del nichilismo?

Ci lascia con una conclusione: dobbiamo accettare che la storia che ci siamo raccontati a lungo sul nostro Paese può non essere più vera. Per mesi, io e un gran numero di miei concittadini abbiamo voluto credere che gli omicidi mirati di scrittori, blogger, editori, attivisti gay, sacerdoti indù e lavoratori stranieri non significavano che il Bangladesh fosse necessariamente sulla via di una destabilizzazione a opera di estremisti violenti.

Ci sentivamo sicuri che le cose alla fine sarebbero rientrate nella norma, quella di un Paese a maggioranza musulmana con una Costituzione laica e una forte tradizione di giustizia sociale, diversità e pluralismo. Non credevamo che il Bangladesh potesse diventare come uno di quei posti dove i ricchi si barricano dietro alte mura con la loro polizia privata, dove le ambasciate emettono avvertimenti per i viaggiatori ed evacuano i loro staff e dove - Dio non voglia - l'America invia i suoi droni per colpire i militanti.

Proprio ora, tutto ciò a cui tengo di più è la mia città, sono le persone innocenti che sono morte nel caffè dove mio figlio ha imparato a giocare a calcio, compresi i tre ragazzi del mio liceo che sono andati incontro a una morte violenta accanto al lago che era un'oasi di pace in questa città frenetica.

Domani, posso recuperare il senso delle verità che ritenevo irrinunciabili per il mio Paese. Oggi, posso solo piangere ciò che abbiamo perduto

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