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Fatima Akilu

Una psicologa contro l'estremismo

Fatima Akilu - psicologa nigeriana e public speaker per la prevenzione e il contrasto all'estremismo violento (CVE) e contro il terrorismo - è ora a capo del primo programma di de-radicalizzazione innovativo della Nigeria: la NEEM FOUNDATION di Abuja. In passato ha lavorato al sostegno psicologico di giovani senzatetto e nell’ospedale psichiatrico di Washington, dove ha avuto come paziente John Hinckley Jr - l’uomo che ha sparato al presidente Ronald Reagan nel 1981.

Oggi si occupa di studiare la psiche dei soggetti con una personalità oscura, che provano piacere nella violenza. Il suo ultimo paziente, Abubakar Shenau, è uno dei leader di Boko Haram - il gruppo islamista responsabile di omicidi, stupri, saccheggi e rapimenti in tutta la Nigeria settentrionale negli ultimi cinque anni, e del sequestro delle 200 studentesse del Chibok nel 2014.

Fatima lavora sia con gli ex militanti che con le vittime, molte delle quali cadute in mano a Boko Haram molto prima del rapimento delle studentesse che ha reso celebre la questione a livello globale. Cerca di insegnare loro che il perdono è fondamentale: perché quando vittime e carnefici si ritroveranno insieme nella stessa comunità, sarà allora che dovranno compiere il passo più difficile. Le organizzazioni criminali - come l’ISIS o Boko Haram - attirano i giovani perché fanno loro credere di poter “entrare nella storia”, di rispondere a “un bene superiore”; danno loro l’illusione che fare del male sia lecito e giusto quando si ha uno scopo che vale più di ogni altra cosa.

In un’intervista rilasciata alla Thomson Reuters Foundation - fondazione benefica di Thomson Reuters, fornitore globale di notizie e informazioni - la psicologa dichiara che la sua attività si fonda sul comprendere le motivazioni che portano alla radicalizzazione dell’individuo per contrastare la narrativa estremista. De-radicalizzare, dice, significa “prendere una persona che ha maturato una serie di convinzioni che vanno oltre i valori della società e reinserirla nella stessa come cittadino modello”. La prima cosa che bisogna fare a questo proposito è costruire un rapporto di stima, credibilità: bisogna riporre fiducia in una persona per ritenere valido ciò che dice, e iniziare così un processo di cambiamento.

“Ho passato un anno cercando di familiarizzare con Abubakar Shenau” - afferma Fatima. La prima volta che la psicologa chiese al militante se ancora fosse un convinto simpatizzante di Boko Haram lui rispose: “Sì, ancora oggi, e anche domani”. Eppure, ora, lo stesso uomo dice: “all’epoca non pensavo ci fosse nulla di male nell’andare in giro a uccidere la gente, oggi ho capito che l’Islam ci implora di non usare la violenza. Non avevo capito di essere cieco. Guidavo la gente verso un burrone, perché non vedevo”. “Dentro Boko Haram ero un pezzo grosso - dichiara l’imam - ma ora capisco che la sua azione va contro i diritti umani. Ho ricominciato a studiare, e permesso ai miei figli di tornare a scuola”.

All’interno del programma i militanti, sia donne che uomini, devono compilare un modulo in cui vi è scritto: “questo era il vecchio me, che credeva in tutto quello che diceva Boko Haram, per questo ho commesso molte atrocità. Ma ora c’è un nuovo me”. Non si può smettere immediatamente di fare qualcosa che hai fatto per molto tempo, credere in qualcosa di cui sei stato convinto, prima bisogna analizzare i fatti e decifrarli. Bisogna lavorare sui meccanismi che creano la radicalizzazione e capire perché.

“Le donne sono le più difficili con cui lavorare”, sostiene Fatima. Questo succede perché entrano nell’organizzazione per motivi molto diversi fra loro. Spesso sono reclutate da persone di cui si fidano: padri, fratelli, cugini. Le ragazze molto giovani inoltre sono relativamente facili da radicalizzare, quelle che hanno sposato volontariamente dei militanti lo hanno fatto perché sono rimaste affascinate da questi ragazzi arrivati nel loro villaggio con potere, soldi, armi - si invaghiscono di loro "un po’ come facevano le donne con i cowboys". Inizialmente queste ragazze sono molto ostili al dialogo con gli psicologi: Boko Haram ha dato loro cose che non avevano mai avuto; denaro, beni materiali, regali.

Alcune intervistate, dopo il processo di de-radicalizzazione, sono arrivate però a una consapevolezza nuova: “Dio mi ha salvata da quella trappola mortale, perché dovrei tornare indietro?”, dice una di loro. Proprio questo è il nodo fondamentale del lavoro di Fatima: bisogna ricostruire una comunità assicurandosi che chi è stato estremista non torni sui suoi passi, che sia convinto di ricominciare a vivere consapevole dell’importanza dei diritti umani. 

2 ottobre 2017

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