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Il concetto di fratellanza come antidoto al terrorismo

Intervista alla giornalista Asmae Dachan, a cura di Joshua Evangelista


Asmae Dachan è una giornalista marchigiana di origine siriana che da anni scrive di Medio Oriente e Nord Africa, migrazioni, diritti umani e dialogo interreligioso. Ha pubblicato romanzi tra cui “Il silenzio del mare” (Castelvecchi, 2017) e ha vinto numerosi premi giornalistici per i suoi reportage sulla Siria. Il 2 giugno 2019 è stata insignita del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Nel 2021 uscirà per le Edizioni Paoline un volume corale sull'enciclica "Fratelli tutti" al quale sta lavorando insieme a ricercatrici, docenti, teologhe e giornaliste. Le abbiamo chiesto come ripensare un dialogo interreligioso concreto, che tenga conto anche della lotta al terrorismo di matrice confessionale. Una sfida che coinvolge tutti.

L'enciclica "Fratelli tutti" di Francesco è stata salutata da diversi esponenti del panorama musulmano internazionale come un mattone importante per la costruzione di un dialogo sincero basato, per l'appunto, sull'idea di fratellanza. Che idea ti sei fatta a riguardo?

Quello firmato il 3 ottobre del 2020 è un documento dalla valenza storica, che segue la firma di un altro testo dal valore epocale, siglato da Papa Francesco e dal grande imam di al Azhar Aḥmad Muḥammad Aḥmad al-Ṭayyib, il 4 febbraio 2019, il “Documento sulla fratellanza umana”. Si tratta di due testi che sanciscono una sorta di nuovo inizio, che tracciano la via per un cammino di reciproca conoscenza, basato sui diritti umani, sul rispetto e sulle tutele di tutte e tutti, che introduce il concetto di cittadinanza in sostituzione di quello di minoranze. Questa nuova spinta inclusiva arriva in un momento storico in cui, complice la pandemia, l’umanità si è scoperta vulnerabile e accumunata da un unico destino. Da amante e studiosa del linguaggio trovo molto interessante la scelta delle due parole “fratelli” e “tutti”. Il termine fratelli, solitamente usato per indicare un legame di sangue, sembra una riscoperta della fraternità primordiale in Adamo ed Eva e quindi di tutti gli esseri umani come fratelli. La parola “tutti”, in questo contesto, diventa un rafforzativo; le diverse anime del cristianesimo, ma anche le altre confessioni si prendono per mano e prendono per mano il mondo laico. “Fratelli tutti” ha un contenuto dall’alto valore sociale ed esorta ad andare in controtendenza rispetto ai nazionalismi esasperati e a quelle logiche di divisione, di esclusione e di innalzamento di muri che sembrano dilagare.

Da diversi anni viviamo una dolorosissima stagione di attacchi terroristici che, in nome del fanatismo religioso, attanaglia tutti, cristiani e musulmani, occidentali e abitanti del sud del mondo. La visione più comune sembra essere quella di un "noi" contro "loro". Eppure, questi confini spesso non sono marcati. Esiste secondo te una "zona grigia"?

Il terrorismo è uno dei mali peggiori di questa epoca, insieme alla guerra. A differenza dei conflitti armati, che nella loro disumanità e gravità sono comunque delimitati, gli atti di terrorismo si contraddistinguono per la loro imprevedibilità, colpendo civili inermi all’improvviso, in modo vile e brutale. Negli ultimi anni il terrorismo è diventato – attingendo dal linguaggio della sociologia – liquido. Si è passati dagli attentati dalla portata devastante agli accoltellamenti. Uno dei tratti distintivi che sono rimasti è, nella maggior parte dei casi, quello della matrice. Da oltre un ventennio diversi gruppi e formazioni terroristiche usano il nome e i simboli dell’islam per giustificare e motivare le loro azioni nefaste. Sebbene siano ormai innumerevoli le fatwa, i decreti religiosi, emessi da prominenti autorità del mondo accademico e teologico musulmano che condannano fermamente il terrorismo e definiscono i terroristi blasfemi, continuano a comparire formazioni più o meno grandi, che divulgano ideologie criminali e fanno leva sulle fragilità e le vulnerabilità dei giovani per reclutare nuova manovalanza. A questo proposito può risultare utile leggere il libro “Contro l'Isis. Le fatwa delle autorità religiose musulmane contro il califfato di Al-Baghdadi” di Marisa Iannucci, pubblicato nel 2016 da Giorgio Pozzi Editore. Questo a confermare che se si vuole parlare di “noi” contro “loro” non bisogna pensare al mondo musulmano come blocco monolitico dedito al male e al resto del mondo come vittima di tale male. I terroristi colpiscono chiunque rappresenti, ai loro occhi, un nemico, qualcuno cioè che la pensa diversamente da loro. Basti pensare agli ultimi attentati che hanno colpito l’Afghanistan, ad esempio, che hanno provocato la morte di studenti e avvocati, donne e uomini, persone cioè che per la logica oscurantista, misogina e assassina degli affiliai delle organizzazioni terroristiche rappresentano una minaccia perché promuovono cultura e diritti. Il “noi” contro “loro” non deve essere quindi inteso come una contrapposizione di religioni, o della religione musulmana contro il resto del mondo perché non è così. “Noi” può essere l’unione di chi ama e rispetta la vita e “loro” chi invece della vita non ha rispetto. Di certo non bastano le fatwa a sradicare completamente questi gruppi e queste ideologie. Serve, oltre a un’azione internazionale che blocchi finanziamenti e canali di divulgazione di deliri ideologici, anche un capillare intervento dal basso che faccia al tempo stesso opera di prevenzione e creazione di una nuova consapevolezza. 

Spesso chi scrive di scontri di civiltà e dell'impossibilità di trovare una condivisione di valori universali tra le fondamenta del mondo democratico occidentale e l'islam ha una scarsa conoscenza della religione e delle variegate popolazioni di fede islamica. Tu lavori come giornalista da tanti anni: un'informazione plurale, rappresentata anche da professionisti con un background religioso e culturale diverso dalla maggioranza può contribuire a favorire il dialogo?

Sicuramente sì. Il contributo di giornalisti che parlano più lingue e che conoscono mondi diversi è prezioso perché rappresenta una voce in più nel panorama mediatico nazionale e internazionale. In generale, è importante che un cronista si avvicini sempre alla notizia col taccuino bianco, senza pregiudizi e idee preconcette. È importante viaggiare, calarsi in nuovi contesti, vivere nuove realtà, incontrare culture diverse per aprire la propria mente e arricchire la propria cultura. Solo così si potrà dare al giornalismo nuova linfa e credibilità. Oltre al giornalismo credo che anche la letteratura, la cinematografia e le arti in generale abbiano un ruolo fondamentale per aprire gli sguardi verso nuovi orizzonti.

In che modo la memoria può favorire la comprensione? Si può lavorare a una memoria condivisa che vada al di sopra delle memorie specifiche dei popoli?

La memoria è un tesoro, che come tale va conservato e tramandato. È importante che le nuove generazioni conoscano quello che è successo in passato, comprendano gli errori per non ripeterli e facciano tesoro degli insegnamenti. Nell’album dei ricordi di ogni popolo ci sono pagine felici e pagine tristi e sia le une, che le altre, vanno studiate in senso critico e costruttivo. Credo che la condivisione e il confronto, da parte dei diversi popoli, delle rispettive esperienze, possa contribuire a costruire una memoria universale condivisa, che diventi terreno fertile per coltivare nuova consapevolezza ed empatia. In questo senso anche quando la pandemia diventerà solo un ricordo, condividere le memorie specifiche sarà importante. Comprendere di aver vissuto esperienze simili crea vicinanza e ci porta a guardare l’altro con uno sguardo più umano.

Come ben sai, Gariwo si occupa di figure esemplari che promuovono la dignità umana e lottano contro le ingiustizie. Chi sono oggi, nel mondo islamico, le tue figure di riferimento?

Le mie origini siriane, in questo particolare momento storico, mi fanno pensare al pacifismo e alla resilienza dei civili che si battono per i propri diritti umani e che da anni subiscono ogni genere di vessazioni, senza mai rinunciare ai propri valori e abdicare alla violenza. Le figure dell’avvocatessa Razan Zaitouneh – rapita a Raqqa insieme ad altri tre colleghi nel 2013 – e Ghiath Matar, definito anche il piccolo Ghandi, entrambi attivi nella difesa dei diritti umani in Siria, sono un riferimento di pacifismo e impegno sociale bellissimo. Tra le diverse rappresentanze del mondo musulmano credo che oggi il riferimento più importante siano i mistici, i sufi, coloro che dedicano la propria vita a coltivare la spiritualità. Il misticismo è diffuso, in diverse forme, in tutto il mondo musulmano e si manifesta anche attraverso l’arte e la letteratura. Credo che oggi il contributo di queste figure possa far riscoprire l’essenza più vera dell’islam, quella che si rivolge alle anime.

Joshua Evangelista, Responsabile comunicazione Gariwo

23 dicembre 2020

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