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​Il “giusto” apprezzamento della sensibilità

Intervista a Enzo Balboni

Charlie Hebdo torna in edicola il 25 febbraio. L'ultima triste copertina segnava dunque solo una pausa, non la fine del controverso giornale satirico. Sulla tutela costituzionale, e i limiti, della libertà d'espressione in Italia abbiamo sentito  Enzo Balboni, Ordinario di Diritto costituzionale all’Università Cattolica del Sacro Cuore.

La nostra Costituzione riconosce la libertà d’espressione. Ma con quali limiti?

La libertà d’espressione, di manifestazione del pensiero come la chiama il testo della nostra Costituzione, all’articolo 21, è ampia, ma non è senza limiti. Un limite per esempio è il caso dello “hate speech”, l’incitazione all’odio e alla violenza che giustamente non è garantito dalla libertà di manifestazione del pensiero. Il limite tra quello che si può esprimere e il fare propaganda all’odio, all’agire criminalmente, che ovviamente non sono consentiti, è mobile. D’altronde anche nel campo interpersonale esistono i reati di calunnia e diffamazione, aggravate se propalate a mezzo stampa o a mezzo televisione.

Ci può citare alcuni esempi in cui ha prevalso il riconoscimento della libertà di espressione e altri in cui sono stati posti dei limiti?

Pensiamo al caso dello scrittore Erri De Luca, sottoposto a giudizio per un’incitazione al sabotaggio nell’ambito delle proteste Notav. Se uno dice una cosa come “Sabotate la tav”, commette un reato. Lui ovviamente nega di avere incitato a commettere dei reati.

Il caso francese di “Charlie Hebdo” ha suggerito che esistono altri limiti?

La libertà di manifestazione del pensiero, come è emersa dalla situazione francese di “Charlie Hebdo”, è più complessa. A tal proposito è intervenuto anche il Papa dicendo che una religione non può essere “giocattolata”, cioè non può essere ridotta a un giocattolo o presa volgarmente in giro. La critica è possibile. Si può criticare anche con ironia, perfino con ironia stupida - saranno i lettori a valutare -, anche una religione, ma quando si oltrepassa il limite dell’umiliazione di un’altra fede allora in questo caso la libertà d’espressione deve cedere al fatto che diventa incitazione a far male.

Uno che fa una vignetta con un dio, che sia il dio cristiano, o il dio ebraico, o Maometto con una barba lunga, che inciampa e la vignetta dice: “Ma guarda questo Dio, non sa neanche stare in piedi e la gente è lì che accende le candele”, questa è una cosa di pessimo gusto, ma che si può fare.

Il rispetto della sensibilità altrui è tutelato dalla legge? Che cosa pensa delle dichiarazioni del Papa in merito?

Non tutte le critiche e talvolta anche le offese, pur dure e satiriche a una religione configurano un reato. Tuttavia, l’esempio, fatto dal Papa, del pugno che lui darebbe nel caso di insulti a sua mamma, significa che nella materia religiosa c’è un’elevata sensibilità.

In Europa il negazionismo è considerato reato in alcuni Paesi, in altri no. In Italia non è considerato tale. Lei che cosa pensa di questo dibattito?

Penso che sia un dibattito che deve stare dentro i confini nazionali. La sensibilità italiana sarà diversa da quella tedesca, per la diversa storia che abbiamo avuto. È ragionevole discutere se si tratti di un reato o no, considerando il dolore di chi ha sperimentato sulla propria pelle le atrocità del nazismo. In linea di massima propendo per affidarmi al discernimento delle persone. Il fatto che qualcuno, dalla cattedra di liceo o di università, dica che le ceneri di Auschwitz non sono mai esistite, denota semplicemente la sua stupidità e quella di chi lo ascolta con ossequio. Non interverrei con la prigione per queste cose.

Ci segnalerebbe un “Giusto della libertà d’espressione”?

Primo Levi, che ha detto per primo, in modo anche poetico, rappresentando le atrocità dei campi di sterminio: “Se questo è un uomo, allora che cos’è un uomo?”. Merita di essere segnalato come un Giusto che ha usato bene la sua capacità di espressione. 

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