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Nigeria, inizia il processo ai militanti di Boko Haram

oltre 6.600 gli imputati, dispute e irregolarità all'orizzonte

Boko Haram è un gruppo terrorista, così definito dalle autorità USA dal 2013, fondato nel 2002 in Nigeria. Nel 2009 ha lanciato un'offensiva militare per instaurare uno Stato Islamico. Nel 2014 ha proclamato la costituzione del "califfato" nelle aree che controllava, e il 14 aprile di quello stesso anno ha rapito oltre 300 studentesse della regione di Chibok. 

Lo stesso nome "Boko Haram" infatti significa "l'educazione occidentale è peccato", e il gruppo vede come una minaccia l'istruzione femminile. Le ragazze sono state liberate a poco a poco tra 2015 e 2016, ma c'è ancora un forte problema di radicalismo tra loro, che coinvolge particolarmente quelle che ricoprivano ruoli di potere nel sistema sociale di Boko Haram. 

Ora la Nigeria ha riconquistato il controllo di quasi tutte le aree precedentemente occupate dai terroristi. Rimane da superare un altissimo tributo pagato a questo conflitto, che ha causato la morte di 20.000 persone e ingenti danni alla coesione e all'economia del Paese. 

Si è aperto lunedì 9 ottobre il primo processo contro i militanti del gruppo jihadista. Il governo centrale ha predisposto un sistema di amnistia e programmi di deradicalizzazione per i membri di Boko Haram che si consegnano spontaneamente alla giustizia. Non di meno il processo in corso ha dei numeri imponenti: oltre 20.000 persone sono state arrestate talvolta in regime anche pluriennale di custodia cautelare, nell'ambito di un'enorme inchiesta

Tra loro 6.600 andranno a processo, per primi i 1.600 di loro che ora sono detenuti presso la struttura militare dove avviene il processo (a opera di una corte civile), nella città di Kainji.

I giudici incaricati di celebrare il processo sono quattro. Uno si è già ritirato perché gli imputati ne avevano messo in dubbio l'integrità. Secondo la BBC il processo ai membri di Boko Haram è "un'enorme sfida al sistema giudiziario nigeriano, devastato dalla corruzione". Ci sono diversi problemi di trasparenza e di tutela del reo, evidenziati già in un rapporto di Amnesty International del 2015 (alcune persone sono in carcere ormai da 7-8 anni). 

Inoltre risulta molto difficile, secondo l'analista della sicurezza nigeriano Kathiru Adamu interpellato dalla BBC, intervenire anche per ottenere giustizia dalla "zona grigia" di chi ha sostenuto i terroristi, senza magari macchiarsi direttamente di crimini di guerra. 

La commistione tra militare e civile si deve a questioni di segretezza, secondo la BBC. Non si vogliono rivelare le identità degli imputati. La sovraesposizione mediatica è già stata all'origine di numerosi problemi con le ragazze del Chibok, come riporta la scrittrice nigeriana Tricia Nwaobani, corrispondente fissa dalla Nigeria della BBC. 

Spesso infatti, alle ragazze sequestrate sono stati offerti riparo e aiuto solo in cambio delle loro testimonianze, di cui i media tendevano a evidenziare gli aspetti più “scabrosi”. Di conseguenza si è spesso intervenuti in modo inappropriato nel salvaguardare l’integrità psichica delle rapite, creando un insano business intorno a loro. A questo proposito, Nwaobani si è occupata dell’attività della psicologa anti-radicalizzazione Fatima Akilu, la cui fondazione Neem ha invece svolto un importante ruolo di sostegno psicologico nel Paese soprannominato “il gigante dell’Africa”.

Tutti problemi dei Paesi in via di sviluppo che non saranno sicuramente risolti in un processo. Nonostante l'importanza innegabile di questo primo passo verso la giustizia, la chiusura dei conti con il terrorismo risulta purtroppo ancora lontana.

11 ottobre 2017

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